Ripensare la globalizzazione? Il fallimento di un’idea

Ripensare la globalizzazione?

La Cina, l’India, la Corea, l’Indonesia, rappresentano solo l’aspetto più visibile della globalizzazione. In linea si massima ci si illude che il mondo sia globale, ovvero che coinvolga molte nazioni. Non è vero. Tolti quei 20 operatori su 205 stati del pianeta terra, non resta più nulla.

La globalizzazione è un’illusione ottica. Una bella storia che ci piace credere. Ecco che ripensare la globalizzazione diventa attuale e urgente.

DOTTRINA ZOELLICK – un modo di favole

Quando si progettò quella che sarebbe dovuta essere una nuova era dell’oro (vedi dottrina Zoellick) l’idea di fondo fu semplice. Produrre in aree depresse per assicurare all’Occidente merci a buon mercato. In ciò si sarebbe elevata la qualità di vita d’intere popolazioni povere. A conti fatti, sulla carta, ci avrebbero guadagnato tutti. I poveri avrebbero smesso di essere tali (cinesi e indiani in particolare) e l’Occidente ricevuto merci a basso prezzo. In questo modo agli occidentali viziati e ricchi sarebbe aumentata la quota di denaro per viaggi e cultura. Gli standard di qualità dei prodotti sarebbero rimasti definiti nei parametri di progettazione conformi al nostro livello di civiltà. Non solo, l’ingresso sul mercato degli ex poveri, ne avrebbe allargato la base di consumo mondiale. Ciò avrebbe generato immense opportunità per l’industria affamata di nuovi consumatori.

Una massa di circa due miliardi di persone, per Zoellick, concentrata prevalentemente in Asia, sarebbe passata dalla povertà all’agiatezza. In pratica i residenti nell’area Cindia. Chissà perchè nei progetti di Zoellick non ci sono l’Africa, l’America Latina e il mondo arabo. Tornando ai favoriti  della globalizzazione (gli asiatici) sarebbero passati dall’autoconsumo al consumo. Dal circuito chiuso dell’economia agricola a quello aperto dell’economia di mercato.

Sempre secondo i progetti, l’archiviazione del confronto militare avrebbe aperto l’intero mondo ad un unico mercato. Sarebbe stato così possibile educare al consumo miliardi di nuovi consumatori. Questo nuovo ingresso nel consumo avrebbe rappresentando il più ghiotto tra i dividendi della pace.

Si tratta di quella stessa differenza che ha giustificato le guerre in tutta la storia dell’umanità.

La crisi della globalizzazione, non è solo un problema di speculazione selvaggia che va regolamentata. Oppure di scarsità di produzione alimentare. In realtà la frattura del progetto globalizzato poggia sull’infelice confronto tra mondi diversi. Ad esempio parliamo di regole nella produzione. Il nostro mondo di occidentali nella produzione industriale è regolato, gli altri non lo sono. Com’e’ possibile confrontare nel prezzo e qualità un manufatto, ad esempio, un termosifone se realizzato con regole diverse? In Occidente il prodotto è assemblato nel rispetto delle regole di dignità del lavoro. Nel resto del mondo lo stesso manufatto è frutto di povertà trasformata in miseria. Non c’è confronto?
Il confronto tra “noi e loro”, tra l’Occidente e la Cina è tutto qui. Un mondo regolato e forse della regola democratica, si confronta con uno senza regole in economia sotto dittatura. Praticamente ci siamo dimenticati della miccia di tutti i conflitti armati della storia.

Lo studio proposto, non vuole essere stupidamente e monotonamente anticinese. Al contrario, la ricerca è centrata sulla civiltà delle regole. Quelle che hanno permesso il passaggio, in Occidente, dal Medio Evo a una successione di rivoluzioni. La francese, industriale, tecnologica, sociale, musicale, commerciale che contraddistinguono il progresso.

A questo punto gli elementi che portano al ripensamento della globalizzazione sono:
– lo scontro sul piano economico (e poi politico) tra un mondo fatto di regole e uno privo di valori condivisi. Questa disarmonia, apparentemente celata dal solo prezzo della merce, non è più accettata dai consumatori. E’ in atto una sorta di rigetto del “made in China”;

– isolata la Cina quale elemento aggressivo nel panorama economico mondiale, cosa dire dell’India. Al contrario dell’altro protagonista asiatico, l’India, ha evitato d’inondare i mercati esteri con le sue merci. In realtà l’India si è concentrata sul mercato interno e la lotta alla povertà. Resta il fatto che il più importante costruttore d’auto indiane se producesse in Europa sarebbe  subito arrestato. Isolato per spregio di ogni regola, stabilita in ambito legislativo per la produzione; (quindi ancora il problema delle regole);

