La crisi della globalizzazione archivia un’era lasciandoci soli

La crisi della globalizzazione è ormai conclamata. I danni che sono stati prodotti, nella società occidentale, sono enormi. Tecnicamente la precarietà, che si è sviluppata nel mondo del lavoro, si è trasferita nell’instabilità di coppia provocando separazioni e divorzi in grande quantità. L’ISTAT comunica che il 42% delle coppie coniugate divorzia. C’è una statistica che indica nel 60% le separazioni tra coppie non coniugate. Si tratta di un’epidemia dell’amore che oltre a sfasciare le famiglie porta in disagio affettivo i figli.

I veri effetti della crisi della globalizzazione non si limitano alla sola disoccupazione da delocalizzazione, ma sono più vasti. Il vero costo (prezzo) da globalizzazione coglie la sofferenza delle giovani generazioni in carenza/assenza di amore genitoriale. Abbiamo quindi un popolo di giovani “incazzati sociali” che non credono all’amore, consumando quote di vita (sesso – alcool – poco studio – superficialità).

La crisi della globalizzazione, con tali osservazioni, esce dagli schemi di ragionamento del pensiero economico per entrare nella competenza della sociologia della devianza.

A questo punto la domanda cambia: come se ne esce dalla globalizzazione? Evviva Brexit e Trump, ma saranno la soluzione indicata? Queste ultime prospettive socio-economiche e politiche sono su base nazionale, includendo accordi bilaterali. Probabilmente, nell’era globalizzata, si è esagerato in accordi con troppe Nazioni allo stesso tempo.

Possiamo pensare al futuro con una Confindustria così arretrata e arroccata nello sfruttamento del lavoro? Il rifermento è ai contratti di stage e apprendistato.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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