Le interviste: resisti e combatti
Le interviste alle imprese. Inizia con questa puntata una serie d’interviste a imprenditori e manager del settore siderurgico italiano, non tanto per capire le tendenze di mercato, ma come reagire a una congiuntura difficile e lunga. Vale la pena opporsi e battersi o è meglio chiudere e delocalizzare? È forse vero che ci troviamo dalla parte sbagliata del mondo come produttori e commercianti d’acciaio?
A queste domande sono invitati a rispondere tutti, ma al prezzo di un’idea. Il prezzo da pagare per comparire in questa rubrica è quello d’offrire un punto di vista, anche discutibile, che ci dia una testimonianza d’aiuto nel prendere una decisione se lottare o chiudere l’attività. Primo personaggio a rispondere alle incalzanti domande di è Ugo Bertana (nell’immagine), responsabile commerciale.
Signor Bertana, grazie per aver accettato questa intervista. Lei che vive da 25 anni nel mercato, ritiene valga la pena battersi per restarci alla luce della lunga crisi che attraverso il settore?
Era un bel mestiere e ora non lo è più o lo è molto meno! Parlo di distribuzione siderurgica, settore nel quale lavoro da molti anni, con diverse mansioni, che ho appena lasciato da perché non offre prospettive. Andando più in profondità mi chiedo: ci sarà ancora un futuro per la distribuzione siderurgica? E questo Paese avrà ancora un’industria siderurgica e un fabbisogno di acciaio? Se guardo all’involuzione degli ultimi cinque anni la risposta è no. Chi assorbe acciaio sono sia l’edilizia che l’industria manifatturiera, meccanica e pesante. La prima è ferma e la seconda, in buona parte delocalizzata. Va anche rilevato quanto, a differenza degli Usa, non ci sia nel nostro paese alcuna tendenza al rientro in Patria delle imprese dall’estero, per cui non c’è speranza. In Italia professori, esponenti politici, sindacalisti enunciano la necessità della crescita con la leggerezza dell’assunto teorico, ma nel concreto nessuno sa chiaramente con quali strategie e investimenti intende riavviare la crescita. La distribuzione siderurgica, inoltre, deve fare i conti con un altro problema: la frammentazione della clientela in piccole aziende artigiane, sottocapitalizzate, con un mercato assolutamente locale, poco organizzate, per nulla strutturate, e vessate dal difficile accesso al credito. La solvibilità di queste sta creando serie ripercussioni sulla linearità della riscossione del credito e ciò crea costi finanziari pesantissimi per i distributori. Per venire al tema centrale: resistere o mollare? Se non cambiano le prerogative generali dell’economia nazionale, ossia più industria e meno finanza con annesso apparato burocratico, peso del pubblico, pur volendo resistere a tutti i costi, sarà necessario mollare.
Ci troviamo dalla parte sbagliata del mondo?
Non credo ci troviamo dalla parte sbagliata del mondo per produrre. È vero che negli ultimi 25 anni il mondo occidentale-industriale, Italia compresa, ha regalato know-how ai paesi emergenti, trasformandoli in principali concorrenti, ma è anche vero che un certo tasso di qualità dei prodotti non ci è ancora stato “sottratto” per cui la nostra industria è da considerasi competitiva sui mercati globali. Dovremmo poi capire se globale è anche sostenibile, ma questo è un ragionamento che ci porterebbe lontano, è evidente che la crescita farebbe ripartire il mercato interno con un rilancio virtuoso del volano economico. In Italia viviamo un paradosso che spiega la pessima gestione dello Stato: abbiamo gli stipendi netti tra i più bassi d’Europa, con il costo del lavoro tra i più alti. Questa realtà, crea un doppio danno: potere d’acquisto neutro (tutto ciò che il lavoratore guadagna, lo riversa in spese necessarie, quindi azzerando il risparmio) e perdita di competitività sui mercati. Noi, Stato Italiano, dobbiamo darci una regolata; l’Europa, se vuole proseguire il cammino dell’unificazione, deve appianare le differenze di retribuzione.
Le interviste: anche se ha lasciato questo mercato, cosa dovrebbero fare, secondo Lei, le imprese per tenere duro?
Temo che molte ditte non abbiano ancora pensato una strategia per tenere duro ed è anche questo uno dei motivi che mi ha portato ad uscire dal mercato. Credo che molti attendano il passaggio del ciclone rischiando d’essere travolte, soprattutto se gli effetti resteranno per i prossimi anni come sostengono molti esperti. Negli ultimi tempi mi sono confrontato con colleghi della distribuzione siderurgica su una domanda: resisteranno le aziende grandi, quelle piccole o quelle di mezzo? Nessuno ha certezze, se non una: ci sono ancora troppi distributori di prodotti siderurgici rispetto all’assorbimento residuale rimasto da troppe delocalizzazioni.
Le interviste: potendo lanciare un messaggio alla categoria cosa direbbe?
Ai distributori siderurgici vorrei dire che è tempo di cambiare cultura d’impresa; che vivere isolati dai colleghi non è il modo per difendere i propri “segreti” aziendali, ma soprattutto non si difende così la propria azienda. L’individualismo è superato, al contrario è necessario parlarsi, confrontarsi e specializzarsi. Resta però valida una verità di fondo: se non giungono dall’alto, dal Governo, segnali generali d’indirizzo, è difficile che tanti piccoli timonieri riescano ad individuare da soli la rotta da tenere. Gli imprenditori e i loro dipendenti, quindi le aziende, probabilmente sono disposti a sacrifici e a un approccio corretto col fisco più di prima, ma devono poter capire in che direzione investire e lavorare.