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Tecniche di vendita nel PET rispondendo al bisogno del cliente

by Giovanni Carlini
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Tecniche di vendita nel PET. Con il cliente ci vuole sensibilità, cultura, delicatezza su un cliente caratterialmente fragile da cui un esagerato bisogno di affetto deviato sugli animali domestici. 


Tecniche di vendita nel pet. Diciamolo subito: quando si parla di tecniche di vendita, si ha a che fare con un argomento complesso, perché non basta essere gentili e professionalmente preparati. In realtà, la tecnica non è un meccanismo automatico: al contrario richiama la sensibilità, la cultura e il gusto di saper spiegare all’utenza, investe un ruolo di consiglio e accompagnamento alla decisione d’acquisto che ha come ulteriore fine quello del mantenimento del rapporto commerciale. Perché si sa: vendere può essere… troppo costoso se poi il cliente non ritorna più in negozio dopo il primo acquisto.

UN MONDO CHE NON COMUNICA. In Italia, l’amore per gli animali da compagnia è un fenomeno recente, destinato a crescere molto più rapidamente rispetto le strutture commerciali esistenti. In pratica si è sviluppata una sorta d’inseguimento dei negozi a un’utenza che mutua, soprattutto dall’estero, nuovi stili di comportamento e gusto. Da qui uno scollamento tra domanda e offerta. Ma quali sono le tecniche di vendita e di organizzazione del negozio più valide per meglio intercettare le tendenze in atto nel mercato? Vediamo di scoprirlo insieme.

NEGOZIO BOUTIQUE O AMMASSO DI MERCE? In queste quattro parole è contenuto uno scontro epocale capace d’infiammare gli animi. Al contrario, sarebbe saggio ragionare per cercare una (non facile!) coniugazione tra un mercato che si orienta verso la sofisticazione del rapporto con il negozio specializzato e le necessità dei negozianti. Partendo dal presupposto che “tutti hanno ragione” e ogni punto di vista arricchisce il ragionamento, i termini del problema ai loro estremi sono:

– l’immagine da offrire al cliente nella ricchezza di quantità di prodotto e scelta, dimostrando che il negozio è vivo e smercia con successo (non si può dire apertamente, ma questa impostazione mutua molto dalla GDO per metodi e stili). Spesso i negozianti, che tendono a ridurre la quantità di prodotti esposta, riferiscono di clienti che chiedono: state per cessare l’attività?

– una richiesta più del consumatore che degli esercizi, cioè aumentare più che le quantità le qualità, quindi ridurre lo strato di polvere presente e meglio illuminare la merce specie se ospitata negli scaffali. Molto di moda è il dispenser (una batteria in grado di coprire le necessità specie di cani e gatti) completata d’appositi contenitori in latta che fungono anche da regalo ai possessori d’amici a quattro zampe. Oltre un’illuminazione più audace si richiede anche una cartellonistica che non copra i prodotti o i percorsi di visita del negozio ma venga posta, per esempio a terra con bande adesive colorate negli snodi di scelta tra le diverse aree tematiche del negozio. Quindi, meno merce esposta, più scelta, pulizia e accoglimento, rispetto la mentalità bazar nei negozi di pet.

LA GIUSTA VIA DI MEZZO. Chi ha ragione e chi torto? Francamente non esiste un dogma in tal senso, al contrario la capacità d’adattamento e innovazione del negoziante viene qui ampiamente sollecitata. La via di mezzo consiste nel non attendere che il cliente esponga in chiaro cosa vuole (non lo sa neppure lui, al massimo non torna più dove ha comprato). Ogni novità è sempre benvoluta a patto di non modificare la collocazione delle aree tematiche. In pratica i consigli sono:

– mantenere “l’abitudine” per il cliente di trovare a occhi chiusi i prodotti che gli interessano, quindi non modificare i percorsi di visita nel negozio;

– stabilita la geografia del punto vendita in una costante di presentazione al cliente, al suo interno “rivoluzionare” l’esposizione con sollecita frequenza;

– questa rivoluzione, più che sullo stock di merce accatastata, dovrebbe puntare alla scelta tra prodotti diversi nei prezzi e qualità. Estremizzando (non è realistico in questo settore merceologico) è saggio ridurre all’essenza il campione di prodotto (5-6 esemplari) ben illuminati con faretti a led verticali, con un minimo di distanza tra una proposta e l’altra, valorizzando come valore aggiunto o “idea” quanto si offre al prezzo solito di mercato. Questo per distanziarsi dalla GDO che invece è assediata da gravi problemi contabili di contabilizzazione dello spazio;

– il secondo passaggio di differenziazione dalla GDO per il negozio di pet, oltre il diverso schieramento dei prodotti è nella consulenza, compagnia, disponibilità offerta al cliente, indicando per esempio il proprio numero di cellulare sullo scontrino emesso.
Tutto qui. Ecco identificato il negozio boutique nel pet: riduzione degli articoli esposti e aumento dei diversi marchi (scelta di prodotto) consulenza offerta al cliente e una vetrina che sia cromaticamente propositiva.

LA VETRINA “CROMATICA”. La vetrina non è esposizione di merce: dovrebbe essere uno schiaffo all’attenzione del passante per “fermare la sua attenzione”. Come si fa? Solitamente si usa il colore. Si inizia studiando le altre vetrine dei diversi negozi nello spazio di 200 m dal punto vendita e individuando la tonalità di fondo (se esistente). Nel caso effettivamente ci sia una dominante cromatica negli altri negozi, questa va riproposta in vetrina con varianti shock. A patto che il rosso stia bene con il giallo (dipende dal gusto del proprietario del negozio), stabilita la dominante generica che si replica nella vetrina del nostro esercizio, il tutto andrebbe completato con il segno cromatico opposto a quello rilevato. Nel caso gli altri negozi abbiano un filo conduttore sul rossiccio-rosso-arancio-amaranto, ecco che il rosso Ferrari potrebbe essere da noi riproposto, ma accompagnato o bordato con una tonalità opposta come potrebbe essere il giallo. 

Definita la trasmissione d’emozioni cromatica al passante dalla vetrina, ecco che il ragionamento si sposta sui prodotti. Tanti o pochi e ben illuminati? La scelta viene da sé…

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