Storia sociale della guerra – Richard A. Preston e Sydney F. Wise. Capitolo 9 – La guerra limitata del Settecento
Il Settecento sul piano della tecnica militare
Nel Settecento la società cambiò, quindi anche il modo di combattere. Grazie al “secolo dei lumi” s’introdusse una nuova sensibilità verso l’essere umano. Forse le immani e inutili stragi di Magreburgo, nella Guerra dei 30 anni (1618-1648) con 30mila vittime civili, cambiarono qualcosa. Da quel massacro, la Germania restò per un secolo una landa desolata e disabitata. Certamente nel 700 si aprirono nuovi scenari per cui:
- una maggiore protezione e salvaguardia della persona umana (assistenza sanitaria in battaglia e vettovagliamento alle truppe per evitare saccheggi. I depositi furono collocati a 3 giorni di marcia l’uno dall’altro)
- un interrogarsi sul senso e funzione della guerra; perché battersi? Nacque l’idea di progettare una campagna militare immaginando di dover poi gestire la pace. Questa evoluzione fu di Ugo Grozio (Hug von Groot), olandese del 1625 dal testo “Sul diritto di guerra e di pace”. A Grozio s’affiancò, un secolo dopo, nel 1758 il giurista svizzero Vattel, “Sul diritto delle genti”. Entrambi garantirono un rinnovato pensiero razionalistico.
Queste nuove visioni non ridussero gli effettivi dei rispettivi eserciti e il numero di battaglie rispetto agli altri secoli. L’illuminismo accentuò, sul piano militare, la rivalutazione della fanteria e dei suoi bisogni. La guerra fu ancora e di più “guerreggiata”, evitando lo scontro diretto. La vera strategia fu di tagliare le linee di rifornimento al nemico più che scontrarsi. Nacque una nuova filosofia. I capi scuola furono il francese Turan e il suo discepolo, tedesco, Hermann Maurice di Sassonia, detto Marèchal de Saxe.
Completamente all’opposto fautori di un attacco manovrato furono invece:
- chi sconfisse definitivamente i francesi: John Churchill, (1650-1722) primo duca di Marlborough; capo stitipe della famiglia Churchill.
- Federico il Grande di Prussia (1712-1786)
C’è un altro particolare da considerare. Per quadri nell’esercito d’estrazione nobile, la truppa fu veramente scadente sul piano umano. Venne quindi a mancare il collante necessario tra Comandante e uomini. Sarà su questo punto che Napoleone saprà essere innovativo. Un altro aspetto su cui riflettere fu l’assenza d’ogni forma d’individualismo nel combattimento. L’esercito rimase massa alla velocità di 80 passi al minuto, pur sotto il fuoco nemico. Le perdite in queste condizioni, sia in caso di vittoria sia di sconfitta, oscillarono tra il 33 e il 50% della forza schierata.
Va ricordata l’opera, come ingegnere militare del francese Vauban, capace di superare nella struttura dei forti, la forza della nascete artiglieria.
Gli equilibri politici istituzionale del Settecento
A livello politico, la nuova stagione di pensiero segnalò una profonda e drammatica spaccatura tra i governi di tutta l’Europa e l’Inghilterra. Solo in quest’ultimo paese l’esercito restò sotto il controllo del Parlamento (Munity Act). Nel resto del Vecchio Continente l’esercito fu invece il sostegno dei governi autoritari. Anche qui serve una riflessione.
Mentre alla borghesia fu affidato il compito di produrre e pagare le tasse senza rappresentanza politica, solo alla nobiltà fu permesso di garantire i quadri della forza armata. Ovviamente la borghesia si ribellerà attraverso le rivoluzioni borghesi. Nel Settecento però al potere assoluto, in alcuni casi illuminato, si affiancò la nobiltà come servizio nell’esercito e la borghesia come produzione “di tasse” al Re.
L’illusione della ricchezza limitata
Sul piano economico più generale va considerato il grande errore del Settecento.
Nella mentalità mercantilistica il valore della ricchezza fu considerato “costante e dato”. Questo perché ci si riferì alla quantità di oro presente nel mondo. In realtà la ricchezza non è affatto un valore limitato!
Il secolo francese
Per la politica va notato come il Settecento segnò il secolo francese. Luigi XIV fu un vero “scalmanato” cercando confini naturali alla Francia. In un incredibile turbine di guerre di ogni tipo, con sempre la Francia al centro, si giunse alla pace di Utrecht del 1713. Alla Francia battuta fu imposto di non unire mai la 2 corone, spagnola e francese.
