Parlando con un intellettuale sul mondo del Parkinson italiano, emerge un quadro desolante dove il prigioniero da Parkinson o malato che sia, è sostanzialmente abbandonato.
Che l’associato sia abbandonato potrebbe anche essere comprensibile se stessimo parlando, ad esempio, di viaggi o come dopolavoro ferroviario.
Quando c’è di mezzo la sofferenza delle persone, quelle stesse condannate e morte (non per il Parkinson ma per le sue conseguenze) allora il quadro cambia completamente.
Non si riesce a comprendere il senso e l’esistenza stessa di così tante associazioni di Parkinson in Italia.
Un intellettuale mi invita nella sua città per fare il punto della situazione sul mondo del Parkinson italiano, sotto il punto di vista delle più sigle presenti. L’argomento mi attrae perchè sociologicamente rilevante. In questo modo è possibile comprendere perchè ci siano molti malati di Parkinson (gente rassegnata) anziché persone nella condizione del prigioniero da Parkinson (militarizzati e desiderosi di reagire al morbo come da queste colonne più volte descritto).
Il dialogo avviene in un forte, collocato su un’isola, non più in uso come caserma, dove credo d’esserci passato nel 1979. Questa coincidenza mi è molto gradita. Ecco il dialogo come si è sviluppato:
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Arrivare a oltre 90anni è una lotta. Prof Carlini