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Taccuino americano: perché ancora USA

by Giovanni Carlini
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Taccuino americano: perchè ancora nel Nuovo Mondo anno per anno?

Ancora America, e perché?

a) Perché contrariamente alla massa degli analisti di mercato, in questa serie di corrispondenze dall’estero non si ritengono i BRICS, come il mondo arabo e altri mercati, il vero futuro del mondo, in quanto mancanti degli ingredienti fondamentali per lo sviluppo economico.

b) Perché, comunque lo si voglia, solo l’Occidente custodisce tutti gli elementi sociali, culturali, ideologici e intellettivi, quindi la certezza del diritto, la ricerca e sviluppo, le formule politiche e una consolidata democrazia di massa connessa alla libertà di consumo (da noi libertà politica fa rima con consumismo) in grado di produrre sviluppo. Questi concetti sono noti a tutti ma non si ama dichiararli, per falso pudore che fa ancora tendenza e moda. Ovviamente i più illuminati studi sull’argomento risalgono a Max Weber nel 1920 descritti nell’Etica protestante e lo spirito del capitalismo.

c) Assodato che lo sviluppo richiede un mercato con libertà di scelta, stabilità nell’applicazione del diritto, una forma di governo che sia democratica e partecipativa e intensi processi di ricerca e sviluppo, applicando con selezione tali concetti sui singoli attori del mercato, chi resta? Non certamente la Turchia, tanto meno la Russia o il Brasile, non parliamo della Cina, figuriamoci l’India. La vera novità rispetto al 1960 è che quest’ultime nazioni, nelle loro specifiche esperienze di vita (chi è ancora incastrato in logiche di casta come di rigidità dal partito unico), rappresentano dei mercati d’espansione per l’Occidente, senza produrre a loro volta quote di ricchezza aggiuntive. Ad esempio, la tecnologia, i capitali e opportunità per produrre oltre il 50% dell’acciaio mondiale alla Cina è stata consegnata dagli occidentali. Se si “chiudesse” l’Occidente avremmo posto in liquidazione la Cina, il Brasile, leggermente meno l’India ma sicuramente la Russia, la Corea e il Sud Africa quindi la Turchia e tutta l’Africa.

d) Alla ricerca della fonti dello sviluppo economico e compreso come queste siano sempre rimaste in Occidente, l’itinerario non può che partire degli Stati Uniti confermati nazione leader.

e) Inoltre da marzo di quest’anno, come già descritto in altri articoli, c’è una novità che proviene dagli USA nei processi di delocalizzazione-globalizzazione: il ritorno a casa delle imprese precedentemente spostate in Cina e Brasile. Complice l’anno elettorale e il concreto rischio di perdita della Casa Bianca nel prossimo novembre per l’attuale amministrazione, in effetti qualcosa è stato fatto. Con ben 14 milioni di disoccupati, si è capito quanto siano i posti di lavoro la vera ricchezza sociale di un Paese. Con una nuova mentalità si considera la delocalizzazione un furto di ricchezza alla società, quindi l’obbligo di tassare gli imprenditori che la praticano o il loro ritorno in patria, se le produzioni erano destinate al mercato interno. Nulla cambia invece nei processi di delocalizzazione per presidiare e crescere insieme ai mercati emergenti. Con una nuova politica industriale, che vuole rilanciare il manifatturiero statunitense, il resto dell’Occidente resta ancora a guardare ma per quanto? Ecco che capire le prossime tendenze europee, studiando gli USA, è uno dei motivi fondamentali di questo viaggio. Per la cronaca, attualmente rientrano in patria aziende americane con un flusso del 20% di quelle che partirono, rispetto il solo 2% che ancora emigra (del resto qualcuno dovrà pure fallire se i consumatori non comprano “made in China”).

f) All’epoca del secondo mandato al Presidente Bush, fui inviato da diverse testate qui negli USA per capire quali fossero le tendenze elettorali in atto. Vivendo nell’interno del Paese, scrissi diversi articoli prevedendo la rielezione di Bush, ma gli editori non li pubblicarono perché ritenuti non realistici. I fatti dimostrarono il contrario, i pezzi mi furono pagati, ma non pubblicati. Oggi è la stessa cosa. Sono ancora tra l’Arizona e il Texas come in Kansas e in Idaho per ascoltare e capire, quando gli altri corrispondenti restano sulla costa, nelle grandi città con l’aria condizionata e il “politichese”, adottando criteri europei per descrivere l’America. Chi riuscirà a comprendere meglio cosa accadrà fra soli 3 mesi nel cambio di amministrazione tra democratici e repubblicani del 6 novembre?

Ecco i motivi perché tornare negli Stati Uniti fino a settembre, offrendo ai lettori spunti e ragionamenti che le altre testate non osano fare, perché è scomodo uscire dal coro.

Lo scopo del taccuino americano Usa è quello di prendere spunto da aspetti diversi e riordinarli in un ordine d’idee che sia utile a riunire 2 facciate della personalità umana: quella personale e professionale.

Mi spiego. Nell’era moderna la personalità degli Occidentali e comunque nelle società evolute (non sono tutte quelle che rispondono ai 9 assetti culturali esistenti nel mondo) si è scissa almeno in 2 aspetti, che generano un senso di solitudine e di non appartenenza, da cui un disagio generalizzato. Il taccuino americano Usa risponde a questa necessità, offrendo spunti e ragionamenti per far riflettere. Il disagio a cui ci si riferisce è quello d’appartenere a più ambiti, ma di nessuno un particolare. Questa NON appartenenza porta a distacco da tutto, compresa la famiglia e la coppia, da cui la crisi dell’amore e della società moderna, della cattiva educazione della prole e della solitudine della persona che vorrebbe amare, ma non sa come fare.

Foto tratte dal taccuino americano Usa: al rodeo di Pendleton, in Oregon.

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