Showroom sprecato! La natura stessa dello showroom è quella di presentarsi al mercato per relazionare con i potenziali clienti.
Nel momento in cui si nega con forza un’intervista, ci troviamo nella contraddizione.
In effetti una rigidità di questo tipo spreca l’investimento nello showroom.
Appunto uno showroom sprecato.
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L’editore di Professionale Parquet paga un giornalista free lance per scovare notizie importanti sia in Italia che all’estero, ma a volte accade che, dei palchettisti (anche di pregio) gestendo il loro showroom, non concedano l’intervista. Perché un operatore del mercato dovrebbe rifiutare d’apparire gratuitamente, sulla stampa internazionale e nazionale, raccontando la propria storia e le sue personali idee? ECCO CHE SI CONFIGURA IL CONCETTO DI SHOWROOM SPRECATO.
Per evitare di far riferimento a nomi ed indirizzi facilmente identificabili, lo spunto per questo articolo viene dagli Stati Uniti, ma vanno innanzitutto chiariti degli aspetti: perché un negozio viene aperto e se la comunicazione è necessaria oppure no per vendere. Partendo dal presupposto, che si “compra solo ciò che si capisce”, (regola numero 1 del marketing) la possibilità d’esporre la propria offerta al mercato è strategica, altrimenti chi passa davanti al negozio, non comprende quanto sia importante per lui stesso consultare il negoziante, ovvero lo specialista per quella determinata necessità. Non si compra mai per fare un favore al negoziante, ma solo per un proprio bisogno. Se tutto questo è vero, è strategico per il gestore di un esercizio commerciale potersi spiegare, raccontare, descrivere la qualità della sua merce ed i servizi che egli è in grado d’offrire. Se al singolo bene, quindi un pavimento in legno, ci si sommano anche i servizi d’assistenza/garanzie, che il singolo negoziante sa dare, allora il confronto dei prezzi tra diverse offerte ha un senso e una logica. Nel caso invece, si paragonino i singoli beni, quindi privi di servizi, il prezzo ha un valore determinante e vince sempre e soltanto la grande distribuzione o l’importazione (quella cinese in particolare). Quindi il prezzo vale solo in assenza di servizi accessori.
Affinché si possa “intercettare” l’attenzione del passante, serve che i prodotti ed i servizi annessi vadano illustrati. Per questo motivo la spiegazione di un’offerta parte inizialmente dalla vetrina e prosegue con l’accoglimento del cliente dentro il locale commerciale, quindi l’ascolto dei suoi progetti e la gestione delle possibili scelte, offrendo una gamma di soluzioni. L’iter è completato con il montaggio e garanzia del prodotto, oltre a rituali telefonate e lettere/email di verifica al cliente, se gradite, nel successivo semestre rispetto al fine lavori. La comunicazione, nella descrizione di questo processo, è determinante.
Chi si nega ad un’intervista, solitamente non ha capito tutti questi aspetti e cancella il concetto “comunicare-spiegarsi-affascinare” dal suo business e metodo di fare affari.
Per proseguire sul pratico questa analisi, affinché l’operatore possa evitare di trovarsi nella condizione di scollegamento dal mercato, che dovrebbe servire e fare affari con esso, seguono dei tratti caratteristici, che condurranno il lettore a sorridere nella descrizione dei diversi personaggi, con la consapevolezza che parodia, ironia e dramma spesso si fondono.
Il palchettista, che rifiuta il contatto con la stampa, è solitamente un personaggio introverso con le seguenti caratteristiche:
INTENTIKIT DI CHI SPRECA TEMPO E DENARO PROPRIO OVVERO DEL FALSO IMPRENDITORE (un pericolo pubblico)
– ha aperto da poco un elegante showroom in una zona di recente urbanizzazione. Si tratta di ampi spazi, ben divisi e strutturati, ma con poca affluenza di persone. Tale scarsa considerazione da parte del mercato, è un problema vissuto con dramma e sofferenza da parte del palchettista, che è capace di far quadrare i bilanci solo grazie al suo lavoro di montaggio di pavimenti presso i clienti;
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– all’ingresso dello showroom c’è in genere una giovane ragazza (la figlia), impegnata nello smorzare il tempo studiando, da cui ben visibili i testi scolastici ed i fogli con gli appunti, che con sofferenza/distacco accoglie il visitatore per chiedergli il motivo della visita;
– oltre alla figlia camuffata da segretaria, l’entourage è normalmente composto da familiari. Ciò si nota dal tratto semiautoritario con cui il gruppo familiare, a cui è affidato il negozio, si rivolge al visitatore. Questa caratteristica viene colta immediatamente dall’acquirente che percepisce, con ciò, uno scarso tratto professionale limitandosi, generalmente, all’acquisto solo nel caso di diretta conoscenza con il clan familiare proprietario dell’iniziativa. Va precisato come questo studio non sia affatto contrario alle aziende familiari! Però nel momento in cui una famiglia diventa azienda, deve assumere in ambito lavorativo, quelle caratteristiche tipiche di un’impresa, lasciando “in casa” ogni legame con i parenti, ed assumere stili e metodiche comportamentali consoni al tratto con il cliente. Questo spesso non avviene soprattutto in Italia, dove l’impresa familiare è un’istituzione economica e sociale che si scorda d’essere impresa.
