I Balcani: le guerre balcaniche del 1912/1913
Premessa
Ecco la quarta e penultima tappa del percorso alla Grande Guerra spiegando come inequivocabilmente si sarebbe giunti al grande conflitto. A differenza di altri storici, il mio pensiero, maturato studiando diversi testi è che la Prima guerra mondiale sia stato un evento sociale drammatico, voluto da tutti e imprescindibile, per la maturazione dell’era moderna.
Mi spiego meglio. La massa degli studiosi cui mi sono rivolto per approfondire le cause che hanno prodotto la Prima guerra mondiale, afferma che quel conflitto si sarebbe potuto evitare e in ciò plaudono alle decisioni del presidente Kennedy, quando nella crisi dei missili di Cuba, del 1962, ha saputo mantenere il primato della politica sulla contingenza militare.
Il mio parere è perfettamente al contrario. Senza nulla togliere al valore e prestigio dell’amministrazione Kennedy che non è qui in discussione, tornando al merito della Prima guerra mondiale, va considerato come sia stata desiderata non solo dalle Cancellerie, ma da tutti coloro che fecero parte dell’opinione pubblica di quel tempo (in grado di leggere e scrivere). Vollero la guerra anche le femministe dell’epoca (suffragette) benchè allo scoppio cessarono ogni forma di protesta, perché con loro i cattolici, socialisti, pessimisti, disoccupati e intellettuali, tutti cercarono una nuova classe dirigente di governo che non fosse più solo d’estrazione aristocratica o al massimo, in qualche raro caso, borghese, ma rispecchiasse il “mostro che era stato svegliato”; le masse. La nazionalizzazione delle masse (come direbbe lo storico George Mosse) impose una nuova geometria dello Stato e alla sua struttura. Maggiori assunzioni nel settore pubblico, diversa considerazione del genere femminile (anche se si dovrà attendere il 1918 per una vera rivoluzione su questo piano). Più posti di lavoro e soprattutto accoglimento delle idee e passioni da parte delle persone che avevano bisogno e voglia di dire “la loro” partecipando a manifestazioni, lotte, rivoluzioni o anche solo leggendo il giornale. Nel Medio Evo o in epoca rinascimentale nessuno ebbe l’opportunità di leggere il quotidiano, mentre nel 1914 anche gli analfabeti, stando vicino a chi seppe leggere e scrivere, poterono ricevere “il contagio delle idee”. La guerra fu percepita, intorno al 1914 come un’opportunità per svecchiare il mondo. In Russia si affrontarono ben due rivoluzioni (1905 e 1917) e in Europa si cercò la guerra.
In questo bisogno di conflitto c’è anche da considerare una parte di barbarie, che troveranno nel dopo rivoluzione bolscevica, in Russia e nella Germania nazista, delle importanti conferme. “Il barbaro” ovvero un selvaggio, risponde a un comportamento che si è identificato, per la prima volta, in quegli anni, nella penisola balcanica quale effetto diretto della nazionalizzazione delle masse. Il nazionalismo in se per se esprime ancor oggi difesa e attaccamento ai valori nazionali, ma diviene deleterio quando per affermarsi, ha bisogno di porsi in antitesi contro un altro nazionalismo. Si profilano così due diversi nazionalismi: quello classico come orgoglio d’appartenere a una comunità nazionale e l’altro antitetico, fonte di scontro per esistere e affermarsi.
Il nazionalismo definibile “antitetico” è quello che trovò nei Balcani un terreno particolarmente fertile, anche perché sostenuto da un nuovo sentimento etnico: il panslavismo, ovvero il nazionalismo russo spinto oltre le frontiere inseguendo il concetto di razza. Il nazionalismo balcanico divenne così selvaggio da provocare un’incredibile serie di scontri tra giovani stati, appena nati, in uno sbranarsi famelico dove se la Bulgaria lottò per ingrandirsi, vinse ma non contenta osò di più e perse mentre la Romania che non era ancora entrata in campo, colpì all’ultimo momento la vicina Bulgaria, vincendo definitivamente. Questa non è la radiocronaca di una partita di calcio, ma si configurò come una torre di babele in grado di contagiare l’Europa.
