Al 30 giugno il Rapporto Metalli. Studi del prof Carlini
Ci sono segnali di miglioramento, ma solo per chi esporta!
A titolo consolatorio la televisione e tutti i bollettini economici confermano che è in atto una ripresa. Se ciò viene scritto, vuol dire che sarà anche vero, benché non ci siano reali segnali nel Paese. A ben guardare, in effetti le tendenze ci sono e i fatturati stanno aumentando però c’è un particolare molto importante da considerare; cresce principalmente chi esporta.
Detto in termini ancora più chiari: il recupero è più rapido per quelle imprese che hanno saputo posizionarsi stabilmente sull’estero (che sono solo in Italia il 17%) Con molta fatica e navigando a vista, qualcosa dal Brasile e dalla Cina arriva a livello d’ordinativi, mentre stenta a decollare, ma va considerato con un futuro nei prossimi mesi, il mercato nordamericano. Meno prospettive si nutrono sulla Russia e il Medio Oriente.
Valutazioni di questo tipo sono confermate anche dall’Acimga (macchine per la grafica) che tradizionalmente esporta il 70% del fatturato. A livello di previsioni sul piano più generale e a carattere nazionale, il 2010 dovrebbe rappresentare un incremento sul 2009 (il che non consola assolutamente perché esprime tutto il suo disagio un confronto così concepito basandosi su un anno di grande crisi) di solo il 6% sulla chimica, del +3% nel settore dell’elettronica, quindi il 2% per il legno-arredo e infine l’1,5% per l’elettrotecnica. Ecco perché si parla di stallo o crescita lenta, il che è sicuramente meglio di una recessione, ma troppo poco per riassorbire forza lavoro e generare ricchezza.
Chi è ancora in difficoltà al 30 giugno
Chi soffre ancora è l’intero comparto dell’edilizia e dell’automotive anche se quest’ultimo potrebbe esportare, ma evidentemente c’è una crisi di modelli e scelte, che non sono più adeguati alle necessità del mercato. Chi scrive, come corrispondente dall’estero, visse un anno fa una feroce critica negli USA ai costruttori locali d’auto in attesa di finanziamenti pubblici. Ebbene il problema in nord America non fu se sostenere oppure no il settore, ma che tipo di veicolo debba servire agli automobilisti americani, alla luce della crisi economica, ancora in pieno sviluppo. Si giunse alla conclusione che l’industria americana non aveva capito le nuove tendenze sociali. Lo stesso problema lo si osserva oggi in Europa e in Italia da parte di una casa automobilistica, la Fiat che appare più impegnata nell’ottenere sostegni di Stato, che produrre soluzioni. Tornando sul piano più generale, Federchimica esprime in chiaro il pensiero di tutti, che la “ripresina” dei primi 4 mesi potrebbe non consolidarsi, perché i fondamentali dell’attività produttiva, restano sempre i consumi delle famiglie e l’export. Essendo terminato l’aiuto dato alla produzione dal ripristino delle scorte nella ricostruzione delle giacenze di magazzino, non sembra che ci sia ripresa nella domanda dei consumatori, lasciando ogni speranza al solo export.
E’ cambiato il modo d’ordinare la merce
Come sottolinea la Federazione gomma plastica, che ha perso nel 2009 un milione di tonnellate sulle 7,5 che rappresenta l’intero fatturato del comparto, (chi ha ceduto è l’edilizia, l’auto e il settore degli imballaggi) è cambiato qualcosa nella pianificazione degli acquisti da parte degli operatori. Non più commesse a medio termine o forniture valide per mesi. Se va bene gli ordinativi hanno una pianificazione valida per poche settimane. Nell’incertezza le imprese acquistano il minimo indispensabile per non appesantirsi finanziariamente.
Sono anni che questa rubrica di LAMIERA lo scrive
Riprendendo i concetti appena confermati dalla Federazione gomma plastica, questa rubrica di LAMIERA afferma da anni, di non comprare materia prima oltre il livello minimo di riordino del magazzino, anzi, se possibile d’abolire definitivamente questa forma d’immobilizzazione del capitale con procedure just in time, quali già sperimentate in diverse imprese del nord est italiano e nel bresciano. Non solo, ma anni fa (all’elezione dell’attuale presidente degli USA) s’indicò in questa rubrica, quale cambio di riferimento corretto tra il dollaro e l’euro 1-1.25/1-1.20 quindi quando oggi sotto gli occhi di tutti fu anticipato e spiegato dov’è e come si giustifica la sorpresa di molti (troppi) operatori? Il problema è più grave. Appena scoppiata la crisi nel 2008 tutti gli attuali manager sfilarono nei diversi meeting affermando: non avevamo visto e capito. Forse allora poteva anche passare come concetto. Oggi quei manager sono più o meno gli stessi. Anche adesso la litania non cambia e vale anche sia per giornalisti che commentatori di ogni tipo. Eppure basterebbe leggere!
