La valutazione dell’azienda. Problemi pratici e oggettivi.

La valutazione dell’azienda. Problemi pratici e oggettivi. D

La valutazione dell’azienda è stato tema d’incontro all’Università Bocconi. Il titolo del convegno è: come si valutano le imprese? Purtroppo l’argomento è stato sviluppato in termini prettamente specialistici tagliando fuori i reali protagonisti dell’azienda: gli imprenditori.

Nonostante ciò, vivendo presso le imprese, assisto a vicende pratiche. Ascolto sempre più spesso commenti di vario tipo. Non ho ordini in portafoglio, il calo è solo del 20% ma mi accontento. Oppure: oggi sono sereno perché ho venduto 1 milione di euro a prezzo di costo, il che mi consente di proseguire.

Che la crisi ci sia o no, questo è il panorama. Quando poi mi sposto dall’ufficio del capo in amministrazione, “apriti cielo” perché con la banca i conti non tornano mai.

Con queste prospettive, spesso sono di fronte ai diversi direttori di banca a discutere sul valore dell’impresa, che sto proteggendo. Questo lo faccio con “un’arma segreta”: il piano di marketing. Essendo questa è la mia vita quotidiana tra più aziende, recarmi al convegno per capire i nuovi criteri di valutazione dell’impresa è un atto natruale.

Rapidamente sisvela la sua vera natura dell’evento: la presentazione di un testo da 900 pagine, a un costo decisamente alto (poco più di 60 euro) sulla valutazione dei beni intangibili d’impresa. Per poter seguire il ragionamento è necessario fare un passo indietro che al meeting non è stato proposto peccando in un eccesso di tecnicismo. La valutazione dell’azienda diventa così complicata.

Anni fa un’impresa valeva sia il suo fatturato sia la quantità di beni iscritti a bilancio, quindi anche gli immobili, gli automezzi. In pratica ogni valore aveva un corrispondente dato numerico da sommare. A questo risultato, presente ancora oggi nei bilanci, se ne aggiungeva un altro: l’avviamento. Se di più complessa quantificazione la capacità di produrre reddito (avviamento) porta il valore d’impresa dallo sterile conteggio di “cose” a qualcosa di più intangibile. Ecco che emerge l’immateriale che produce ricaduta monetario dall’agire sul mercato.

Perché tutto questo? Semplice! Il prezzo delle azioni per “decollare”, non potevano più essere collegate solo ai beni materiali e al fatturato. Al contrario per far lievitare i valori è necessario connettere azioni-azienda attraverso qualcosa di meno misurabile. La valutazione dell’azienda diventa così elemento di speculazione.

Facciamo un esempio. Se dovessimo comprare l’azienda Fiat, la pagheremmo al valore che emerge dalle scritture contabili più avviamento. Al contrario, la tendenza attuale e nel considerare anche e di più la visibilità pubblica del marchio. Diciamo una super valutazione dell’aviamento. Lo scopo? Alzare il prezzo.

Chiarito di cosa stiamo parlando, si percepisce immediatamente la pericolosità dell’argomento. La crisi del 2008 (subprime) è nata con questi giochetti. Può un’impresa valere di più come beni intangibili rispetto a quelli tangibili? La logica dice di no. Il convegno non si è espresso sull’aspetto. Purtroppo sarebbe stato esattamente questo il punto dell’intera valutazione. La valutazione dell’azienda resta quindi in crisi.

Il concetto dell’intangibilità dei valori nel bilancio in realtà è mal posto. Sono necessari dei correttivi comunque collegati alla realtà anzichè la valutazione dello specialista. Serve un valore intangibile che sia collegato, ad esempio all’età delle persone in servizio (più mature = più capaci). Quindi la presentabilità sul mercato e rappresentatività dei commerciali. Va considerata anche l’abilità a ridurre la litigiosità interna (gestione del personale).

Sono tutti segnali di un’organizzazione che potrebbe produrre di più a prezzi minori. Una sensibilità di questo tipo vale un qualcosa. Lo Aswath Damodaran della Stern School of Business di New York. Peccato che per spiegare questi concetti siano servite 900 pagine.

Related posts

Comprare un grosso lotto dal fornitore per servire il cliente

Budweiser American beer e il grande errore

Il dipendente che poi ti molla. Prof Carlini