Il cibo erroneamente è considerato qualcosa che “si mangia per placare la fame”, in realtà risponde a un messaggio emotivo tra persone e ancor di più in generale come senso culturale.
Da come mangi e quanto mangi, emerge un livello di reddito, quindi l’aspetto comportamentale e culturale nel suo senso più pieno.
Quando qui afferma emerge dagli studi di Pierre Bourdieu (testo LA DISTINZIONE – Critica sociale del gusto, 1979) che non dovremmo dimenticare.
Oltre al livello sociologico è saggio che noi tutti ci osserviamo sul cosa e come mangiamo per capire di più di noi stessi e di chi ci è intorno.
Ricollegandosi agli studi sviluppati da Louis Dumont sulla personalità (SAGGI SULL’INDIVIDUALISMO del 1983) si apre un collegamento tra personalità, individualità e manifestazioni del nostro essere che colgono in pieno il cibo nell’uso che ne facciamo oltre al solo e semplice sfamarsi.
Osservare noi stessi e chi ci è vicino nell’arte di cucinare e cibarsi, ci offre uno spaccato delle più personalità in base alla quale riconoscersi (o distanziarci) da chi abbiamo di fronte. Non è un trucco della vita, ma una giusta osservazione verso gli altri e disciplina per noi stessi.
Riflettendo sul pensiero di Bourdieu, la carne è per la classe medio-bassa mentre il pesce è per quella elevata e ricca che usa insaccati al posto della bistecca.
La classe medio alta beve vino come antipasto, mentre quella bassa la coca cola e spesso la birra anche d’inverno.
Sono ovviamente delle generalizzazioni che si ripercuotono sul peso corporeo dove il grasso è per i poveri, mentre essere magri e belli è per i ricchi o le classi agiate, che pur mangiando non ingrassano.
Ecco che il cibo diventa immagine sociale in una sorta di guerra tra classi combattuta sul piano della forma fisica e della qualità.
Solitamente è difficile immaginare che il solo cibo possa avere tutte queste “complicazioni” e simbologie in una società complessa come quella globalizzata.
Non siamo neppure più in grado d’azzannare una bella coscia di pollo per fame! Buon appetito.