Fenomeni d’umanità selvaggia si erano già verificati nelle colonie, specie nel Congo belga, senza dimenticare lo schiavismo, ma sempre inquadrati in un blocco contro l’altro. Nei Balcani tra il 1913 e il 1914 si assiste invece a uno scontro globale del tutto contro tutti benchè mascherato da accordi (la Lega balcanica) che a volte sono rispettati e in altri momenti dimenticati. E’ la prova generale della degradazione dell’umano a bestiale, che solo decenni dopo troverà sia in Hitler sia in Stalin, come anche in Pol Pot (in forma minore e locale – Cambogia tardi anni Settanta) le massime espressioni di bestialità.
I Balcani
L’autore del testo a riferimento per questi riassunti, a pagina 528 del libro “1914, quando si spense la luce sul mondo di ieri”, scrive: Per secoli le popolazioni balcaniche avevano convissuto in pace, mescolandosi tra loro, ma nel 19° secolo la fondazione di Stati nazionali era stata accompagnata anche troppo spesso da roghi di villaggi, massacri, migrazioni forzate di minoranze e interminabili faide. Spesso gli uomini politici che avevano preso il potere blandendo umori nazionalistici (..) si rendevano conto solo troppo tardi di aver risvegliato forze incontrollabili. In queste poche parole è contenuto il senso di ogni ragionamento riconducibile alle guerre balcaniche del 1912/1913. Va aggiunto un altro passaggio cruciale: I giovani adepti delle società segrete erano spesso molto più estremisti dei membri anziani, e non sempre andavano d’accordo con loro. “I nostri padri, i nostri tiranni”, dichiarò un nazionalista radicale bosniaco, “hanno creato questo mondo a loro immagine e somiglianza, e adesso vogliono costringere noi a viverci”. I più giovani idolatravano la violenza: erano pronti a distruggere perfino i valori tradizionali e le più venerabili istituzioni dei loro Paesi pur di costruire sulle loro ceneri una Serbia, una Bulgaria, una Grecia nuove e più grandi. (Molti di loro avevano letto Nietzsche, ma anche i pochi che non lo conoscevano avevano sentito parlare della morte di Dio ed erano convinti che per liberare l’umanità bisognasse innanzitutto distruggere la civiltà europea.) Questo secondo intervento assume tinte drammatiche simili alla fine del mondo, appunto quello che sarebbe accaduto da lì a pochi mesi.
I nuovi stati
Per Balcani s’intendono alcuni stati che sono, la Grecia, Serbia, Bulgaria, Romania, Albania e il Montenegro. Come noto la Bosnia era già sotto dominazione austriaca, mentre la Macedonia un protettorato ottomano.
Nel 1912 la capitale della Serbia, Belgrado, poteva essere assimilata a una cittadina della provincia tedesca. Bucarest, la capitale della Romania aspirava a essere la Parigi dei Balcani. La capitale del Montenegro non poteva essere considerata che poco più di un villaggio.
L’Europa non aveva mai preso in seria considerazione i paesi balcanici considerandoli poveri. Il passaggio dallo stadio povero a pericoloso, avvenne nel 1910, in occasione della visita dell’imperatore austriaco Francesco Giuseppe in Bosnia, quando si tramò, senza successo, alla sua vita. Il declino dell’Impero Ottomano, nonostante i Giovani Turchi, scatenò la difesa delle minoranze cristiane (che non erano per nulla minacciate dai Turchi) da parte dei nuovi stati infervorati anche dall’iniziativa italiana sulla Libia nel 1911.
Chi soffiò sul fuoco della crisi: la Russia
Il nuovo ministro degli esteri russo Sazonov, sostituì Izvol’skij sin dal 1910. Esaminate entrambe le personalità impressiona come sia stato possibile che una grande nazione come la Russia si sia affidata a delle figure tanto modeste e impreparate.
