Louis Dumont: La malattia totalitaria, capitolo 4

Prosegue la serie di studi su Louis Dumont. La traccia sono riassunti tratti dal libro SAGGI SULL’INDIVIDUALISMO pubblicato in Francia nel 1983. Non solo ma anche dove, in quale parte del mondo la personalità ha arricchito l’umanità.

Entrando nel merito, Dumont afferma che studiare un assetto culturale specifico, come quello occidentale, ad esempio, non è saggio. Per capire qualcosa è necessario creare un parallelismo con un’altra cultura.  In pratica per capire dobbiamo confrontare. In questo modo, l’autore francese è come se bypassasse tra la cultura occidentale e quella indiana (dell’India). Si tratta d’applicare l’insegnamento diretto del prof. Mauss che verrà approfondito in seguito e che in questo capitolo è accennato ma non confermato nelle pagine successive. Certamente ribadire il concetto di fondo è sempre utile. Si capisce solo ciò che si confronta.

Purtroppo questi studi non sono letti da nessuno: che dispiacere! Nonostante il disinteresse della massa è comunque importante pubblicare concetti e idee. La cultura è corretto che esista anche se momentaneamente non apprezzata/letta.

Louis Dumont, nel capitolo 4 affronta un tema COMPLICATISSIMO. Senza timore alcuno l’antropologo francese discute d’individualismo e razzismo in Adolf Hitler commentando il libro Mein Kampf.

Si potrebbe discutere sul perchè Dumont voglia studiare Hitler, per analizzare il concetto di personalità. E’ presto detto. . . In questo modo,  Con queste riflessioni per Louis Dumont, riprendendo anche altri studi, (Pribram) il nazismo fu una sintesi tra socialismo e lo storicismo tedesco. ANZI, SCRIVE L’AUTORE FRANCESE:…..rifiutando il socialismo nelle forma del marxismo, cioè in primo luogo la dottrina della lotta di classe come fattore di sviluppo sociale ed economico (pag. 163) Infatti chi ha detto che il socialismo dev’essere solo quello bolscevico?

Detto in altri termini, il nazismo non nacque per caso. Al contrario servì “reclutare” il socialismo nelle file della nuova Germania per proseguire il suo bisogno d’affermazione mondiale. Dumont scrive: ….strappare al socialismo i suoi denti rivoluzionari (pag. 163).  Il concetto di missione nel mondo, già confermato nel periodo di Bismarck e quindi guglielmino, proseguì nel nazismo. Ecco come la deriva totalitaria tedesca servì un bisogno. Hitler, che ha seguito la via democratica per farsi eleggere (1933) giunse al potere per svuotarlo per impersonarlo. In pratica il governo e il potere diventò il culto della personalità. La persona “Hitler” fu il potere e la Germania. Del resto in Italia il renzi non è stato neppure eletto eppure governa da troppo tempo.

Tornando alla Germania, questa terra resta un passaggio obbligato nello studio della personalità. Tutto ciò perchè, a seguito della Riforma di Lutero, i tedeschi interpretarono la loro esistenza come percorso verso la perfezione (e Dio) come un BILDUNG ovvero una predestinazione. Il popolo di Germania nella nuova fede religiosa, dovette fare qualcosa per riabilitarsi. Emerse in questo modo un “dialogo con Dio” (quindi l’assenza del clero) e l’attivismo della persona nella comunità. Il senso sociale del tedesco ne venne così potenziato rispetto la radice latina europea che proseguì a chiedere al clero la rappresentanza verso Dio.

Il rapporto con Dio è stato fondamentale dalla caduta dell’Impero Romano alla fine del Settecento. Assomigliare a Dio fu sintomo di perfezione. Con la Riforma (nel 1400) il popolo cristiano si divise tra doversi guadagnare la salvezza e riceverla. I tedeschi furono tra coloro che sentirono di conquistarsi, nella vita terrena, la salvezza divina. Da questo “attivismo” nacque un diverso modo di vivere: Bildung! impegno e volontà. Per i francesi, ad esempio, il miglioramento della loro esistenza fu più politico e concettuale quindi si rivolsero alla cultura ma con concetti generici quali fratellanza, uguaglianza e libertà. Da un mondo cristiano spezzato, trovò senso lo storicismo tedesco, ovvero lo spirito di servizio attivo nella società.

L‘universalismo francese è quello già accennato dei grandi ideali culturali (Illuminismo e Rivoluzione francese). Al contrario il pangermanesimo si rivolge a una società olistica. Per i francesi è importante l’individuo e non la nazionalità. Ad esempio un francese direbbe: esisto e casualmente sono nato in Francia. Un tedesco penserebbe: sono nato in Germania, quindi esisto! 

