Rating sul debito e sue bocciature. Come considerarle. Prof Carlini

Rating: un diverso modo di considerare le bocciature sul debito 

Rating! In questi ultimi giorni “fioccano” le bocciature a carico dei diversi stati (l’ultima è per la Francia) da parte delle agenzie internazionali di rating. Non solo, ma serpeggia in Europa una crescente insofferenza per il mancato dinamismo del governo italiano.

Analizzando nel dettaglio il significato delle quotazioni di rating sul debito pubblico e titoli in generale, c’è da preoccuparsi? Per spiegarsi servono degli esempi.

Per organizzare una gita, in genere, ci si informa sulle condizioni meteo. In analogia, le società di rating svolgono lo stesso tipo di servizio: forniscono indicazioni. Saranno vere, false, drogate in eccesso, comunque esprimono un ragionamento.

Va rilevato come non si contrappone una decisa reazione da parte dei governi alle pagelle dei giudizi di rating. Infatti, quando un governo subisce una contrazione di “credibilità”, viene colto sul vivo rimanendone offeso, anziché stimolato nell’accettare la critica costruttiva, varando un piano per una diversa gestione della spesa pubblica.

In pratica, ciò che lascia perplessi, non è tanto il giudizio espresso da un centro studi su un’economia, ma l’incapacità di quest’ultima nel reagire alla critica.

L’incidenza sul volume degli scambi internazionali, specificatamente sui titoli di stato per effetto delle quotazioni di rating, dipende da com’è strutturato il debito pubblico. Nel caso italiano, essendo all’85% in mano ai connazionali, l’incidenza è trascurabile. Diverso invece è per gli Stati Uniti che rappresentano l’opposto dell’Italia, essendo profondamente sbilanciati verso l’estero e sulla Cina in particolare. È come se quest’ultima avesse retribuito gli Stati Uniti per l’ingresso nel mondo capitalista, acquistando in massa i debiti americani, attraverso titoli pubblici.

In pratica la Cina è servita agli USA per proseguire a spendere e consumare, senza contrarre i consumi in presenza di ridotti livelli di produttività. Tornando all’argomento di base, sulla questione dei rating, si nota oltre all’incapacità dei governi, anche un isterismo figlio dei tempi.

La società moderna è isterica (fragile) dove è facile litigare senza trovare accordi. La gente legge senza studiare. Ci facciamo compagnia senza saper raggiungere uno stadio d’amicizia. Facebook e altri strumenti di comunicazione confermano sempre di più come ci si limiti al messaggio, senza saper andare oltre. Da qui il 42% di separazioni (dato riferito all’Italia) trova spiegazione. Si vive insieme soffrendo la solitudine.

Isteria e incapacità di risposta, sono quei caratteri distintivi che si notano a commento delle triple A, B o sottocategorie di rating. Ecco che il problema non è più il giudizio (da chiunque espresso), ma la gestione della valutazione negativa.

Ci sono soluzioni?

Oggettivamente si, ma non colgono il dato macrosociale o economico, bensì ruotano intorno all’uomo. La crisi degli stati risponde a un disagio interiore del cittadino. Serve un processo di maturazione individuale, sponsorizzato dall’organo di governo, in una formula pedagogia.

Come una società internamente differenziata, caratterizzata da un “politeismo dei valori”, (Max Weber-1920) può mantenersi socialmente coesa? Il dibattito è aperto. La Cina ha risposto applicando un mix differenziato tra economia (capitalistica) e società (sotto dittatura). L’America sostiene la democrazia, ma è coperta di debiti. L’Europa resta vittima di un eccesso di democrazia, attraverso la quale non ci si capisce più nulla, ponendo a rischio la stessa formula democratica (vedi la Grecia oggi e la Spagna prossimamente). L’Islam non conosce la democrazia e resta tagliato fuori.

L’Africa non ha ancora una voce, l’America Latina è confusa e l’Asia privilegia le dittature soft (India) fino all’estremo opposto nel Giappone.

Questi sono i veri problemi, non il giudizio che ogni tanto viene lanciato da qualcuno che oggettivamente ha svolto un ragionamento.

Pur rischiando d’essere andato fuori tema, il messaggio è semplice: serve un ritorno ai fondamentali nell’economia come nella vita, che può essere incarnato solo in una virtù privata, sponsorizzata dalle istituzioni (quello che non stanno facendo).

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