In realtà una critica colpisce anche lo Zar di Russia Nicola II°, il Kaiser Guglielmo II° e il suo primo ministro, quindi anche il responsabile degli esteri austriaco, in carica dal 1912: Leopold von Berchtold. In un’eccezionale concentrazione di personalità non adeguate al ruolo, la Russia cercò di contenere l’espansionismo austriaco spingendo alla formazione di una Lega balcanica tra la Serbia e la Bulgaria. Azione di cui poi la Russia si pentì, confermando così il dilettantismo di Sazonov, perché nel rischio di crollo dell’Impero Ottomano, ciò che più interessava l’economia russa erano gli stretti sul Bosforo che furono chiusi a causa della guerra, determinando gravi danni al traffico marittimo e agli interessi della Russia. In esito alla straordinaria rapidità dell’avanzata bulgara, fu necessario ma anche per ripicca interrompere ogni transito navale non militare come già avvenuto nel 1911 e nel 1912, mettendo a nudo l’estrema fragilità della Russia nel suo bisogno d’accedere ai mari caldi. L’idea di un’operazione anfibia russa sulla Turchia per liberare o impossessarsi degli stretti, dovette essere accantonata, perché solo all’ultimo ci si accorse di non avere forze anfibie sufficienti. Ancora un’altra conferma dell’inadeguatezza della dirigenza russa.
Oltre a considerazioni d’ordine puramente economica, per la Russia c’erano in gioco nei Balcani due diverse considerazioni: l’evitare di subire una nuova umiliazione come quella ricevuta nel 1908 all’epoca dell’annessione austriaca della Bosnia e il nuovo nazionalismo internazionalista russo, chiamato panslavismo, di cui Nicola II e Sazonov erano imbevuti.
Oltre all’idea di Lega Balcanica, Sarzonov inviò, come ambasciatore in Serbia, il signor Hartwing, un personaggio che svolse un ruolo e una politica del tutto sua, non concordata con Mosca, comunque in pieno significato panslavista, spingendo i serbi ad agire e la Russia a cedere all’impeto anti austriaco del giovane stato. In pratica svolse il ruolo della benzina su un incendio.
La Lega Balcanica
L’idea stessa dell’accordo, per una Lega tra gli stati balcanici, come noto fu un’idea russa, che non ebbe la capacità di considerare la miopia delle classi dirigenti di quei paesi, visceralmente opposti tra di loro anche nella suddivisione dei territori conquistabili in Macedonia, perdendo così il disegno generale nei dettagli di definizione del confine contendendosi villaggi minuscoli.
La stessa Bulgaria si spinse nel cercare un accordo anche con la Grecia per ricacciare i turchi dall’isola di Creta, rendendo i Serbi sospetti di tramare alle loro spalle. Certamente come afferma l’autore del libro “1914” a pagina 534: Per la prima volta nella storia della questione orientale gli staterelli dell’Est hanno acquisito un grado d’indipendenza tale da potersi permettere di agire in totale autonomia rispetto alle grandi potenze, o addirittura di influenzarle con le loro scelte.
La prima guerra balcanica
Dal 18 ottobre al 3 dicembre 1912 la Bulgaria, la Serbia e la Grecia si scatenano in guerra contro l’Impero Ottomano per “liberare” la Macedonia cercando d’attaccare addirittura la stessa città di Istanbul. A quel punto, il 3 dicembre, tutelando l’Impero Ottomano e i crediti bancari vantati dagli europei, arrivò lo stop, imposto dagli inglesi, francesi e tedeschi alle operazioni, sia per lo sfinimento delle truppe bulgare che per i primi dissapori interni alla Lega balcanica. La Grecia occupando il porto macedone di Salonicco che sarebbe dovuto essere bulgaro, scatenò molte invidie rinforzate dalle modifiche imposte ai territori albanesi del sud. Così fu anche per e i serbi, che con i montengrini occuparono il Sangiaccato di Novi Pazar, oltre a prendere anch’essi territori albanesi del nord. In Europa destò grande sorpresa la velocità con cui l’Impero Ottomano entrò nella fase di sfaldamento cui nessuno era preparato. Anzi più che preparati, gli europei erano seriamente preoccupati per gli scenari che ne sarebbero derivati tra loro, nella lotta per acquisire i territori ottomani. Inoltre c’erano anche problemi di stabilità nelle stesse colonie: la caduta del califfo sunnita di Istanbul avrebbe avuto ripercussioni anche nell’India sunnita. La sorpresa per eventi così rapidi, comportò anche un compattamento negli accordi tra Triplice: Intesa e Alleanza. Infatti gli inglesi, pur ricordando alla Francia di non aver sottoscritto alcun accordo di cooperazione militare, iniziarono a studiare le modalità per sbarcare truppe inglesi in Francia, difendendola dalla Germania. Non solo, ma Grey, capo degli esteri, informò anche i tedeschi che “schiacciare la Francia” non era nell’interesse dell’Inghilterra. Oltre tutto ciò, con l’assistenza britannica, tra dicembre 1912 e l’agosto 1913 a Londra si cercò una sistemazione per i Balcani.
