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Spread corretto. Appunti di Macro. Prof Carlini

by Giovanni Carlini
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Spread inteso sia come differenziale tra rendimenti dei titoli di Stato italiani con quelli tedeschi, sia come credibilità nel rimborso dei prestiti ricevuti.

Uno spread corretto per l’Italia non è quello visto negli ultimi anni, in particolare dal 2016 al 2020.

Il rendimento dei titoli italiani, da un corretto 5% è stato appositamente drogato al ribasso agli attuali (pre-polmonite cinese) 0,2% o 1% scarso sul decennale e trentennale.

Siamo sinceri; è stata una presa in giro!

Il tanto osannato Draghi è stato l’artefice di questo trucco garantendo l’acquisto dei titoli di Stato grazie alla stampa di carta moneta da parte della BCE tramite il Quantitive easing.

Aver aiutato l’Italia come Bce è lodevole, ma aver imposto delle storture innaturali e prolungate nel tempo al mercato, espone a un conto da pagare.

Il conto è arrivato con violenza perchè ha con se diversi anni d’arretrati.

Scalizzarsi di uno spread corretto a 290 punti come oggi accaduto, 18 marzo 2020, vuol dire volersi appositamente dimenticare ogni trucco precedente.

Da attento osservatore e insegnante di Macroeconomia, rilevo quanto il superamento della soglia del 150% d’indebitamento sul PIL sia motivo di fallimento dello Stato.

Si tratta di una dinamica osservata in Argentina e in Grecia, ma non in Giappone.

L’Argentina e la Grecia non superarono il 187% e sono falliti come Stati.

Incuriosisce il Giappone che viaggia sul 260% d’indebitamento sul PIL senza fallire!

L’Italia non è all’altezza del Giappone, ma molto vicina all’Argentina e alla Grecia.

Le elezioni di marzo 2018 furono celebrate con un 132% d’indebitamento sul PIL che è divenuto 136% prima della crisi da polmonite cinese.

Oggi, in piena pandemia non si conta più tale indebitamento.

Certamente vidi il fallimento dell’Argentina verso i 700 punti base nel 2001.

L’Italia può avere uno spread corretto a soli 290 punti? In realtà sarebbe credibile verso i 450/500 ovvero riconoscere il 5% d’interesse sui Titoli.

Il 5% di rendimento sui Titoli di Stato anzichè lo 0,2% sarebbe il minimo.

Concludendo, tutti i nodi vengono al pettine e la vera prospettiva italiana è pre-fallimentare per incapacità di restituzione del debito senza manovre gravemente inflattive.

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