La troppa fretta nella globalizzazione
a) la Daimler Benz tedesca richiama in servizio 300 pensionati, alcuni di essi hanno oltre 70 anni. La missione è semplice: far funzionare l’interfaccia tra i sistemi informatici e la catena di produzione in Asia;
b) molte imprese tedesche e non, quindi italiane e francesi, sono disorientate dal crollo del mercato russo, considerato uno dei più promettenti;
c) diverse aziende italiane stanno rientrando dai paesi dove avevano precedentemente delocalizzato (Romania e Cina);
d) un imprenditore italiano, attivo nel settore automotive, chiude in Cina il suo stabilimento di 3mila dipendenti, per trasferirsi in Messico;
e) giunge notizia di una joint venture in India, ferma perché la controparte indiana pretende molto di più rispetto quanto inizialmente stabilito per contratto.
C’è un filo conduttore comune: la fretta.
Che i ragazzi debbano urgentemente entrare nel ciclo produttivo è strategico affinchè escano dalle famiglie, si sposino e facciano figli in età giovane per poterli educare adeguatamente.
Quindi il lavoro è una condizione di civiltà. Però i ragazzi vanno inseriti in un percorso formativo che si chiama carriera.
Sorrido perché si tratta mediamente di personale a cultura incompleta in grado di produrre importanti guasti nelle aziende.
Tradire questi concetti significa sicuramente essere alla moda, ma consente alla superficialità di governare un mondo più complesso. La stessa crisi subprime è frutto di ragazzini posti in condizione di comando.