The Prisoner of Parkinson. La cura. Prof Carlini

Alfred Kubin La Guerra (1903)

The Prisoner of Parkinson, la cura. Affinchè una persona si possa curare deve sapere cosa ha addosso, il perchè e il percome. Quanto appena affermato non è una regola che vale per tutti, infatti ci sono malati che non guariranno mai ed altri che combattono la malattia con forza, determinazione e dignità. In tal senso nella Teoria si parla di militarizzazione della risposta alla malattia.

Concetti di questo tipo non sono estensibili a tutti, anzi, la Teoria è applicabile a una minoranza. La domanda che insorge con grande prepotenza è: gli altri?

Questo è il punto.

Una Teoria dovrebbe valere per tutti o rappresenta una soluzione per solo quelli che la conoscono e vogliono intraprendere?

Quante domande!

Dalla notte dei tempi il dolore attanaglia la mente degli uomini e donne riducendoli a poco o nulla che si rotolano su se stessi. Il dolore è il vero padrone dell’essere umano. La farmacologia deve prima di tutto limitare o spegnere il dolore e poi, solo poi, forse, curare il male (esistono comunque dei farmaci detti “pagliativi” che non fanno nulla). Solo spegnendo la sofferenza è possibile pianificare una soluzione alla malattia. Tutto ciò è umano e giusto.

La Teoria, The Prisoner of Parkinson non entra in conflitto con queste direttive di massima; spegnere il dolore e curare successivamente il male in noi.

Condividendo e convergendo sugli stessi concetti, la Teoria però parte da premesse diverse che sono:

  • il paziente deve conoscere l’origine della malattia (se rintracciabile);
  • quindi pianificare una reazione che rappresenti un cambio di stili di vita evitando quelli che hanno generato il male;
  • aggiungere una linea farmacologica, ma solo se sostenuta da un cambio d’abitudini da parte del paziente (unire il farmaco alla volontà del malato di smettere di sentisi tale – inizio del concetto di “militarizzazione”);
  • ri-pianificazione completa della vita privata del paziente con un nuovo e diverso percorso vitale (diversi abiti, letture, studi, cibi, atteggiamenti, interessi tale che prosegua la militarizzazione di risposta al male);
  • intenso recupero della fisicità e sessualità in forme talmente diffuse e importanti da far impallidire quanto già fu in età giovanile. Ora il sesso e la fisicità diventano cura e riabilitazione rispetto al gioco dell’età giovanile. Chi non è più in coppia o forse non lo è mai stato, s’organizzi e provveda a ricercare quanto avrebbe dovuto fare anni, molti anni prima: non è mai troppo tardi. La sessualità in età adulta è una cura! 

La sostanza della Teoria The Prisoner of Parkinson è tutta qui: un paziente che reagisce, militarizza la risposta, cambia la sua vita per essere più sano e ricorre anche alla farmacologia come sostegno esterno, ma non primario.

In tutto ciò la fisicità è strutturale; carezze, abbracci, nudità e nudismo, sessualità, riscoperta della capacità fisica di percepire attraverso l’epidermide il vento, sole, caldo-freddo, natura e realtà.

Con quest’ultima procedura il sistema nervoso si risveglia e impara a dialogare con la nostra vita anziché rispondere nei termini classici di nervosismo e tensione a cui è stato sottoposto per un’intera esistenza. Quest’ultimo è un passaggio dedicato all’Alzheimer e al Parkinson dove il malato è il sistema nervoso ma resta condivisibile in ogni altra patologia.

Idee per gestire il male e tentare di guarire in malattie che portano a morte il malato soffocandolo giorno per giorno, come fu per mia madre con l’Alzheimer.

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