Storia sociale della guerra di Richard A. Preston e Sydney F. Wise
Riassunto al capitolo 3: la legione romana.
Roma, nell’età classica, a differenza dall’esperienza politica greca, riuscì a esercitare la politica nella guerra. Significò trasformare in alleati i nemici. Non solo, gli stessi alleati divennero “romani” fondando un impero.
In questa evoluzione da nemici in alleati e quindi concittadini, entra nella storia “il concetto di movimento”. Muovere qualcosa vuol dire allargare le precedenti visuali. Dalla città stato greca, si passò alla nazione e quindi all’impero romano. Già Alessandro Magno riuscì a fondare, per breve tempo, un Impero. All’impero greco però, con la morte di Alessandro, mancò l’idea stessa di politica. In questa sede s’intende per politica la capacità d’aggregazione.
Roma, per capacità d’aggregare, fu unica. Il “nastro trasportare” della politica d’aggregazione fu il riconoscimento della cittadinanza. Nonostante essere cittadino comportò pagare le tasse e servire nell’esercito, finchè Roma espresse cultura, fu “un affare”.
Ecco il punto centrale: finchè Roma seppe essere nazionalista e al tempo stessa aperta, produsse una sua cultura per il mondo intero. Ovviamente servì essere prima di tutto romani per interfacciarsi al mondo. Oggi, in era globalizzata, si tende ad aprirsi eccessivamente, dimenticandosi le proprie origini culturali da contrapporre e confrontare. La materia prima per produrre cultura deriva sempre da una contrapposizione. In questo caso gli ingredienti sono il nazionalismo e l’apertura; un solo ingrediente non produce nulla.
La capacità romana di muovere la storia in senso culturale e quindi politico, ebbe un risvolto militare.
Non è possibile uno sviluppo militare che non sia prima sociale. Questo concetto è il filo conduttore del libro “Storia sociale della guerra”.
Una Roma con un esercito costituito da contadini nazionalisti, in grado di federare altri popoli italici, sa evolvere dalla falange alla legione. E’ un passaggio epocale!
Laddove la falange fu una struttura armata stabile per la difesa, la legione rivoluzionò tutto. I romani non riuscirono a schierare la falange sull’Appenino; servì una nuova dimensione militare. Infatti già nella seconda guerra sannitica, tra il 326 a.C. e il 304, i romani attaccarono i nemici con le legioni. Fu un successo.
Nel 265 a.C. l’intera penisola italica fu federata a Roma.
La tecnica militare utilizzata dalla legione fu rivoluzionaria. Risetto a un gruppo coeso di fanteria molto armato e stabile (la falange) la legione introdusse “il movimento”. Ben 30 manipoli da 120 legionari per uno, si alternarono all’attacco. A quei manipoli di “prima linea” poterono accorrere le seconde linee consentendo il deflusso dei legionari che già si erano battuti. Sui 30 manipoli impegnati in combattimento, altri 5 furono conservati in riserva non visibile dal nemico.
Il combattimento fu solto sempre allo stesso modo. Al lancio di giavellotti del primo manipolo, seguì l’attacco e quindi l’alternanza di altri 29 manipoli.
Conquistata l’intera penisola a Roma non restò altro che il Mediterraneo, pur in assenza di una flotta. Infatti fu questo un grave handicap. Ben presto però i romani assemblarono una flotta per battersi contro i cartaginesi. La strategia fu d’espandere il combattimento terrestre sul mare. Le navi romane poterono così arpionare quelle cartaginesi consentendo ai fanti di battersi sul ponte della nave nemica. Fu conquistata la Sicilia.
I cartaginesi risposero al dominio sul mare romano, aggirando il Mediterraneo attraverso la Spagna e la Francia. Si aprì così un confronto militare che portò Roma sull’orlo della sconfitta. Nessun generale romano fu realmente all’altezza di Annibale. Va anche considerato come il comando dell’esercito fu limitato a solo 1 anno e affidato ai politici. Questa mancanza di continuità e professionalità si espresse in 3 grandi sconfitte nella seconda guerra punica:
- Battaglia di Trebbia (218 a.C.)
- Battaglia del Trasimeno (217 a.C)
- Battaglia di Canne (216 a.C.)
Un esercito romano mal diretto ormai con perdite totali pari a 100mila uomini, mise in ginocchio Roma. Fortunatamente le tribù italiane alleate non cedettero alle promesse di libertà di Annibale. Anche perché queste comunità erano già libere!
A quel punto Roma modificò integralmente la strategia. Il comandante dell’esercito non fu più politico ma militare. Non solo, la nomina non più annuale a rotazione bensì a compimento della missione: battere Cartagine. Emerse la figura di Fabio Massimo che per 13 anni rispose ad Annibale con azioni di guerriglia.
L’esercito romano scese in campo solo una volta per battere i rinforzi cartaginesi a Metauro il 207 a.C. In questo periodo si formò un nuovo generale: Scipione l’africano.
Con Scipione cambiò nuovamente la strategia. Essendo per Annibale la cavalleria il punto di forza, Scipione rinforzò la legione con fanteria pesante. Si venne così a determinare la più forte reazione possibile alla cavalleria che la storia ricordi fino all’uso della polvere da sparo.