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– per quanto lo showroom sia ampio e gradevole, la successione delle proposte non segue una logica che esalti il visitatore, passando dal prodotto comune a quello eccellente, dal prezzo base a quanto riservato solo agli estimatori. Per eccellenza di prodotti non ci si riferisce ovviamente al solo prezzo! Necessita un mix di qualità e di polivalenza, per cui ad esempio un pavimento in legno oltre alla robustezza, sa unire anche l’estetica e il risparmio energetico, quindi la semplicità di smontaggio nel caso servano riparazioni e modiche al pavimento. Questa polivalenza, che non è affatto di tutti i prodotti, è quanto s’intende per “escalation” nella graduatoria di offerte, che lo showroom di parquet deve saper offrire al visitatore. L’assenza di questa metodica produce “ammasso” di offerte così ridotte a non aver alcuna evidenza e rilevanza, quindi assenza d’interesse e giro d’affari.
– il viso del proprietario è in genere tirato, cupo chiedendosi perché gli altri ottengono di più lavorando di meno ed a lui tocca soffrire così tanto per raggiungere risultati accettabili, ma non eccellenti. In realtà, al negozio del palchettista che non concede interviste, se ne affianca sempre un altro di maggiore successo. Praticamente questo binomio è una costante ed è anche una delle ragioni, per cui non vanno diffusi i segreti e le metodiche che gelosamente custodisce l’imprenditore, che non si racconta alla stampa. In termini tecnici (di marketing ed aziendali) il quesito di fondo è: a che costo si lavora, ovvero quanto rende un giorno di lavoro? La gestione di un lavoro o di un cliente quanto tempo richiede e quante energie? La possibilità di “stendere un pavimento in parquet” è affidata al solo caso del cliente che entra nel negozio o deriva da una precisa strategia di marketing attuata dall’imprenditore? Basta il sentito dire e la soddisfazione di un singolo cliente, per attendere che se ne presenti un altro? L’assenza di quesiti di questo tipo, fanno perdere l’equilibrio tra costi ed efficacia che deve invece guidare il lavoro quotidiano di un palchettista;
– dialogando con chi ha paura di rivelare i propri segreti professionali, emerge anche un imbarazzo nello spiegare al cliente perché questi dovrebbe comprare un pavimento in legno rispetto al laminato, il bamboo, la ceramica o la moquette. Ad esempio, tutta la sensibilizzazione alle allergie, che rende prezioso un pavimento in legno, rispetto alla moquette è solitamente omessa, come anche il diverso calore al contatto con il piede tra la ceramica ed il caldo legno. Gli argomenti di punta vengono invece riservati alla sola tipologia di materiale utilizzata, nel senso che: “….il ciliegio è meglio del rovere ma c’è anche l’olivo che con il teak….” e questo dire crea confusione nell’acquirente che alla fine non compra e preferisce la concorrenza.
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– Un imprenditore di questo tipo paga per la pubblicità, ma la affronta come un qualcosa da fare, perché gli è stato detto che si deve portare a termine! Non c’è innovazione e creatività o peggio si utilizzano le sole locandine predisposte dalle aziende produttrici dove sotto viene impresso il timbro del negozio. In queste condizioni non spendere nulla per la pubblicità sarebbe decisamente più saggio che intasare le caselle di posta dei vicini residenti. Il messaggio che si dovrebbe lanciare, al contrario, punta a spiegare quanto il negozio rappresenti una risposta ai bisogni delle persone nel campo dell’igiene e del confort domestico per il pavimento e l’arredamento. In pratica le persone entrano a visitare lo showroom di parquet perché incuriosite dalle soluzioni proposte e dal desiderio di comparare prezzi e qualità già osservati presso altri esercizi, ma che qui ricevono una nuova formulazione nei servizi aggiunti offerti. Non comportarsi in questo modo, significa buttare via soldi e tempo aggravando bilanci già compromessi.
