Prigioniero da Parkinson: un vento nuovo. Prof Carlini

La teoria sociologica innovativa intorno al Parkinson e alla patologie di lunga durata, qui in evoluzione, afferma che nel malato c’è una mente sana, incastrata in un corpo malato. Tutti gli sforzi sono diretti nel tentativo di far “evadere” la persona dalla sua condizione, di una malattia senza via di ritorno. Lo stato della scienza e quindi della medicina, a oggi non consente una reale guarigione dal morbo di Parkinson, al massimo si cerca una gestione pilotata della sofferenza che comunque accompagna il paziente alla sua morte. Urgono nuove prospettive di cura.

Il tentativo d’affiancare alla sola medicina anche tecniche di sociologia pura (sociologia del dolore e quindi la teoria Il prigioniero da Parkinson) riceve in alcuni casi, sperimentati in particolare in Italia, una netta diffidenza e anche ostilità da parte dei malati non ancora evoluti a prigionieri. Resta da chiedersi il perchè ci sia una reazione così curiosa, da parte di chi invece dovrebbe essere aperto (spalancato) verso il miglioramento della sua crudele condizione.

Da attente valutazioni realizzate su diversi contatti amichevoli e non, in Italia, emergono le seguenti osservazioni:

  • dire a un malato: alzati e reagisci! significa urtare la sua sensibilità e quindi reagisce nelle forme più immediate e semplici: rabbia, nervosismo e offesa. La teoria sociologica, Il prigioniero da Parkinson, diventa a questo punto un nemico da cui difendersi perchè chiama a una militarizzazione della risposta contro la malattia quando è più facile delegare alla chimica medica la gestione del dramma anziché la risposta;
  • Tutti i malati studiati, (alcuni di essi effettivamente da considerare nella dignità di prigionieri) hanno riconosciuto un profilo di nervosismo “elevato” nel periodo di vita precedente alla contrazione della malattia. Questo è un particolare molto importante! Il malato di Parkinson arriva alla diagnosi con un vissuto di stress non indifferente. Su questa osservazione ci sono ovviamente posizioni diverse, ad esempio la Dott.ssa Sacchi non è completamente in accordo riscontrando anche stili di vita “normali” nella precedente esistenza del malato. Qui però il dibattito si apre tra il sociologo che riscontra anormale il normale (nella società globalizzata) e il medico che ritiene normale l’abitudinario acritico stile di vita nervosa. Chi ha ragione? Il dibattito è aperto. Molto è stato scritto sia nel testo La sessualità nella società globalizzata che nell’Impresa padronale dell’editore Armando pubblicati nel 2015. Come studioso del comportamento sociale, ritengo, anche grazie agli studi di Zygmunt Bauman (il più importante sociologo vivente) che oggettivamente la qualità di vita personale e quindi lo spessore di utilizzo del sistema nervoso richiesto, per affrontare la vita, sia peggiorato nel corso del tempo e nel dettaglio dal 2000 a oggi (era globalizzata). Si profila così una nuova visione sulle cause del Parkinson, intorno a un abuso o cattivo uso del sistema nervoso che logorato, spesso dagli stili di vita, reagisce ammalandosi. E’ presto per poter affermare che il Parkinson è la malattia di coloro che non hanno saputo gestire il loro nervosismo, ma certamente l’isteria riscontrata in Italia sia a livello di malati che di Associazioni, nella discussione sulla teoria nota come Il prigioniero da Parkinson, contribuisce a questa conclusione. Com’è possibile essere scontrosi, isterici, ostili quando si discute di miglioramento della condizione della vita? La risposta logica è se si dovesse confermare il sospetto che il Parkinson esprime la degenerazione di un mal uso del sistema nervoso.

Non è possibile fare di un filo d’erba un fascio e la teoria de Il prigioniero da Parkinson desidera restare con i piedi per terra, certamente però si profila un’idea sull’origine del Parkinson, come di un pessimo uso del sistema nervoso in uno stile di vita sbagliato.

Un altro testo qui posto a riferimento serve per spiegare le origini della crisi nella società moderna affetta da nichilismo: Le origini della crisi nella società globalizzata, di Johns Carlins, Armando Editore – Roma.

Troppa conflittualità! Le persone solitamente litigano e urlano anziché ragionare-leggere e parlare. Cosa sia da considerare “sbagliato” nella qualità di vita attualmente in corso, apre una valutazione filosofica molto complessa, che trova appunto nella sociologia delle risposte, ma non è questa la sede per entrare nel merito di cosa sia sbagliato/giusto basta stabilirne il senso, la direzione e l’intensità. La Teoria del prigioniero da Parkinson come assetto concettuale, accende un segnale d’allarme per chi ha la sensibilità di leggerlo nel suo personale interesse. E’ possibile che la natura del Parkinson emerga da una vita troppo tesa, nervosa, in un costante abuso di tensione, che alla fine porta il sistema nervoso a impazzire e ammalarsi. C’è una via di ritorno dalla crisi del sistema nervoso? Ancora non è possibile dirlo. Certamente se qualcosa si annoda in forma sbagliata dovrebbe anche essere possibile ritornare alla posizione originale, ma su questo piano la teoria de Il prigioniero da Parkinson non si è ancora spinta. Certo restano, a questo punto, dei punti fermi che sono:

1 – evitare di farsi contaminare e condizionare dalla malattia che deve restare fisica e non mentale, detto con altre parole non bisogna accettare il male come un convivente-ospite dentro l’anima!

2 – reagire al male in ogni modo e sistema (vedi i concetti nella teoria del prigioniero da Parkinson)

3 – ripensare agli stili di reazione nervosa che ogni persona adotta nella sua vita, sapendo che un abuso di nervosismo su base quotidiana, favorisce senz’ombra di dubbio la crisi del sistema nervoso generale, anche se non tutti concordano su quest’aspetto (quando mai!);

4 – troppo spesso si nota come le persone affrontino la vita con un’importante dose di tensione nervosa anziché usare il cervello e il pensiero. Detto in altri termini (e qui si apre una nuova prospettiva di studio per la teoria de Il prigioniero da Parkinson) riscontrando una drammatica contrazione del livello culturale medio nella società, si nota una corrispondente elevazione della risposta nervosa, come metodo di relazione sociale. Spesso la gente abbia come cani sciolti più che ragionare come soggetti pensanti. In ciò si usano di più i nervi anziché il cervello. Da un abuso di risposta nervosa, in luogo di sentimenti e idee, che dovrebbero scaturire dalla parte intellettiva della persona, emergono anche un maggior numero e intensità di malattie del sistema nervoso, di cui il Parkinson è parte. Forse sarebbe saggio alzare il livello intellettivo leggendo di più, studiando di più, capendo di più, ma anche amando in forma più sana, pensando di più per essere più sani e gestire al meglio la propria vita, anziché soffrire di malattie che derivano dall’abuso di nervi al posto del cervello.

Viene in mente quella coppia di Milano (aspetto già accennato) con lei affetta dal Parkinson che usa droghe leggere, sotto controllo e consiglio del neurologo, per meglio convivere con la malattia. Ebbene, una risposta di questo tipo, nel contesto della teoria de Il prigioniero da Parkinson è completamente sbagliata, perchè ammala e aggrava l’anima e il sistema nervoso del paziente che definitivamente si avvita nel tunnel della malattia. Per gestire il Parkinson, non s’intende guarire, (che al momento non appare attuale) servono persone sane (prigionieri) con cui lavorare. Dove si trovano i sani nella malattia?

E’ sana una persona che usa il cervello anziché abusare dei nervi.

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