Gennaio 2011 – Analisi di mercato area stampi. Prof Carlini

Gennaio 2011. Osservatorio sulle condizioni economiche dell’industria degli stampi. Prof Carlini 

E’ l’ora di tirare fuori i denti

Per cercare di capire quali siano gli orientamenti per il 2011, la Redazione di STAMPI si è rivolta direttamente ai protagonisti del mercato.

INTERVISTA

Il ringraziamento va al Signor Presidente Guido Giasini e al suo vice, l’imprenditore Lino Pastore per aver partecipato a questa inchiesta.
Domanda: che idea vi siete fatti del 2011 e tutto sommato come ha chiuso il 2010?

Giasini:la domanda sul 2011 è molto interessante, perchè da almeno due mesi me la pongo e rimango più o meno sempre con la stessa sensazione di vuoto, ovvero d’incapacità di formulare una risposta articolata quanto completa.
Di certo il 2010 è stato un anno difficile, sia per l’instabilità del carico di lavoro che per le condizioni economiche trattate con i clienti; però abbiamo lavorato, anche se a strappi.
L’attesa per un 2011 migliore si è sciolta di fronte alla constatazione che i clienti continuano a non esprimere nessun piano d’investimento nel medio periodo, per cui ne risentiamo come stampisti d’Italia, di tutte quelle decisioni di rinvio che i nostri clienti applicano per gestire la situazione. In pratica capiamo i momenti di “estrema necessità” e di vera urgenza dei nostri clienti, ma ne risentiamo a tutti gli effetti noi!. Quindi non riponiamo nessuna aspettativa ottimistica nell’anno appena iniziato.
Inoltre mi sembra evidente che il perdurare della crisi, nel nostro settore, stia portando diverse aziende a ripensare il posizionamento e la loro stessa esistenza. La prova è nelle diverse chiusure che abbiamo sofferto. Il riferimento corre a imprese che erano dotate di una lunga storia ed esperienza, la cui assenza la viviamo come un vuoto per noi tutti.

Lino Pastore:non vi è molto da aggiungere a quanto già espresso dal Presidente che mi trova in pieno accordo. A livello personale, il nostro 2009 come Giurgola Stampi – www.giurgolastampi.it è stato un anno non di crisi, abbiamo trovato lavoro oltre che in Italia, anche all’estero, Turchia Russia e altre piccole commesse da paesi minori. Come fatturato il 2010 è stato di poco sotto al 2009 ma lo consideriamo un buon risultato.
Riguardo l’ultimo periodo del 2010, confermo quello che il Presidente ha già detto, sembra che a partire da luglio, sia tornata la paura d’investire, probabilmente perché l’informazione (politica e non), e stata concentrata su scissioni di partiti e gossip, dimenticando di scuotere i nostri governanti a concretizzare qualcosa che possa far intravedere manovre orientate allo sviluppo, crescita e stabilità.
Soluzioni o consigli per combattere la crisi non credo che né io né all’interno dell’associazione se ne possano trovare, unire le forze certo è cosa buona e importante, sia per ridurre i costi commerciali per penetrare in paesi che in questo momento sembrano brillanti, che per presentarsi al cliente con un’altra forma e forza. Non solo ma anche unire le nostre aziende afflitte da un eccessivo quanto forte individualismo, anche solo per pochi aspetti in comune come partecipare a una fiera ad esempio, è un lavoro difficoltoso e lungo.
Inoltre la crisi fa si che il mercato dia oggi dei segnali, che domani verranno totalmente smentiti, di conseguenza è molto difficile intraprendere iniziative facendo calcoli e previsioni, a meno che si abbia a disposizione una sfera di cristallo. Quindi chi ha intenzione di muoversi sul mercato, sia in termini commerciali che relativamente agli investimenti, lo deve fare alla vecchia maniera, con il buon fiuto del piccolo imprenditore rischiando di tasca propria.

Domanda:in percentuale il 2010 cosa ha rappresentato sul 2009?

Giasini:in sostanza il fatturato è variato di poco con un leggero miglioramento. In conclusione il 2010 è stato un anno migliore sia sotto il punto di vista del fatturato che in termini di ore complessive lavorate ma questo non migliora le visuali sul 2011.

Domanda:da più parti gli imprenditori segnalano come il 2010 si sia comportato in maniera diversa nel corso d’anno. In particolare gli ultimi 4 mesi hanno rappresentato un segnale più difficile rispetto a quanto accaduto fino a settembre. Ve ne siete accorti anche voi?

Giasini:Francamente come Associazione Stampisti, abbiamo notato e registrato un certo raffreddamento negli investimenti, dopo la fiammata di metà anno nel corso del 2010. Nell’estate scorsa credevamo in una ripresa e ci siamo illusi! Purtroppo la ventata di euforia che abbiamo avuto adesso ci pare esaurita e, di fatto, siamo tornati ai livelli del 2009 in termini di propensione agli investimenti e budget disponibili.

Domanda:consci delle difficoltà che la categoria sta vivendo, quali sono i provvedimenti o anche suggerimenti che l’Associazione offre ai suoi iscritti?

Giasini:i consigli sono decisamente merce rara e difficile da reperire! Come Associazione siamo convinti che serva cercare maggiore penetrazione in quei mercati, che sembrano esprimere una più forte e decisa dinamica e costanza d’ordini. Per esempio pensiamo alla Germania in Europa, come al Brasile fuori dal nostro continente. Molto importante sarà fare gruppo con gli associati per lanciare e condividere iniziative, impegni e i connessi costi.

