Da testimonianze emerge uno stato di solitudine del prigioniero da Parkinson che lo rende inacidito e rabbioso con se stesso e gli altri.
Ci sono rimedi nel senso che potremmo osare considerare controllabile o soggetta a regressione la malattia?
prigioniero da Parkinson
Sono stati registrati inusuali atteggiamenti isterici da parte sopratutto di coloro, che benché malati, ruotano intorno al mondo del Parkinson. Si precisa che si tratta di malati e non di prigionieri, in quanto il loro stato di malattia è ben conservato, pasciuto e desiderato. In pratica malati che vogliono restare tali, il che è strano benché sia la realtà. Colui che è nella condizioni del prigioniero da Parkinson è invece una persona completamente diversa. Quest’ultimo, sostanzialmente un ex malato, si muove per stabilire nuovi livelli di qualità di vita (quella che progressivamente sta perdendo) grazie all’uso della nuova teoria sociologica, procedendo in una sorta di militarizzazione della sua reazione attraverso snodi comportamentali a lui congeniali le persone che ha vicino, ai nuovi bisogni la malattia progressivamente impone.
Ci si scusa per il maiuscolo, ma è necessario per stabilire dei concetti, accennando all’ipotesi, in fase di studio, sulla regressione della malattia o comunque a un suo controllo (qui si considerano sinonimi i 2 concetti di regressione/controllo) ottenibile da una persona che ha smesso d’essere passiva (malata) per passare a una fase di forte reazione (prigioniero da Parkinson) attraverso un eccezionale utilizzo dei sentimenti e delle emozioni tali da risvegliare quella capacità di sentire, capire, osservare solitamente arrugginita o non utilizzata.
Seguiranno dettagli a beneficio di tutti coloro che vorranno smettere d’essere malati (soggetti passivi verso la malattia) per assumere una posizione più netta e decisa nel loro personale interesse a vivere una vita degna d’essere vissuta: il prigioniero da Parkinson, nuovo modello combattente per una civiltà della relazione paziente-malattia oggi spesso dimenticata.
Va comunque segnalato un punto debole in questo esperimento: la persona soffre di PAURA. La paura è la sua dominante su tutto e ogni cosa. In realtà la vera malattia non è tanto il Parkinson, su cui potremmo discutere, ma la PAURA applicata su tutto e ogni aspetto. Una persona che soffre di paura in forme così importanti e a volte paralizzanti, riesce allo stesso tempo a reagire alla malattia imponendo la sua sensibilità per poi tornare nel suo privato guscio fatto di paura. C’è una contraddizione seria in questi 2 estremi: paura e forte reazione emotiva in grado di dominare la malattia. L’aspetto è oggetto d’analisi.
Appunti per una teoria sociologia del Parkinson. Prof. Giovanni Carlini
Arrivare a oltre 90anni è una lotta. Prof Carlini