Dumont scrive: ….se esiste un’ideologia individualistica moderna, ne esiste anche una forma tedesca, che è molto particolare. (pagina 158) Si contrappone qui un individualismo estroverso (francese) a un individualismo introverso (tedesco). Pribram scrive: è caratteristico della Germania che i contrasti nati dalla trasformazione del modo di pensare non vi siano scoppiati in modo violento, com’è avvenuto presso i popoli dell’Europa occidentale, ma che piuttosto la sintesi culminata nel modo di pensare pseudo-olistico abbia assunto in Germania il ruolo di mediatore tra olismo e individualismo. (…) Stiamo parlando di quella che Marx ha potuto chiamare la rivoluzione dentro alle teste (sotto un cranio), contrapposta alla rivoluzione per le strade alla francese. (…) gli uomini della Bildung ritenevano che questo stato delle cose definisse in modo soddisfacente la cultura tedesca. (pag.165)

In tale rielaborazione culturale, avviata da Lutero nel cuore del Paese, l’intellettuale tedesco acquisì un ruolo nazionale. In nessun altro paese europeo lo Stato ricevette un supporto dalla cultura come in quello mitteleuropeo. Tra il 1770 e il 1830 i tedeschi s’impegnarono a fondo nel cercare una soluzione alla contraddizione tra l’uomo inteso come essere sociale (visione tradizionale) e individuale (Riforma, Illuminismo e Rivoluzione francese). Nella “via tedesca” d’originalità e coordinazione tra tradizione e moderno, spiccano ancor oggi 2 aspetti: quello olistico e l’individuale. Si rammenta che per olismo s’intende un sistema che vale di più della somma delle sue singole parti. In pratica c’è un importante apporto di sinergia. Ebbene i tedeschi trovano applicabile la concezione olistica nello Stato e l’individualismo nella cultura. Ecco la grande sintesi tedesca ancor oggi valida nella crisi della Ue dagli effetti della Brexit.

Confermata la tesi della continuità storica a giustificazione del nazismo, Louis Dumont imposta subito un distinguo sull’antisemitismo. Non c’è nessuna continuità storica che possa giustificare l’odio verso gli ebrei. Passi il razzismo come concetto in generale, ma quello specifico anti ebraico è una pura invenzione di Hitler. Su questo aspetto, a differenza di tutti gli altri, emerge la psicosi di Hitler. Esiste quindi un Hitler geniale che coesiste con un Hitler malato.

Dumont prosegue analizzando la natura del nazismo. Citazione: Si potrebbe sostenere che un’ideologia nazista non è esistita, nel senso che tra i nazisti la priorità non andava all’idea ma all’azione, un’azione più distruttiva che rivolta alla realizzazione di un ideale (pag. 168) In questo giudizio si ritrova lo stesso fascista e il “movimentismo” come caratteristiche di un’epoca culturale disperatamente vogliosa di svecchiarsi da secoli d’immobilismo. Dumont prosegue: poche idee collegate tra loro sono divenute oggetto di una fede più o meno unanime che orientava l’azione. Si tratta dell’idea del primato dell’azione, o meglio della lotta e del concetto di “capo”. Forti di questo bisogno di fare, (appunto una concezione del mondo) i partiti della destra oltranzista si sono scatenati sul razzismo ideologico come “azione”, senza un reale fondamento logico: il fare fine a se stesso.

L’antisemitismo va distinto tra religioso e razziale. Quello religioso è stato più o meno presente nei secoli e tende a isolare gli ebrei. Quello razziale, al contrario e pensato nel Mein Kampf, punta alla reale distruzione della razza come igiene del mondo (sterminio). Questo accanimento razziale, maturato da Hitler a partire dal 1919, viene presentato dallo statista tedesco come “la fonte di tutti i mali”.

Un altro aspetto molto importante del nazismo, messo a fuoco da Dumont, . Il rapporto tra la politica e l’economia, per Hitler, fu di natura gerarchico. Concetti di questo tipo, oggi nel 2016, impressionano non poco alla luce di un’economia imperante, senza alcun controllo nelle ue deformazioni e aberrazioni del tipo globalizzazione e delocalizzazione. L’Occidente ha perso la sua natura cultura (infatti nella Ue non esiste una Costituzione) limitandosi alla sola coordinazione economica per inseguire il benessere perdendo idee, concetti e valori. Non sarà che forse su questo aspetto Hitler ebbe ragione nella direzione politica dell’economia?

Sempre nel Mein Kampf si nota una forma di rispetto verso la religione e la Chiesa cattolica. In realtà tale deferenza rispose a delle necessità di pura strategia politica.

Un altro passaggio di valore nel testo di Hilter è quello riferito alla gerarchia. Questa può essere o una gerarchia connessa al valore di chi comanda oppure una gerarchia riferita al potere. Un concetto del genere portò direttamente al motto delle SS: Meine Ehre heisst Treue – Il mio onore si chiama fedeltà.

Lo studioso francese conclude ricordando come Hitler, benché legalmente eletto, in realtà e abbia svuotato di legalità lo stato nazista incarnando in sè l’immagine del potere e della forza della nuova Germania. Il riferimento è all’incendio del parlamento appena un mese dopo la pomposa assunzione di potere. Azione che permise la messa al bando del partito comunista e la formazione dei primi campi di concentramento. Proseguendo lo stile, l’accordo di Monaco del 1938, i nazisti lanciarono la “notte dei cristalli” aprendo alla permanente campagna antisemita. E’ questo “” che ha svelato l’intimo tratto illegale del nazismo.

Grazie per questa illuminata analisi prof. Louis Dumont  – prof. Giovanni Carlini

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