La pace di Londra
Quando sembrò che fosse possibile definire un accordo tra le parti scoppiò il caso Scrutari, ovvero di un porto che gli austriaci avrebbero voluto fosse albanese, anche perché prevalentemente abitato da cattolici. I Russi, che stavano proteggendo i serbi nell’assedio su Scrutari, temendo la guerra con l’Austria, il 4 maggio 1912 imposero il ritiro, ma così non fu per i macedoni, che avevano pagato per corrompere la guarnigione albanese a difesa della città. Ai sensi del trattato di Londra, nacque l’Albania, ma anche questo particolare condusse nuovamente al caos nella regione. Sia la Grecia che la Serbia, erano rose di gelosia verso la Bulgaria, per i suoi nuovi possedimenti, inoltre la Romania, che non aveva partecipato alla prima guerra balcanica stava meditando un attacco; non solo anche i turchi si stavano preparando per attaccare la Bulgaria.
La seconda guerra balcanica
Nelle nuove condizioni di gelosia che si vennero a creare, il 23 giugno 1913, un mese dopo la pace di Londra, i bulgari preventivamente attaccarono la Grecia e la Serbia. A loro volta i rumeni e i turchi colpirono la Bulgaria che perse ogni conquista e anche di più. Si pervenne a una nuova pace, quella del 10 agosto 1913 di Bucarest, che stabilì l’ampliamento territoriale della Serbia, Grecia e Romania a danno della Bulgaria.
Le conseguenze
Dalle guerre balcaniche emerse la Serbia come punto di riferimento per gli slavi compromettendo l’idea austriaca del terzo polo. La sconfitta politica per l’Impero Austroungarico fu così cocente, che il Consiglio dei ministri comuni, tra austriaci e ungheresi, deliberò un importante incremento degli stanziamenti per una guerra futura tesa ad annientare la Serbia, come avrebbe voluto il capo di stato maggiore austriaco, Gen. Conrad o limitarne l’influenza come desiderato dal ministro per gli esteri, Berchtold. Nel confronto emerse una figura importante, il primo ministro ungherese Istvàn Tisza, considerato l’ungherese più intelligente del tempo. Favorevole all’unione imperiale cercò di smontare l’idea del terzo polo e spinse per la guerra contro la Serbia. Certamente, da questa fase storica in poi, la guerra non era più solo un’idea, ma un progetto per tutte le Cancellerie d’Europa.
Il Concerto europeo era ormai finito, i rapporti tra singole Triplice si radicalizzano perdendo le comunicazioni tra loro. Come noto, solo l’Italia riuscì a trovarsi con “il piede in due scarpe” dialogando sia con la Francia, che con la Germania e l’Inghilterra.
Allo stesso tempo però e per ironia della sorte, benchè tutti si fossero abituati all’idea di guerra, c’era anche una base d’ottimismo dopo 8 anni di continue crisi (Tangeri Agadir, Bosnia e le guerre balcaniche) condotte fino al limite della dichiarazione di guerra e sistematicamente risolte per via diplomatica. Anche nell’estate del 1914, mentre tutto stava precipitando, Grey, guardando al Continente dall’Inghilterra era convinto che ogni cosa avrebbe trovato la sua sistemazione.
Il 1912 e il 1913 apparse come una nuova era d’ottimismo.