– La classe d’imprenditore qui descritto vive solitamente in piccoli centri dove si conoscono tutti ed è per questo in difficoltà nel proporre soluzioni innovative e diverse dalla “faccia” che ormai gli è riconosciuta da tutti. Questo è in effetti un grosso problema che va superato solo grazie ad un’innovazione spinta e perpetua ottenuta grazie ad apporti esterni. Questo vuol dire che per dare un’immagine di costante evoluzione in un piccolo ambito commerciale, occorre chiamare professionisti “da fuori” e pubblicizzare questo apporto affinché tutti sappiano che da quella certa città è pervenuto un certo input grazie a tizio anziché sempronio. Così facendo il negoziante vende alla sua fascia di utenza potenziale un messaggio di aggressività innovativa sul piano delle scelte che sa offrire ai clienti per cui non fargli visita nel suo negozio rappresenta una perdita secca in fantasia per gli acquirenti.
– Oltre al vivere in area periferica, ma con un vasto bacino di utenza potenziale, il palchettista che non concede interviste non legge mai nulla o quasi. Il flusso d’informazioni tecniche proviene solo degli agenti delle diverse case produttrici, che nell’atto di presentazione dei prodotti, nuovi come maturi, lasciano qualche input al palchettista consentendogli di riciclare verso i clienti delle notizie prive di una vera struttura in grado di soddisfare l’utenza, che si dovesse rivolgere a lui. Il vero problema di comportarsi in questo modo (assenza di stampa specialistica da cui ottenere notizie importanti strutturate in un sistema informativo) è che il potenziale cliente s’accorge della monotonia espositiva del palchettista, riducendone la considerazione. Nell’ipotesi di un acquisto, se questo dovesse accadere, il cliente tende a tornare per successive compere, ma solo per abitudine ed è molto facile che utilizzi la precedente esperienza solo come trampolino di lancio per incontrare nuovi operatori ed occasioni di mercato, lasciando definitivamente il primo palchettista al suo destino di non rivendere più a chi ha già comprato da lui. In questo modo si conferma una delle preoccupazioni più crudeli diffuse negli studi di “marketing strategico”: gestire una sola volta il cliente è troppo costoso. Necessita, al contrario, una ripetitività di atti di vendita, motivati da una strategia che sensibilizzi i bisogni del venditore (vendere) e quelli della sua potenziale utenza (comprare con motivazioni).
Concludendo, la chiusura o fallimento di un negozio di parquet non è mai un evento che capita “tra capo e collo”, al contrario è un fatto maturato nel tempo, i cui segnali sono stati deliberatamente ignorati. L’assenza di motivazione (da cui deriva la mancata spinta al dialogo) produce alti costi di gestione e scarsi ritorni di fatturato. L’imprenditore che si nasconde dietro al segreto per non far sapere del suo mondo, è un soggetto preoccupato di scoprire le sue difficoltà di mercato, ma alle quali non pone alcun rimedio. Si tratta di paura/noia paralizzante. Mancanza di idee o iper produzione di novità in una perpetua confusione d’iniziative non condotte fino in fondo. Sia in un caso che nell’altro, gli estremi si toccano, definendo una obiettiva povertà imprenditoriale che traspare al contatto. La comunicazione organizzata è la base della relazione umana, altresì rappresenta quel pentagramma, sul quale musicare le proprie scelte di prodotti-prezzi e qualità da offrire come soluzione ai problemi dei consumatori. L’incapacità alla relazione umana organizzata da parte dell’imprenditore, apre la crisi della società e la sua scomparsa se non rimpiazzata da chi adatto a questo ruolo.
Quanto qui scritto prende lo spunto da Cedar City (stato dello Utha) negli USA, grazie all’involontaria partecipazione del Signor Rob Wankier della Pioneer Floor Covering & Design Center e dalla paritetica esperienza vissuta a Fallon (stato del Nevada) presso la Carpet Connection.[/fusion_builder_column][/fusion_builder_row][/fusion_builder_container]