Parkinson in pericolo. Studi Prof Carlini

Il Parkinson è una malattia pericolosa perchè imprigiona persone sane in un corpo malato (almeno nei primi anni, poi avviene il contagio tra corpo e anima e a quel punto non c’è più un prigioniero ma il silenzio del dolore). Ne consegue che stiamo trattando un argomento tra i più difficili ma lo è ancor di più per il comportamento sia della scienza che dei malati: entrambi, entrando in sinergia, riescono a scatenare una miscela di negatività come non mai. Mi spiego.

La medicina, in tutto il mondo ma in Italia in particolare, almeno nel campo del Parkinson, è molto “protettiva” escludendo altri approcci come la sociologia ad esempio, mentre viene tollerata la psicologia. In pratica la malattia diventa, in questo modo, con tale chiusura, una rendita.

I malati, dal loro punto di vista, non sono reattivi, come dovrebbero essere, cercando novità e “vie di fuga dalla trappola-prigione” (per quanto poche ce ne possano essere) restando ancora più prigionieri di se stessi, della malattia e della sofferenza. In pratica abbiamo, nel Parkinson italiano delle “scatole cinesi” di prigionia che si sommano alla drammaticità della patologia. Cerco di spiegarmi meglio. In un totale e completo disastro umano, qual’è il Parkinson, per cui la sofferenza “la si può tagliare a fettine per quanta ce ne sia” il lancio di una Teoria sociologica come il PRIGIONIERO DA PARKINSON (nota nel mondo nei termini di THE PRISONER OF PARKINSON) non è considerata come un’opzione, ma un fastidio. La medicina non vuole concorrenza o sinergia. I malati non vogliono reagire, ma essere compatiti. Da questa miscela dove l’uno blocca l’altro emerge il silenzio e l’apatia.

La conclusione è che quando discuto di Parkinson con diversi editori questi affermano: in Italia non ci sono le condizioni minime per aprire un dibattito meglio emigrare

Ecco la conclusione: manca il dibattito a meno che non sia quello celebrativo della medicina dove ci si ringrazia l’uno con l’altro. In queste condizioni, ovviamente, ne fanno le spese i malati ,che non reagendo entrano in un avvitamento dal quale non escono più. E’ possibile reagire per sentirsi ed essere, sebbene malati, delle persone vive e rigogliose? certo! basta solo volerlo.

Concludendo, nel dramma è possibile vivere meglio e questo fa la differenza. Come al ventenne non si riformerà una gamba, al malato di Parkinson non tornerà la guarigione: sono entrambi prigionieri, però è possibile pensare e vivere una vita piena. Chissà perchè di queste nuove strategie non è possibile confrontarsi in Italia.

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