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Storia della prima repubblica. Aurelio Lepre e prof. Carlini

by Giovanni Carlini
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Storia come introspettiva sociologica al Paese: l’Italia, questa sconosciuta. Aurelio Lepre compare in questo sito, nella forma di commento ai suoi libri per la terza volta. Indubbiamente un segno di bontà e apprezzamento all’autore.

Questa serie di studi si apre su un altro testo di Lepre: STORIA DELLA PRIMA REPUBBLICA, L’Italia dal 1943 al 2003.

Gli aspetti che più affascinano, già dal primo capitolo sono almeno due.

Il 2 dicembre 1942, Benito Mussolini, nel suo discorso radiofonico alla Nazione, di fatto conclude il ruolo di prestigio politico di cui ha goduto dall’ottobre 1922. Sono esattamente 20 anni!

Mussolini, consigliando gli italiani sul come difendersi dai bombardamenti, invita ad abbandonare le città. In pratica un si salvi chi può.

Con una tale “risoluzione” politica e strategica, il Duce pose fine alla sua funzione. Non tarderà il 25 luglio, dell’anno successivo, il venir meno della fiducia a Mussolini da parte del Gran Consiglio del Fascismo.

Forse Mussolini avrebbe dovuto insistere su quest’opzione a difesa delle città italiane anzichè invitare allo sfollamento/esodo dai grandi centri ubrani

Un secondo passaggio che rende la storia di queste pagine avvicenti, riguarda la rimozione totale della responsabilità politica degli italiani verso il conflitto.

Un evento di questo tipo ha dei rilievi sociologici molto importanti.

Si apre qui la storia come ricerca e indagine sociologica. Storia dell’Italia repubblicana che nasce da una forma di devianza collettiva di comportamento deresponsabilizzante. Una ricerca che vuole a tutti costi trovare il colpevole negli altri, tranne che in se stessi.

Colpevoli saranno i tedeschi, i fascisti e quindi Benito Mussolini. Tutti colpevoli tranne gli italiani. Su queste fragili basi nasce una Repubblica compromessa e colpevole. Effetti ampiamente visibili oggi, nel 2019.

Diciamo che l’autocritica non è il lato forte degli italiani.

Probabilmente la storia dell’Italia non sarebbe stata così diversa da quanto avvenuto, anche in presenza di una buona dose d’autocritica. Certamente sarebbero però cambiate le attuali conseguenze storiche.

Il concetto di traditore che si rimpalla da una parte all’altra

Oggi in Italia c’è un importante gruppo sociale di nostalgici e vittime della furia omicida partigiana. Gli assassinii che i partigiani commisero (a tutt’oggi impuniti) sono ancora vivi nei familiari e nipoti che covano rancore alla Repubblica. Un rancore che si traduce in evasione fiscale, ad esempio.

Non che gli evasori siano di destra; assolutamente! Certo che l’evasione in Italia non vuol dire solo non pagare le tasse, ma in particolare disagio e non appartenenza alla Repubblica partigiana che ne è emersa.

Una storiografia di questo tipo non è ancora concessa o si è fatta strada in Italia, a marcare quanto destabilizzante sia il ragionarci sopra.

Certo resta l’estrema e superficiale disinvoltura con cui una Nazione spera nella perdita della guerra pur d’accelerare la fine delle ostilità. Concetti (devianze) completamente sconosciute in qualsiasi altro paese in guerra.

SS italiane, un aspetto storiografico ancora poco esplorato

Vallo a dire agli inglesi del 1939-1943 (gli anni bui del conflitto) che sarebbe stata meglio la pace a ogni costo con Hitler. Dillo a Stalin. Spiegalo ai tedeschi e ai francesi che hanno lottato fino allo stremo.

Gli italiani, quelli che hanno tradito le scelte che fecero pur di non pagarne il conto, sono poi gli stessi che hanno aperto alla Repubblica.

Caspita, se i conti con la storia non sono ancora aperti, cos’altro ci manca?

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