Stare fuori dalla Libia. Lezione di geopolitica 4. Prof Carlini

Appunti di geopolitica/4 – Stare fuori dalla Libia è necessario evitando che non ci entri la Francia o la Turchia.

Stare fuori dalla Libia evitando che altri se ne approfittino: Francia e Turchia.

Perfettamente al contrario di quanto qui auspicato, tutti, nella crisi libica ci “stanno inzuppando il pane” Questo è un errore fatale!

E’ un errore perché gli stessi libici chiedono di vivere il loro Risorgimento, soffrendo i morti e sbagli che celebreranno per i prossimi 150 anni.

E’ ancora un errore perché confondere quanto sta accadendo in tutto il mondo arabo, con i moti di una tipica rivoluzione democratica all’Occidentale, significa non aver capito nulla di quanto il “cosmo” islamico ancora trascura. L’Islam non percepisce lo stato come entità governativa costruita intorno all’uomo, al contrario resta espressione di coordinamento tra tribù. Finchè non si scioglieranno le tribù e nascerà la società, non si avrà in Oriente, il concetto di Stato e quindi il bisogno di democrazia, intesa come sviluppo e progresso che l’Occidente sperimenta da qualche secolo. Trattandosi quindi di mondi diversi di cui non è chiaro lo sviluppo di quello arabo, l’interventismo è sbagliato. Allora perché c’è questa isteria da “dover far qualcosa”?

Una delle chiavi di lettura è nel vuoto culturale dell’Occidente che si è talmente aperto a tutto tanto da perdersi. Di fatto non c’è più alcuna capacità di fermare un’invasione alle frontiere che deriva dal non voler più subire (essere capaci) di un confronto. Se in casa mia si presentassero 100 persone non gli darei da mangiare, ma li allontano perché non sono una mensa per poveri bensì una casa privata! Perché la cattolicissima Malta spara a vista su chi viola le acque nazionali e l’Italia non può reagire? Il presidente americano, tradizionalmente a corto d’argomenti, gestendo l’agonia della sua presidenza “è partito a razzo”, sulla vicenda libica, ma senza un disegno. Anche in questo caso si fa strada un’interessante teoria. E’ stato votato un “fenomeno” per avere un completo bluff, adesso è probabile che si alterni una pessima candidatura (la Signora Palin) per avere una forte Presidenza.

Tornando al mondo arabo, è la loro storia, lasciamogliela vivere per evitare di trovarci schiacciati in un meccanismo che non ha ancora scelto la sua via. Parliamo ora di aziende; che fare? Nulla!

Il miglior servizio che un’impresa può offrire a un mondo in trasformazione è attendere o lavorare con ampie coperture assicurative, affinchè sia il governo (il nostro o la UE) ad assumere il rischio di un mancato pagamento sulle ordinazioni. In questa maniera il rapporto non è più azienda su azienda tra le due coste del Mediterraneo, ma tra governi (quando ne esisterà uno certo in Libia e così in Egitto). Sono le Cancellerie che dovranno trattare merci contro energia (gas e petrolio) garantendo le imprese del loro lavoro. Qualsiasi iniziativa individuale è a rischio e così anche la sopravvivenza se dovesse “sbagliare” nel rispondere a ordini e commesse.

In un mondo “famelico”, dove tutto si muove rapidamente (forse troppo) è saggio saper attendere che i tempi e le condizioni maturino.

Facciamo un esempio: il Corno d’Africa. Chi si ricorda le vicende di Mogadiscio e dell’intera Somalia compresa la guerra con l’Etiopia? E’ forse cambiato qualcosa negli ultimi 20 anni? Credo di no. Ci sono ancora i signori della Guerra riconducibili a diverse tribù e clan locali.

Chi andrebbe a produrre in quella terra, dove vengono sequestrati anche i nostri missionari che prestano assistenza a tutte le fazioni in lotta?

Ma non è finita. Fare “il duro” con il Gheddafi di turno per aver commesso “crimini conto l’umanità”, fa scena, ma come la mettiamo con la classe dirigente del partito comunista cinese nei confronti del Tibet e le libertà più ovvie da sempre negate in Cina? Ecco che qui si frantuma un interventismo troppo superficiale, ma si apre all’anticipazione sul prossimo futuro degli scenari in Cina: il collasso sociale di cui molte volte abbiamo parlato e a quel punto le imprese dovranno prendere atto che è cambiato qualcosa.

La conclusione? Tornare in Italia, assumere italiani e potenziare il mercato interno per competere in Europa e nei mercati Occidentali, che sono quelli stabili, lasciando una parte d’esotico al gusto dell’avventura (non rischiando però l’impresa) smettendo d’illudersi che il futuro sia in Asia, solo perché ci sono più persone, per cui automaticamente il mercato dovrebbe aprirsi laggiù, anziché qui.

Chi pensa questo non ha studiato.

Lo sviluppo economico Occidentale si è realizzato perché appoggiato su fattori politico-istituzionali quali la protezione che il signore feudale assicurò ai suoi sudditi-cittadini, la maggiore tutela dei diritti di proprietà rispetto al resto del mondo, il controllo sulla politica fiscale che in Inghilterra il Parlamento esercitò sulla Corona dal 1600, il particolare rapporto tra il contadino e la città che si sviluppò in Olanda fra il ‘500 e il ‘600. A questi aspetti vanno aggiunti quelli più tradizionali che gli economisti utilizzano studiando l’andamento demografico, il rapporto prezzi/salari, le sinergie, la funzione della moneta del commercio e infine i cicli economici.

Il guaio della globalizzazione è che risulta progettata, una decina d’anni fa, da avidi imprenditori e qualche economista in carriera, senza il parere di storici e sociologi, ecco perché fa acqua da tutte le parti! Senza voler ritornare sull’annosa vicenda se esista uno o più modelli di sviluppo, è piuttosto chiaro quanto in Asia non ci siano le premesse per un sostenibile e stabile sviluppo economico, ponendo a rischio le politiche industriali di troppi incauti imprenditori.

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