Zoom e LinkedIn sono due strumenti di comunicazione del social virtuale, entrambi sotto controllo cinese. Nel caso non siano effettivamente in mani di cinesi (come per Zoom) certamente ne restano influenzati (LinkedIn). Ne consegue che la libera espressione, in era globalizzata, è compromessa.
Comunicazione compromessa, ovvero sotto censura, perché in mano o sensibile a una dittatura comunista. La Cina è ancora e resta solo una dittatura.
La globalizzazione non funziona perchè si basa si una dittatura comunista. Tutte le dittature hanno il pessimo difetto di limitare la libera espressione e la Cina comunista non è da meno.
Passando dai grandi temi del nostro tempo, globalizzazione & censura, Zoom e LinkedIn, uso-abuso del social, alla nuda pratica che fare?
Certamente passare attraverso Zoom e LinkedIn vuol dire mettere i propri dati personali e storia professionale nelle mani della Cina. I comunisti quei dati li vendono per finalità commerciali. Anziché offrire posti di lavoro a chi li cerca (ma non sarebbe neppure il loro compito d’elezione) l’uso commerciale dei dati personale è un affare.
Non è escluso che nelle trattative commerciali, i servizi segreti cinesi prelevino dati personali delle personalità con cui trattano affari, per ricatti e condizionamenti.
Il lettore potrà ovviamente considerare esagerato o fantasioso quanto qui scritto. E’ possibile. Peccato che quanto spiegato risponde alla sostanza dell’articolo pubblicato sul Sole 24 Ore del 12 giugno 2020 a pagina 27. Il titolo è “Lo scivolone di Zoom su piazza Tienanmen“. Il sottotitolo dell’articolo recita: democrazia e web.
Ora che si fa? Il consiglio è disertare Zoom e LinkedIn.
Made in China? No I can’t buy it. Prof Carlini