Sempre imparando da Annibale, Scipione introduse la tecnica dell’aggiramento del fronte nemico. Divenuto comandante nel 205 a.C. fino a compimento della missione, Scipione portò la guerra a Cartagine. Annibale fu costretto a lasciare l’Italia e sconfitto a Zama nel 202 a.C. (nell’attuale Algeria). La seconda guerra punica ebbe termine.
E’ impressionante notare come un lungo conflitto trovò epilogo rapidamente. L’esercito romano, trasformato da Scipione, rappresentò la chiave del successo.
Nuovi stili di combattimento nell’uso della marina e del cavallo aprirono alla mobilità e rapidità d’impiego dell’esercito. Roma sopravvisse sia grazie alla buona politica con cui legò le tribù italiche, che alla completa riforma dell’esercito. Al fante romano fu affiancata in forme sempre più importanti la cavalleria mercenaria. Questa formula militare fu mantenuta fino alle gesta di Giulio Cesare nel 58 a.C. in Gallia.
Prima di giungere a Giulio Cesare, va ricordata la campagna di Grecia. Ovviamente con le nuove tecniche i romani sbaragliarono la falange greca nelle 2 battaglie di Pidna nel 168 a.C. In realtà furono i greci che stettero per vincere, finchè la loro falange rimase protetta ai lati. Appena la cavalleria romana potè agire e si aprì una piccola falla nel fronte della falange greca (forse per il dislivello del terreno) i romani vinsero.
La campagna greca in realtà non fu particolarmente importante sul piano militare, quando per l’inizio della decadenza culturale di Roma. Il sacco di Corinto del 146 a.C. consumato dai romani rappresenta un punto di confine. Prima del saccheggio, Roma fu ancora una civiltà orgogliosa di se stessa. Dopo quei fatti iniziarono una serie di guerre civili e di politica dell’ingordigia da portare l’impero alla fine. Pertanto si può affermare che l’età dell’oro nella civiltà romana corre dal 300 al 146 a.C.: un secolo e mezzo. L’agonia durò 550 anni (fino al 400 d.C.) 150 di crescita incessante e 550 per consumare ogni residuo di ricchezza e civiltà. 700 anni per una civiltà come quella romana.
Inizia da questo punto in poi un costante parallelismo tra crisi sociale e crisi del modello militare. I contadini, stroncati dai bassi prezzi d’importazione, furono costretti a ingrassare il proletariato urbano. Va ricordato come la classe dei contadini romani rappresentasse il serbatoio dell’esercito romano.
La terra, sempre più costosa da gestire fu acquisita dalle classe nobili che introdussero la coltivazione dell’olivo. Alla crisi di reclutamento nel 107 a.C. rispose Gaio Mario il riformatore. La riforma introdusse l’esercito di professione. Questo fu possibile romanizzando le tribù barbare ai confini di Roma. La tecnica fu la stessa: concedere il riconoscimento alla cittadinanza di Roma ai nuovi soldati.
Gaio Mario modificò anche tecnicamente la legione. Si passò dal manipolo alle coorti. Dal 120 legionari ai 360 pesantemente armati. Per compensare con la perdita di mobilità della legione-coorte, Gaio Mario alzò la presenza della cavalleria mercenaria quale elemento stabile. Questo passaggio definitivo, già introdotto da Scipione l’africano, rappresentò successivamente un primo elemento di rottura e crisi nell’Impero romano. I mercenari e i nuovi cittadini di Roma (barbari arruolati) aumentarono il senso di distacco delle legioni da Roma. Ormai le legioni romane furono dislocate a protezione dei confini dell’Impero arruolando in loco le nuove leve. Questa “localizzazione” dell’esercito su terreni molto distanti dai reali interessi sociali di Roma, comportò una frattura. Non solo, ma l’essere eletti cittadini romani incluse anche il pagare le tasse per mantenere un esercito sempre più lontano.
Altro elemento di crisi fu legare il premio di fine ferma della truppa, alla volontà del comandante. Ciò portò l’esercito a essere fedele al Comandante più che al Senato romano. Di fatto lo stretto binomio legione-pensiero e ambizioni del comandante, portò l’esercito alla politica. Fu uno spargimento di sangue notevole, degno di una serie di guerre civili.
Silla contro i partigiani di Gaio Mario.
Cesare contro Pompeo.
Ottaviano contro i conservatori che uccisero Cesare e poi contro il suo stesso alleato, Antonio.
Questo periodo fu chiamano Anarchia militare.
Fortunatamente, il nipote di Cesare, Augusto, riuscì a imporre la Pax romana. L’espansione dell’Impero si fermò. Traiano nel 116 d.C. ottenne delle conquiste che l’imperatore successivo Adriano cedette. Roma e i “romani”, soffocati dalle tasse per mantenere l’esercito entrarono in crisi. Due le principali interpretazioni sulla crisi di Roma.Vegezio, nel De re militari, imputò il tracollo alla perdita dei valori. L’anonimo storico romano in De rebus bellicis trovò motivazioni alla crisi nell’eccesso di tasse.