Il mercato americano non è unitario ma frammentato in molte aree. Considerare gli Stati Uniti un mercato unico, rappresenta l’errore classico dell’imprenditore italiano che si muove negli Usa. Detto questo andiamo con ordine.
Aprire una sede negli Usa è saggio, sopratutto grazie ai fondi che il governo italiano mette a disposizione delle imprese. Si tratta di quel 12,5% sul fatturato medio dell’ultimo triennio, di cui molto si è ragionato in queste pagine del sito. Ovviamente è importante essere innovativi. L’imprenditore che risponde d’essere solo commerciale, senza voler diventare anche produttore è tagliato fuori.
Proprio oggi ho avuto un contatto by Skype con un imprenditore italiano. Questo Signore ha già una sede americana da 4 anni che considera ancora start up. Presento all’impreditore più opportunità che sono:
a) passare da solo commerciale ad anche produttore con una modifica del codice ATECO (la risposta è NO)
b) produrre un rubinetto a risparmio energetico in Italia o negli Usa (la risposta è NO)
c) chiedere i fondi allo Stato Italiano per espandersi all’estero a patto d’avere un’iniziativa innovativa. La risposta è NO.
In 15 minuti ci siamo salutati. Non è stato tempo perso. Ancora una volta tocco con mano il limite strutturale delle imprese italiane. Aziende che non vogliono cambiare restando nel solo “già fatto – sappiamo fare”. L’unica lamentela dell’imprenditore italiano è che il mercato americano è grande! Significa composto da più aree e sottosettori. Infatti lo riconosce come errore di fondo nell’apertura della sede statunitense.
L’approccio corretto agli Usa è aprire una sede di produzione e commercializzazione. Si tratta della sola fase 1. Da questo passo iniziale (finanziato dallo Stato Italiano) muoversi passo dopo passo sulle altre 12 aree commerciali del Paese. Certo non tutte e 12 ma iniziando un percorso di presenza. Non è difficile e anche remunerativo.