Il potere navale
Una riflessione a parte merita la guerra sul mare. In particolare dal Settecento in poi, spunta sempre la flotta britannica come elemento capace di fare la differenza.
Ebbene la flotta, che ha visto l’impegno di spagnoli, olandesi, francesi e infine i tedeschi, in realtà ha giovato solo agli inglesi, mentre per tutti gli altri è stata un vero impiccio! Un pozzo di denaro senza fine. Oggi solo Usa che hanno saputo recepire il concetto di flotta dall’esperienza britannica. Certo sarebbe interessante capire come e il perchè le altre nazioni non abbiano saputo gestire il potere navale. Descrivendo più approfonditamente la storia del potere navale emergono i seguenti fatti:
- nel 500’ gli inglesi si scontrano e vincono gli spagnoli;
- nel 600’ gli inglesi si scontrano e vincono gli olandesi;
- nel 700’ gli inglesi si scontrano e vincono i francesi;
Su un piano più generale va ricordata la battaglia di Lepanto del 1571 e quella di qualche anno dopo che segnò la sconfitta della Grande Armada nel 1588. Gli spagnoli, nell’intento d’invadere l’Inghilterra, furono battuti dalle condizioni del mare.
I francesi, grazie al ministro delle finanze Jean-Baptiste Colbert, 1619-1683, riuscirono a gestire le cifre necessarie per allestire una flotta. Purtroppo per i francesi però, gli inglesi controllando il Portogallo e Gibilterra, non consentirono mai che le squadre navali potessero unirsi contro l’Inghilterra. Infatti a Trafalgar nel 1805 (a largo della Spagna nell’Atlantico) e poco prima nella battaglia del Nilo i francesi furono distrutti.
Quali le qualità degli inglesi per vincere sul mare ogni scontro?
A dir la verità già nel 1217, nella battaglia di Dover, gli inglesi s’imposero sui più potenti francesi. Tecnicamente i francesi furono più avanti dei britannici sia nel numero dei vascelli sia nella tecnologia costruttiva. Nonostante ciò, l’Inghilterra ebbe la volontà d’imporsi sul mare operando anche attacchi anfibi.
Nel 1696 il ministro delle finanze inglese, Lord Godolphin chiese al Re: quali istruzioni per l’impiego della nostra grande e inutile flotta?
In quel tempo il Re Guglielmo III sostenne la guerra di terra considerando la marina solo di supporto senza convincere gli strateghi inglesi. L’opposizione alla politica continentale fu incarnata da Jonathan Swift, sostenitore dell’isolamento marittimo. Pertanto si confrontarono due teorie:
- la politica continentale
- l’isolamento marittimo.
Con il passare del tempo la domanda di Godolphin ebbe soddisfazione, optando per l’impiego della flotta in funzione di guerra economica (il sistema Pitt). William Pitt fu chiamato al comando della flotta in seguito a un rovescio subito nel Mediterraneo. Pitt introdusse la guerra navale ai commerci. La missione fu di colpire il traffico mercantile e quello dei paesi neutrali, agenti in nome e per conto della Francia (Danimarca e Stati Uniti).
Come aree d’azione la flotta mercantile e militare inglese agì in tutto il mondo. Atlantico, Oceano Indiano e Mediterraneo per i traffici commerciali. Di particolare interesse fu il Baltico, motivato dall’approvvigionamento di legname necessario alla costruzione delle navi.
I francesi risposero con una flotta da battaglia e una corsara (guerre de corse) che riuscì a catturare ben 4000 navi inglesi! Ancora famose e ricordate le gesta di Jean Bart (l’unico ufficiale navale veramente aggressivo dell’epoca). Gli inglesi fronteggiarono la crisi con operazioni anfibie e con il numero di vascelli in attività, oltre quelli da battaglia.
Centrale nella vicenda fu la Guerra dei 7 anni: 1756-1763. Si trattò della “Prima vera guerra mondiale” come fu definita da W. Churchill. Per la prima volta, nella storia dell’umanità, ogni teatro geografico divenne di guerra. Tutto il mondo conosciuto coinvolto. La guerra terminò con la conferma dell’indiscussa potenza navale britannica nel mondo.