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Showroom e crisi dei consumi. Prof Carlini

by Giovanni Carlini
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Showroom: parola magica ma sensibile alla crisi dei consumi 

L’intento per questa serie di riflessioni, e’ “consegnare” ai lettori, delle procedure immediatamente applicabili, per andare incontro ad un cliente sempre più esigente e selettivo che in carenza di disponibilità economiche vorrebbe ancora comprare ma spesso non se la sente.

Organizzare la propria presentazione commerciale, è sempre un problema, specie se si dovessero adottare tecniche del genere showroom e alla luce dei cali di fatturato che la crisi sociale e economica impone pesantemente dal 2009. In Europa, come in Italia, l’organizzazione del negozio, è ancora atto di creazione simbolica, principalmente a opera di un architetto, o come più spesso accade, da un “fai da te”, che alla fine, nel corso del tempo, risulta una mera stratificazione di scelte accavallatesi tra di loro. Indubbiamente, se la presentazione della merce funge da vetrina e pertanto capace di sintetizzare l’immagine del negozio, la clientela in visita, percepisce subito se c’e’ un disordine organizzato nello showroom. Sicuramente l’Europa concepisce ancora il concetto “showroom” come un fatto di stile e classe, che ha il difetto di avere dei costi di realizzazione e progettazione ancora troppo elevati, laddove negli USA la scuola di pensiero, in materia, è molto più pratica.
L’intento per questa serie di riflessioni, come descritto nell’introduzione, è quello di “consegnare” ai lettori, delle procedure immediatamente applicabili, per andare incontro alle nuove tendenze di marcato. Le realizzazioni osservate riguardano dimensioni sia semiperiferiche che urbane che hanno le seguenti caratteristiche:
a) quelle periferiche o semi, rispetto la città, si estendono dai 2.500 ai 3.400 mq. Nel caso dei tremila abbondanti abbiamo, nel caso studiato che 2.100 sono per la sola esposizione (piantina 1 – Porcelanosa/ Florida – www.pocelanosa-usa.com piastrelle, arredo bagno, cucine) mentre quelli più piccoli, appunto da 2.550 mq ne dedicano 2.000 in showroom (soluzione adottata dalla Farrey’s/Miami – www.farrey’s.com piantina 2, impegnata in ambito sia elettrico che idro-termo-sanitario).
b) Invece la tipologia di negozio urbano si sviluppa sia nell’ordine di una soluzione minimale da 200 mq di cui 140 in showroom, (cartina 3) che per una più agevole da 400 mq cui 300 in esposizione (cartina 4).

CONSIDERAZIONI DI BASE

Stabilire l’ampiezza dello showroom, significa porsi in diretta relazione con il numero di visite giornaliere distribuite tra le 13 ore d’apertura su 6 giorni. La dimensione media, quella dai 2.500 ai 3.500 mq, che qui osserviamo su due esperienze distinte come aziende, ma comuni nello stile d’organizzazione, gode di un flusso medio de-stagionalizzato di 3.000-3.500 visite al giorno, con una percentuale di vendita per visita pari al 46% ( che rappresentano un calo rispetto il 65% medio del primo semestre precedente)
La metratura più piccola, quella urbana, con spazi dai 400 ai 300 mq espositivi, soffre solitamente per l’accesso al negozio causa la scarsità di parcheggi idonei e si attesta su un flusso di 800-1.100 visite giornaliere sulla stessa fascia d’ore e giorni lavorativi, già illustrate. La percentuale di vendita, in questo caso, è pari al 51% (anche in questo caso il dato è in calo rispetto il precedente di 63% considerato nel periodo gennaio-giugno) il che attesta che il calo dei consumi in questo periodo è più forte nelle aree semiperiferiche rispetto a quelle urbane. La motivazione potrebbe consistere, ma non ci sono ricerche ancora autorevoli su questo aspetto, al consumo di carburante per raggiungere le grandi aree commerciali limitrofe ai centri urbani, che consistono quasi sempre in 30-40 km di percorrenza nella sola andata.
C’e’ un particolare da considerare in quest’ultima categoria.

Se in periferia il calcolo tra vendita e numero di visite del cliente e’ di uno a uno (1:1), ovvero 46 vendite per 100 visite, in città servono 1,2-1,5 visite per concludere la vendita; (questi dati sono riferiti al primo semestre, non ci sono ancora rilevazioni sul secondo, ma pare siano intorno a 2,2/2,5) in definitiva il cliente va indotto all’acquisto, spiegando cosa comprare e la battuta per scontrino è mediamente inferiore del 40% alla periferia. (prima era del 60%)
In conclusione si vende ancora di piu’ in periferia come volumi rispetto alle aree semicentrali cittadine, ma la tendenza potrebbe modificarsi nel corso di questo primo semestre.
Quindi i grandi negozi mantengono delle presenze “urbane”, (idonee a mantenersi in stretto equilibrio tra costi e ricavi) per ancora convogliare la clientela in periferia dove la serve meglio, pronti a tornare a presidiare il centro cittadino.
Inoltre è interessante notare la trasformazione del mercato statunitense dopo l’11 settembre 2001, per le tecniche d’applicazione del commercio visivo. Dal “gigantismo”, finalizzato ad una corretta gestione dei costi per approvvigionamento e stoccaggio di merce, si ricerca ora il singolo negozio, dimenticandosi quei flussi di visita che raggiungevano, nella grande distribuzione i 10.000/12.500 clienti al giorno su 13 ore.

