La ricchezza è manifattura! Studi del prof Carlini
La ricchezza è industria non commercio. Tutto il sistema di valori e certezze, che abbiamo vissuto negli ultimi decenni, sta miseramente franando, però francamente, abbiamo tanti imprenditori e persone pensanti, che la crisi non la vedono così drammatica. In effetti il momento è grave e in particolare per coloro che hanno lavorato superficialmente.
Entriamo nel dettaglio. In Europa si dice tanto dell’Italia, ma scavando realmente nei conti, emerge che le banche più esposte verso la Grecia, sono la Francia e la Germania.
Non solo, ma il fallimento dell’euro è sicuramente un problema per tutti, ma soprattutto per i tedeschi perché è con questa moneta che l’Europa è diventata germanocentrica, ovvero è stato schiacciato il potere d’acquisto alla periferia del continente e protetta l’economia al centro. Quindi sull’euro ci sono forti dubbi che rappresenti un corretto ancoraggio per le economie di tutta l’Europa, le quali hanno perso le funzioni della politica monetaria, entrando in crisi.
Che gli estremi per una depressione ci siano, non è possibile negarlo, ma una cosa è certa: spesso sono frutto di autolesionismo. Questa voglia di farsi del male è molto spinta proprio nel nostro paese. Va però riconosciuto come gli industriali italiani, a differenza di quelli francesi, hanno mantenuto la capacità d’incarnare la seconda industria manifatturiera d’Europa e la settima nel mondo. Purtroppo anche da noi molti hanno delocalizzato, non tanto per presidiare mercati emergenti, ma per re-importare i prodotti da vendere sul suolo nazionale. In questa maniera, per lucrare sul costo del lavoro, il 29% dei giovani è senza occupazione.
La stagnazione del mercato interno deriva principalmente da una totale incertezza sul futuro del lavoro e qui entra in campo anche la responsabilità della politica, intesa quale eccesso di litigiosità lasciando i problemi effettivi senza soluzione. L’incertezza del mercato interno porta le PMI italiane a doversi posizionare obbligatoriamente sui mercati esteri, dove si entra solo se capaci di produrre.
Ecco che, in un mondo dove già in Italia falliscono 40 imprese al giorno (non si tratta di negozi) la finanziarizzazione dell’attività economica (come hanno fatto gli inglesi e francesi) presenta tutto il suo limite e bisogna riconoscere che se i cinesi “i soldi li hanno” è perché abbiamo permesso loro di produrre al nostro posto.
La lezione che la Cina impartisce agli occidentali ( e agli italiani in particolare perchè abbiamo fortemente contribuito a realizzare questo incubo) ruota intorno a un concetto: la ricchezza è di chi produce. A conti fatti si parla di manifatturiero e di chimica, come aeronautica ed edilizia che esprimono il futuro della nazione.
Se tutto questo è vero servirebbe un’azione comune verso le banche, ad esempio, affinchè il manifatturiero venga considerato un settore strategico. Non solo, avremmo bisogno di una riforma della legge sul risparmio, che consenta alle PMI italiane d’indebitarsi verso i privati con obbligazioni pari a un certo valore “n” del capitale sociale, spingendo così le proprietà verso una maggiore patrimonializzazione delle proprie imprese. Insomma, oltre la ricerca e sviluppo e i contratti in rete necessita, per proteggere il nostro futuro, anche un diverso accesso al credito che non sia più solo bancario. Con queste idee è difficile credere che tutto stia veramente crollando. Al contrario è lecito pensare che sia in atto una voluta esagerazione sia nazionale che europea. Tutto ciò per celare altre necessità come l’alternanza politica ante tempo sulla naturale scadenza delle legislature o di copertura del dissesto bancario francese, in un anno elettorale. Come più volte osservato, problemi estranei alla vicenda ne assediano le sorti future. Ecco su cosa essere pessimisti: la stupidità.
Made in China? No I can’t buy it. Prof Carlini