– la globalizzazione non funziona soprattutto per aspetti interni all’Occidente. Il riferimento è alla mancata regolamentazione del flusso di capitali a uso speculativo. In seguito al calo delle borse, la liquidità si è riversata su tutto quanto potesse essere speculato. In questo modo c’è chi compra petrolio senza sapere cos’è. Il gioco della speculazione ha pesantemente compromesso il mercato dei metalli. La follia si è estesa all’alimentare. L’unica soluzione è di limitare l’acquisto di materie prime solo a chi effettivamente ritiri il prodotto. In questo modo si ritorna a un mercato fatto di operatori. IN REALTA’ BASTEREBBE IMPORRE IL VERSAMENTO AL 100% DELLA SCOMMESSA PER SGONFIARE LA SPECULAZIONE. NESSUNA BANCA CENTRALE PERO’ LO FA! Ecco perchè ripensare la globalizzazione è una necessità per sopravvivere.

– l’ingresso di nuovi consumatori (300 milioni di cinesi su 1,1 mld di popolazione in Cina) ha prodotto l’aumento di cibo. Da qui la giustificazione a un nuovo ciclo speculativo. Ci sarebbe lo spunto per aumentare la produzione dai continenti sudamericano e africano. Però questo non è contemplato dalla globalizzazione. Com’è possibile non ripensare la globalizzazione?

– l’impennata speculativa dei prezzi del greggio autorizza l’opzione militare. Con un barile sopra i 150 dollari, la guerra è conveniente. Sono dati che nessuno considera. Gli Stati Maggiori dei principali eserciti si preparano.

Esaminato il fallimento della globalizzazione quali sono le tendenze in atto?

La globalizzazione nacque negli USA come idea. Si concretizzò in Cindia con capitali occidentali. E’ sopravvissuta alla crisi subprime. Ha ricevuto in realtà l’addio in una grande festa: le olimpiadi di Pechino. Nascita, apoteosi e ridimensionamento di un bel progetto con un grande difetto. La globalizzazione è stata il trionfo della superficialità e l’assenza di meccanismi di feed-back. Come sarà il mondo nei prossimi mesi?

Tra i tanti libri che descrivono le prospettive future ce ne sono due particolarmente profondi. Nel 1996 Samuel P. Huntington pubblicò “Scontro tra civiltà”. Il testo che è stato oggetto di fortissime critiche restando un punto di riflessione importante. Oltre al prof. Huntington, l’On. Tremonti con “La paura e la speranza”. Entrambi i libri, seppur del genere “catastrofico”, offrono buone chiavi di lettura del futuro. Qui ripensare la globalizzazione diventa concreto.

I concetti sono: la globalizzazione ci ha tradito, ora serve la politica. Cadute le grandi ideologie sono falliti i sistemi politici. L’economia ha preso il sopravvento ma non funziona. I popoli credono ancora, ma nelle cose piccole e più concrete, in quelle a loro più vicine e attuali. Credono ancora nel domani ma non nel futuro. Nessuno chiede la riforma del sistema sanitario ma il funzionamento del proprio ospedale. Non più la riforma del lavoro ma la difesa del proprio posto. Il “campanile” non sostituisce la Nazione, ma compensa l’effetto di vuoto portato dalla crisi dello Stato-Nazione. Nessuno è più disposto a morire per la “patria” ma se necessario, tutti si schierano nella difesa del proprio territorio. Se questo è vero e osservabile (in Occidente non nell’area Cindia) va considerato un altro aspetto.

Nel mondo civilizzato, il problema non è più portare una massa di cittadini a un dato standard di prestazioni consumistiche.

Il mondo oggi esige l’applicazione universale delle clausole a tutela del lavoro e dell’ambiente. Questo rappresenta la nostra civiltà. Qui è il cuore pulsante del ripensare la globalizzazione. Non solo:

– si desidera l’introduzione di un’IVA perequativa sulle importazioni dai Paesi che producono violando le regole di civiltà nel lavoro;

– estensione di questa sensibilità anche ai paesi del cartello OPEC;

– la revisione delle norme con cui si produce in Occidente. Si va verso una “perequazione” del troppo poco nell’area Cindia, al nulla dell’Africa e al troppo dell’Occidente.

Tutto ciò comporta una sorta di selezione dei prodotti per provenienza. Lo hanno capito quelle imprese italiane che sono rientrate dalla Cina. Lo ha capito il colosso della grande distribuzione statunitense, Wall Mart (diffusore del made in China). Ora in Wall Mart almeno il 20% dell’offerta dev’essere made in Usa. Lo abbiamo capito anche noi? Serve ripensare la globalizzazione.

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