Riflessioni sul neocolonialismo cinese in Italia. Un mio cliente, attivo nel campo dell’assemblaggio per conto del distretto della rubinetteria e valvolame a nord di Novara, ha deciso d’ampliare la sua attività. Allargandosi su un nuovo capannone industriale, valutati anche i prezzi interessanti che stanno facendo capolino sul mercato, l’idea si concentra sulla dippatura, nota anche come cubicatura.
In pratica si parla di un macchinario (costo 7.000 euro) in grado di realizzare una pellicola da applicare generalmente su superfici plastiche, affinchè possano apparire come intarsi di radica, nell’industria automobilistica ad esempio. Lo stesso effetto si ha sui calci dei fucili che sembrano di legno e nel rivestimento delle docce sulle piastrelle. Addirittura si sta cercando di lanciare sul mercato dei rubinetti dippati a fiorellini come colorati. Questa pellicola ha un costo di 2.20 euro al mq e viene venduta per 6.
Individuato il settore, ci si fida di una conoscenza di vecchia data, che sta muovendo i primi passi nel campo, riscoprendo una nuova gioventù. Fin qui tutto semplice, se non che spuntano “i cinesi”.
Chi è questa gente? Si presentano all’appuntamento con un BMW da 130mila euro, dotati di bigliettini da visita dal nome italianizzato quale Beppe o Gianna (di fantasia) riferiti a un ristorante per lui e a una ditta d’import-export per lei.
Sinteticamente il loro ragionamento è: facciamo anche una società al 50% il cui conferimento è costituito dall’acquisto del macchinario importandolo dalla Cina, ma non basta, va anche importato dallo stesso paese la plastica fotosensibile, da lavorare nello stesso ciclo di lavorazione. Vanno quindi acquistati container da 40mila euro, di cui il socio italiano ci mette sicuramente il 50% ma quello cinese vende a se stesso la sua merce.
Messa in questi termini, i cinesi in società con gli italiani, vendono sia il macchinario che la materia prima, controllando che il prodotto finito sia prodotto e commercializzato. Altro? Se non è colonialismo questo!
Molti piccoli esercenti (finora) ma adesso anche imprenditori a livello di PMI, ricevono offerte in denaro contante, per un qualche allargamento degli affari che adesso si trasforma in un’inversione dei termini: noi lavoriamo e loro ci guardano.
Le parole qui scritte non vogliono tingersi di razzismo ma, al contrario stabilire dei punti fermi:
a) i cinesi avranno anche la liquidità, ma sono privi di stili di direzione;
b) lo stile lo raggiungeranno, senza dubbio, ma servono almeno minimo altri 50 anni;
c) nonostante ciò abbiamo sempre 500 anni di differenza culturale tra “noi e loro”;
d) se questo è vero, un’impresa italiana che non innova, è colpevole sia verso se stessa che nei confronti di tutto il sistema economico nazionale;
e) ma non finisce qui. Passando su un altro aspetto entrando nell’attualità, abbiamo una Confindustria molto critica verso il Governo, che accusa d’immobilismo partendo da un mondo, quello delle imprese che non innova a sufficienza. Ci troviamo per caso in un Paese che è incapace di crescere sia sul piano sociale che economico quindi anche politico? E’ possibile (molto probabile) per cui ora l’analisi si sposta non tanto su chi è fermo e chi cerca di far qualcosa, ma su quale organismo dovrebbe partire per primo nel dare l’esempio. Su quest’ordine di idee allora è vero: la politica non ci sta dando quegli esempi di slancio che avremmo voluto, ma la Confindustria non è certamente da meno nel governare un sistema altrettanto fermo.
f) La colpa, per un presunto neocolonialismo cinese verso di noi (e non solo) non è responsabilità, di chi ha troppi soldi liquidi in tasca e un livello di civiltà politica e sociale, alquanto basso e sotto gli standard minimi per vivere e operare in Occidente. L’errore è solo nostro per cui se vogliamo restare indipendenti, dobbiamo ricostruire quella differenza tecnica, morale e di cultura d’impresa, tra “noi e loro”, senza la quale ritorniamo a indossare quelle mostrine e stelle (stavolta di colore diverso) sui baveri dei nostri cappotti, che abbiamo lasciato nel 1943.
g) Perché azzerare 67 anni di progresso che il nostro paese ha saputo, senza ombra di dubbio vivere, grazie alla politica e al suo sistema economico?
Concludendo: l’assalto cinese a colpi di contanti alle nostre imprese è paragonabile a quanto subirono, i nostri soldati in trincea, nella prima guerra mondiale con i pidocchi in testa. La colpa non fu dei parassiti, ma delle scarse condizioni igieniche in cui un’intera generazione d’europei ha dovuto per forza di cose vivere per anni interi. Per sopravvivere e restare indipendenti oggi più che mai, dovremmo smettere di cercare la pagliuzza nell’occhio della politica, partendo dalla Confindustria (che oggi più che mai si è mischiata nella contesa di parte) e da tutti quanti noi modificando le condizioni d’igiene mentale, economica e culturale che viviamo, abbandonando il nichilismo (il piacere perverso del litigio fine a se stesso) per entrare in una nuova fase di costruzione.
Made in China? No I can’t buy it. Prof Carlini