LANCIARE L’ATTACCO

Un titolo di questo tipo nasce dall’idea di sentirsi in trincea e dal bisogno di sopravvivere. Per farlo l’unica alternativa non è quella di arroccarsi sempre di più (tanto l’artiglieria nemica ti centra prima o poi) ma al contrario sbalzare fuori e aggredire le linee nemiche (lo fece Guderian nel giugno del 1940 accerchiando con i carri armati la linea Maginot).
Vedendo le cose in questi termini l’assalto è la formula vincente.
Come si fa un assalto?
a) bisogna dotarsi di un piano di marketing senza il quale la “navigazione è a vista”. Questo documento lo redige uno specialista, quindi un esterno all’azienda in 3 o 4 settimane e costa intorno ai 2.500 euro. In pratica lo studioso deve prima di tutto analizzare il mercato, poi l’impresa e quindi come si collegano (se si collegano) le due realtà. Capirne la velocità e tempi di reazione. In questa maniera è possibile immaginare a 12-18 mesi come si svilupperà l’impresa se controllata ogni mese, in base a un sistema di contabilità industriale finalizzato alla redditività d’impresa;
b) sarebbe saggio assumere (parola in questo momento molto osteggiata da tutti) una apprendista di sesso femminile in grado di reggere una conversazione telefonica in altre lingue. Il costo industriale per una figura di questo tipo è nell’ordine dei 1300 – 1.600 euro al mese. Il vantaggio risiede in un personaggio che settorialmente (nazione per nazione) cerca contatti con potenziali clienti d’approfondire nella persona dell’imprenditore, tramite appuntamenti o alle fiere. Essendo stato esteso il contratto di apprendistato a 6 anni, si tratta di un lasso di tempo così impegnativo che consente qualsiasi serio lavoro di screening si volesse fare. Ovviamente questo passo vale anche per il territorio italiano e la frequentazione di tutte le camere di commercio che il nostro paese intrattiene con gli altri stati. Il riferimento corre alla camera italo-tedesca, come quella italo-ungherese etc,,
c) se quanto indicato sinora rientra nella sfera di marketing e quindi quella commerciale, non bisogna dimenticarsi della parte gestionale. La sensazione più diffusa è che i nostri imprenditori navighino a vista. Quando si chiede loro quant’è l’incidenza del costo del personale sul fatturato, o il punto di pareggio, quindi la produttività per singola unità lavorativa, si entra in un’area d’incertezza che invece dovrebbe essere molto diretta e chiara per fissare bene i prezzi, che attualmente viene assicurata tramite schede di lavorazione non aggiornate almeno ogni 3 mesi (l’ideale sarebbe ogni 15 giorni in quanto il cambio dei prezzi delle materie prime impone una costante revisione). Anche se in effetti il maggior costo derivante da un rincaro delle materie prime non è “scaricabile sul mercato” perché i clienti non lo accetterebbero, va monitorato il deterioramento della capacità di far utile da parte delle attività finchè si entra in area negativa. Varcata questa soglia bisogna decidere se proseguire la lavorazione o interromperla, fino a che le condizioni di mercato non consentiranno di poter rientrare. E’ palese che con questo ragionamento stiamo parlando di imprese al margine e rischio di scomparsa. Questa è la realtà. Per evitare di uscire dal mercato serve abbassare il punto di pareggio con una sana gestione dei costi. Qui va ricordato che risparmiare non vuol dire tagliare la spesa ma spendere meglio!
d) Va rivisto l’organigramma (sperando che ogni impresa ne abbia uno) a fronte del quale non è scontato che in caso di un pensionamento si debba necessariamente assumere una nuova persona. L’informatica ha saputo fare miracoli nella ridistribuzione dei carichi di lavoro riducendo il numero di addetti per lavorazione;
e) Sistematicamente va dato il mandato a uno specialista (forse al commercialista se in grado) di scandagliare tutta la giungla della finanza agevolata d’impresa, a patto che si possa contare su un progetto, che “rappresenti un avanzamento dello stato della tecnica”. Su questo aspetto merita soffermarsi. E’ tecnicamente impossibile che maestranze e capi impegnati da anni “sullo stesso stabilimento e macchinari” non abbiano idee per piccole (minime) ma significative migliorie al ciclo di produzione. Ciò che non emerge dopo anni passati al lavoro è solo frutto della pigrizia e della non organizzazione. Serve pianificare le idee e una partecipazione al lavoro che non sia snervante ma espressiva nelle idee. Il concetto di base è: se è sempre stato fatto così possiamo modificare e semplificare quel certo passaggio nella fase della lavorazione?
f) Ciò che tutti si dimenticano è il bisogno di “far squadra”. Negli USA, in produzione ma anche nei supermercati, c’è la bandiera che copre quasi un’intera parete, quindi la divisa aziendale con tanto di nome e ancora la bandiera. Qui non si tratta di celebrare l’unità del Paese, ma di aiutare un gruppo di persone a sentirsi clan (a beneficio della produttività) Chissà come mai negli USA la produttività per addetto è 4 volte maggiore di un italiano? Non sarà una bandiera e uno spirito di gruppo a fare la differenza ma certamente da qualche parte si dovrà pur iniziare.
Buon lavoro.

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