I paesi più promettenti solo quelli dell’area del dollaro
Sempre l’Acimga come anche l’Anima (settore meccanica) in un loro recente bollettino affermano: il riallineamento dell’euro rispetto al dollaro è un segnale positivo, un fatto che potrebbe tradursi in un concreto vantaggio per il nostro export considerando che i paesi del dollaro sono quelli più promettenti. Per l’Acimut (macchinari tessili) i segnali di ripresa vengono invece dalla Cina, India e Brasile.
Se l’export tira, è la crisi di liquidità il vero ostacolo
Un rischio scampato
Se il ciclo delle materie prime fosse ulteriormente proseguito, la debole ripresa in atto si sarebbe arenata. Qui sorge un problema: qual è il giusto prezzo di una materia prima? La risposta è semplice. Se questo valore non è speculativo, si colloca tra il bisogno del mercato per usarlo e del produttore-distributore per poterci lavorare. Con questo criterio gli attuali prezzi dovrebbe scendere del 50% e non è escluso che accada nei prossimi mesi.
Come fare un sereno confronto per misurare la crescita di produzione
Ogni misura di crescita della produzione che oggi viene facilmente riportata dagli organi di stampa, dovrebbe essere correlata a due dati di base. Il primo si dovrebbe riferire al 2008 prima della crisi, che esprime la reale distanza che intercorre tra “il prima e il dopo”, pur sapendo che serviranno forse 5 anni per riprendere quel livello (se non fallisce l’intera penisola iberica in Europa). Il secondo, anche se sappiamo quanto sia fallace perchè di pura tendenza, riferito al solo 2009.
Un dato che lascia pensare
Nel primo trimestre del 2010 l’Australia ha registrato un output di minerali ferrosi pari a 103,45 milioni di tonnellate, con un incremento del 29% rispetto allo stesso arco di tempo del 2009 ma un netto e significativo calo del 4% se il confronto è fatto con gli ultimi tre mesi del 2009 ovvero da quando si parla d’incrementi di prezzo. E’ noto come questi incrementi siano considerati in tutto mondo, ovvero mera e squallida speculazione (il canto del cigno?) Infatti, in aprile l’export di materia prima è a 94 milioni di tonnellate. In aggiunta, spostando l’ambito di ricerca per cercare di comprendere di più, nel primo trimestre 2010 la produzione australiana di coke metallurgico ha raggiunto 84 milionidi tonnellate il che significa un -10% su base trimestrale.
Quando il prezzo praticato è un suicidio (al 30 giugno sperando nel futuro)
A metà giugno dopo le acciaierie giapponesi, anche quelle cinesi hanno ricevuto comunicazione dal gigante minerario australiano Rio Tinto, in merito al prezzo del minerale ferroso per il terzo trimestre, ovvero 147 dollari la tonnellata FOB, con un incremento del 19,5% rispetto al secondo trimestre. La decisione di Rio Tinto è stata ovviamente accolta con grande disappunto dai produttori d’acciaio cinesi, i quali starebbero valutando la possibilità di rivolgersi al mercato spot, dove le quotazioni sono in diminuzione.
La Cina non accetta e cala anche la produzione
Sul futuro del prezzo dell’alluminio francamente non ci sono spunti per ritenerlo in crescita, per cui si è aperta finalmente una fase di contrazione delle quotazioni. La sensazione è che questa fase sia strutturale e non occasionale, proviene anche dalla volontà dei produttori d’alzare la quantità di minerale immesso sul mercato, per rifarsi di recenti perdite recentemente subite inseguendo un monotono quanto non giustificato trend rialzista. E’ il caso della russa Rusal (il numero uno al mondo per l’alluminio) che punta a una crescita del 12% della produzione in un suo impianto elevando a 390mila tonnellate l’output del 2010.
Per maggiore conferma della tendenza al calo dei prezzi sull’alluminio, la cinese Chalco (uno dei maggiori produttori d’allumina al mondo) in giugno ha ridotto del 5% il prezzo come risposta alla crisi nell’area UE ,dove si sta riducendo la domanda per la fabbricazione dell’alluminio.
Si può definitivamente affermare che siamo entrati in un’era di contrazione dei prezzi delle materie prime. Sr questo è assodato il problema è un altro: questa contrazione riporterà i metalli a che data rispetto al 2002, inizio della fase speculativa?
Con queste premesse l’alluminio torna a essere un metallo sicuro, per una certa scorta fisiologica di magazzino.
