Perchè non sostenere bar, ristoranti e alberghi nella crisi da polmonite cinese? Il ragionamento emerge in occasione di una lezione di macroeconomia discutendo di propensione marginale al consumo.
Come noto il consumo C in macro si divide in 2 valori. C zero che corrisponde al consumo svolto da chi è senza reddito ma comunque consuma. A cui si aggiunge “c” minuscolo che rappresenta la parte del reddito spesa. Cosi abbiamo un cYD che vuol dire:
c = propensione marginale al consumo;
YD = reddito disponibile dopo aver pagato le tasse.
Un 0,8YD vuol dire che in quella società si spende l’80% del reddito disponibile. Potrebbe anche essere che in una Nazione ci possa essere un 0,7YD (il 70%) o lo 0,9YD e così via.
Come si nota immediatamente, la “c” oscilla in uno spazio che si colloca tra l’1 (tutto speso) e lo zero (nulla è speso).
Fin qui la parte concettuale pertinente alla lezione di macro.
La risposta è affermativa.
Abbiamo un consumo di cui non possiamo fare a meno e un’altro eventuale. Probabilmente il 50% dell’attuale consumo rappresenta quello necessario. Il riferimento è per l’affitto, le bollette, la spesa alimentare e in alcuni casi il prezzo della benzina. La parte superflua si trova nel mantenimento del cellulare, la linea internet, il ristorante, le consumazioni al bar e lo shopping.
Anche in questo caso la risposta è affermativa.
PERCHE NON VA SOSTENUTO L’IMPRENDITORE CHE SI TROVA NEL CONSUMO SUPERFLUO? E’ semplice. Nella scelta del profilo di rischio, il barista, come altri, hanno scelto di lavorare in quella parte del consumo che è soggetta a mode e tempistiche diverse.
Come Stato non vanno sostenuti quegli imprenditori che s’affidano agli umori del mercato!
Al contrario si sostiene l’impresa NECESSARIA, quella del consumo non sostituibile: alimentari, elettricità, gas, sanità, industria.
Concetti che nessuno vuole applicare, tanto i soldi non sono i loro, ma quelli di altri che dovrebbero regalarceli: la Ue (e chissà poi se la regalia arrivi veramente).
Nella foto: esempio di produzione necessaria: l’industria.
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