Il distretto industriale: Usa ed Italia, metodiche diverse

Il distretto industriale non è un concetto solo italiano. Anche gli americani hanno i loro distretti collaudati dal 1860. 

Il distretto industriale, inteso quale insieme di relazioni tra aziende fortemente radicate in un territorio, non è un concetto italiano. Nel nostro paese questa prospettiva è servita per aprire una “terza via” tra la grande azienda capitalistica e quella artigianale. Tuttavia, la modalità operativa principale, piccole aziende che lavorano per una/due “medio-grandi”, fu premiante negli anni Settanta; oggi è un limite. Il distretto italiano è proteso verso l’interno. Negli USA il distretto industriale  funge da trampolino per la conquista dei mercati. Sintetizzando il distretto industriale italiano è rivolto verso l’intero e quello statunitense all’esterno. 



I distretti industriali USA
In tutto il paese ce ne sono 12 come macro aree e quasi 150 effettivi. In Italia sono 105. Il distretto americano esprime prima di tutto una macro area di rilevamento ai fini statistici nazionali. Dal piano nazionale si giunge a quello di singolo Stato. Ogni Stato censisce i suoi distretti. L’individualismo è importante, infatti nel distretto industriale americano emerge l’impresa individuale più che il conglomerato.

I casi da manuale sono come in italia i poli informatico ed aeronautico. L’enfasi americana però stimola la singola azienda a battersi sul mercato globale. A questo punto, il “distretto nord americano” funge da palestra per aziende. Praticamente il distretto USA funziona perfettamente al contrario di quello italiano.



I distretti industriali hanno un futuro?
Sono molte le questioni aperte da affrontare per rispondere. Il modello distrettuale è ancora compatibile con i mutamenti in corso nell’economia mondiale? In secondo luogo, bisogna isolare le criticità ed i punti di forza per comprendere come intervenire. Su questa strada ogni paese, che adotta il modello “distretto” non ne ha messo in discussione la validità teorica. La riflessione è come uscire dalla crisi.

Come si resta sul mercato evitando di scomparire?
Per avere convenienza a produrre e restare sul mercato, un’impresa deve ottenere un vantaggio competitivo rispetto ai concorrenti. Può farlo collocandosi in una fascia di basso prezzo per raggiungere grandi volumi di produzione. Oppure agendo su una forte differenziazione in grado d’esaudire particolari esigenze di consumo. Infine puntando su alta innovazione di prodotti ottenibile con al ricerca scientifica.
Le possibilità sono molte e variamente combinabili. L’esperienza dei distretti è stata studiata da Marshall e da altri, quali Giacomo Becattini e Arnaldo Bagnasco. Tutte le ricerche si collocano in una dimensione di forte concentrazione d’impianti di piccole dimensioni in un unico territorio. In questo modo di produrre i costi di transazione sono ridotti.
La circolazione della conoscenza è un elemento decisivo: molto del sapere tradizionale viene trattenuto e tramandato. I settori produttivi, maggiormente interessati, sono quelli considerati “tradizionali” come la moda, la meccanica strumentale, l’arredamento.



Un rilancio?
Certamente va considerato il livello del capitale umano su cui poggia il concetto stesso di produttività. Va ricordato come, quest’ultimo parametro, non dipenda solo da com’è strutturato il posto di lavoro. Al contrario coglie il modo di vivere nella società i suoi stili comportamentali e di litigiosità.
Una nazione come quella statunitense, decisamente più solidale e compatta delle europee, gode di una produttività economica maggiore.
A questo proposito c’è una nuova prospettiva. Inserire, nel bilancio delle società, un valore che sintetizzi quanto vale il fattore umano. In pratica misurarne la produttività.
Nel solco della formazione continua si spiega la maggiore produttività statunitense.

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