Già ai primi di giugno il rame si è portato sotto la soglia tecnica della media cosiddetta mobile, dei precedenti 200 giorni, ovvero ha sfondato al ribasso i 6.850 dollari la tonnellata (base tre mesi). L’andamento dei mercati USA è ora tornato a svolgere un ruolo di primo piano nelle considerazioni future del rame, su cui pesano (senza reale ragione) le sorti del mondo. Come ad esempio l’ipotesi di un raid aereo israeliano, a danno delle centrali nucleari militari iraniane e le tensioni tra Coree, mantiene basso il valore del metallo. La sensazione è che non si sappia più che cosa dire, lasciando assumere a questo mercato dei ruoli che non gli spettano.
Nell’incerto della politica mondiale (che è sempre stata “vivace”) c’è di certo che finalmente anche il rame si sta sgonfiando, ma non è ancora giunto il momento di comprare, perché si rischia di immagazzinare quando poi sarà difficile vendere.
Sembra un paradosso, ma oggi con i prezzi calanti è più difficile fare impresa rispetto a quando i prezzi salivano sempre. Ne consegue che il rischio di dissesto aziendale, per aver sbagliato negli approvvigionamenti di materia prima, è altissimo, tanto che sarebbe saggio o non comprare o ritirare solo sul venduto. In effetti è quanto sta accadendo in tutto il mondo.
Il piombo segue l’intero comparto dei non ferrosi, per cui il calo delle quotazioni è scontato. Anche la rivalutazione della divisa cinese non modifica il quadro complessivo, per cui dovrebbe calare sia l’export che l’import della Cina nel mondo (per evitare fiammate inflazionistiche). Il piombo prosegue quindi il suo sgonfiamento. Si hanno notizie dalle borse americane che in maggio e giugno si sono spente molto operazioni speculative. Questo significa che già nel fine mese, in giugno è possibile intravedere la quotazione del piombo e di altri metalli di base al netto della componente più micidiale ed estranea al mercato (la speculazione) In queste condizioni comprare il piombo è assolutamente improponibile, causa il rischio di doversi accollare il differenziale di prezzo.
Purtroppo esiste la finanza e finchè non verrà limitata con nuove regole allo studio dei diversi governi, il mercato dei metalli e delle materie prime, deve considerare contemporaneamente due mondi: quello reale e il virtuale. Il primo è costituito dagli operatori che impiegano il metallo e costruiscono le realtà della nostra civiltà, il secondo è confinato nei bit dei computer, che senza pace, modificano incessantemente un prezzo, senza alcun collegamento con un aspetto reale quanto tangibile. E’ palese che il mondo virtuale, quello della finanza, è un’anomalia in corso dal 2002 destinata a scomparire perché destabilizzante in un mondo che adesso cerca faticosamente punti di riferimento reali.
Quest’introduzione serve per spiegare cosa accade sul nickel. Anche qui vanno distinti i livelli tra quello reale e il virtuale-finanziario. In questo momento il secondo continua a prevalere sul primo. Ciò comporta che nonostante l’ipercomprato sul nickel (è la speranza degli speculatori facendo così lievitare le quotazioni) esso può ancora crescere, ma nelle borse dei mercati emergenti, non in quelle occidentali. Nasce così una geografia nuova, per cui all’interno del mondo virtuale necessita dividere le piazze e capire in quale ci possano essere prezzi più convenienti. Ovviamente l’ottica di questa rubrica è cercare prezzi più bassi del metallo, anziché quella speculativa che al contrario desidera valori più alti. Attualmente l’indice di correlazione tra la speculazione e la borsa è allo 0,75% non molto distante dall’1 che rappresenta il massimo, il che vuol dire che c’è da attendersi ampie correzioni al ribasso, però queste saranno/sono maggiori sulle piazze occidentali e più contenute in quelle dei paesi emergenti.
Con queste premesse si aprono spiragli per l’acquisto del nichel che potrebbe diventare una materia prima su cui contare, per un certo modesto valore di magazzino. I prezzi sono calanti e resteranno tali sul medio periodo (fino a settembre 2010)
La media della quotazione a maggio in dollari è stata di 17566,05 per singola tonnellata, mentre quella d’aprile s’attesta sui 18683,50 quindi la tendenza al calo di prezzo è confermata. Con questa indicazione lo stagno ha seguito il resto del comparto nella netta correzione al ribasso del mese.
I fondamentali rimangono solidi con gli stock LME in discesa.
Gli operatori sono concordi nel ritenere che se, l’attuale fase relativamente depressa dei prezzi, dovesse prolungarsi per ancora luglio e agosto (prevedibilmente è quanto avverrà) potrebbero verificarsi chiusure d’impianti estrattivi in particolare per lo zinco, piombo, alluminio e nichel. Ciò è dovuto ai costi di produzione che appaiono (ma questo non è sempre vero, bensì figlio della speculazione) non sostenibili con le prospettive di mercato in termini di prezzo.
Si tratta d’affermazioni superficiali, messe in giro da residui di rialzisti inguaribili, che non hanno ancora compreso il cambio di tendenza cercando disperatamente di diffondere notizie per alzare i prezzi e soprattutto attirare ignari investitori.