La madre chiude il negozio e la figlia preferisce non uscire di casa comprando tutto on-line: che affare!
Una madre è costretta a chiudere (non fallire, è diverso, perchè chiude nella dignità d’aver onorato tutti gli impegni presi con fornitori, affitti, utenze e quant’altro) e un fallimento relazionale e sociale di chi si è rintanato in casa pur consumando. Il giudizio morale sulla figlia è qui severo, duro, senza appello: la figlia è una persona superficiale.
L’acquisto on line va analizzato sotto due profili.
Da parte del venditore, la vendita virtuale normalmente rappresenta un supporto al reale. In linea di massima tra il 10 e il 25% del fatturato è quanto il virtuale può apportare. Queste sono le dimensioni di impresa sana che resta sul mercato per lungo tempo. In questo caso si tratta di una realtà REALE a cui il cliente può ricorrere in caso di problematiche sul prodotto acquistato. Laddove l’azienda è REALE lo è anche il mercato e quindi la clientela, i loro umori e fedeltà.
Analizzando il lato del consumatore, l’acquisto a distanza, immateriale, senza contatto con il negozio e il commesso, s’esprime per un prodotto noto e maturo. L’acquirente non ha dubbi su quanto desidera. Si tratta di un biglietto ferroviario come aereo o della spesa alimentare al supermercato (anche se in quest’ultimo caso vedere quello che si compra è saggio evitando prodotti avariati o con scadenza ravvicinata).
L’acquisto però non sempre è certo sul prodotto, ma potrebbe richiedere un processo di scelta. In questo caso il virtuale s’appoggia al contatto telefonico dell’azienda in grado d’indirizzare l’acquisto. E’ il caso di una macchina fotografica ad esempio, non dell’autovettura.
Il blindarsi in casa acquistando il necessario con prodotti abitudinari, non depone bene per la figlia dell’ex imprenditrice perchè indica un rifiuto dal contatto commerciale. Si denota una povertà di scelta. Non è finita, il bello arriva ora.
Made in China? No I can’t buy it. Prof Carlini