Nel caso si riconosca che“piccolo e’ bello”, la nuova versione per accogliere i gusti della clientela, non ripiega solo sulle dimensioni, ma resta filiazione diretta delle tecniche adottate dalla grande distribuzione, applicate però nella cura del cliente con un servizio personalizzato.

ELEMENTI IN COMUNE ALLE SOLUZIONI PROPOSTE
Gli showroom attestati sulla dimensione diciamo “medio piccola”, tipicamente cittadina, hanno bisogno di “colpire” l’occhio distratto del solo passante. Per questo motivo in un solo lato dell’esposizione (trucco per incuriosire) si consente di guardare in profondità, nel negozio, puntando a un solo articolo, esposto nelle sue diverse specificità e sfumature. Possono essere più tipi di specchi da bagno, come una successione di box doccia, o di vasche poste in verticale, o ancora, di lampadari molto colorati sfasati tra di loro, l’importante e’ che lo sguardo del cliente, poggi su un’unica base merceologica e che questo sviluppo sfrutti la profondità di tutta l’area disponibile.

E’ grazie a questo “guardare lungo” del cliente, distratto verso il negozio, che si “ferma” la sua capacità d’osservazione convogliandola dentro il negozio.
Sul lato opposto del salone, vengono allestiti degli stand espositivi a tema, in numero di 3 o 4, purché diversi tra loro, capaci di recuperare l’attenzione dedicata del visitatore.
I due lati dell’esposizione terminano con un ampio bancone di ricezione clientela e lavorazione delle idee su una base “personal” in interazione con il cliente.
Al centro del settore espositivo, una passatoia di grande luminosità, sponsorizzata da un’azienda produttrice che inviti nell’apprezzarne la qualità di qualcosa o del tappeto stesso.
Nel retro, tra ufficio, bagno accessibile alla clientela, e magazzino, resta il 40% dello spazio disponibile. Pertanto l’area “produttiva”, quella che guadagna, per usare un eufemismo, non e’ mai inferiore al 60% dell’intera metratura.

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AREA DISPONIBILE PARI A 3.360 mq DI CUI 2.080 ESPOSITIVI – fig. 1 soluzione “Porcelanosa”/Florida.
L’edificio osservato è quello in Florida. Qui AREA SHOWROOM si è recata per capire quanto la crisi modifichi i comportamenti sulla costa più “spendacciona” del paese. Nel caso concreto, il marchio si presenta con una costruzione da 80 metri di larghezza per 42 di profondità; il 38% a titolo di area servizi e magazzino (80 per 16 m.) ed il resto per showroom (80 per 26 metri), fuori il parcheggio auto, calibrato per 300 posti. L’area espositiva e’ strutturata in due settori molto diversi tra loro, accedendo ad essa da un ingresso di 6 metri a cui seguono 2 banconi d’accoglienza ed il box giochi per bimbi. Il flusso di visitatori e’ incanalato verso una specifica ala del padiglione, a percorso obbligato per mezzo di più postazioni di presentazione in ambientazione domestica. La distanza media tra ogni scelta espositiva e’ di 4 metri, unendo in questo caso, il gusto europeo agli spazi delle aree extraurbane. Da queste ampie “serpentine”, che costringono il cliente a visionare le diverse ambientazioni proposte, (se ne contano 27, ma dipende dalla stagione) un corridoio, ricco di altre proposte, in numero variabile di 12-15, consente il transito, al secondo settore dello showroom, anch’esso di 1.000 mq, ma organizzato in open space dove lo sguardo può correre e forse confondersi, in una successione di proposte abilmente collocate, su una fascia di prezzo più elevata, rispetto quanto osservato all’inizio.
Ecco spiegata la tecnica Porcelanosa: due settori contrapposti, un corridoio di mezzo e una serpentina collocata in una delle aree espositive, prezzi diversi, 70-80 ambientazioni proposte in tutto. Il concetto delle aree contrapposte e la “serpentina” è psicologia della percezione applicata all’ambiente per giustificare prezzi diversi. Da una parte si spende tot, dall’altra tot + qualcosa. Per ambientazione, s’intende, nel caso del bagno, non il solo box doccia, ma l’intero spaccato del locale bagno con annessi igienici e tubature per un area di 3×3 mq o, nel caso della cucina, l’intero gruppo lavabo. Cosi facendo, l’effettivo uso di spazio, su 2.080 mq e’ pari a 720 metri occupati in produzione, il restante e’ per consegnare mobilità all’area. In questo caso, la figura del venditore è stanziale, dietro la scrivania di ricevimento che attende l’input del cliente; se ne contano 3 unità. Porcelanosa non gode di un numero visite pari allo standard per il livello di metratura impegnato, causa un prezzo medio-alto, che le attesta sulle 60-80 al giorno (rispetto le 120/150 del primo semestre) in esito al calo di visite e quindi di fatturati è allo studio una trasformazione dell’intero spazio visivo i cui punti fondamentali sono segreti, ma che poggeranno su un ampio uso di “fenomeno collettivo”.

BOX 1 cos’è un fenomeno collettivo
Senza scrivere un trattato di psicologia, va osservato, per spiegare il fenomeno collettivo il comportamento alle recenti elezioni presidenziali dei candidati alla Casa Bianca.
Laddove il candidato repubblicano ha svolto una normale campagna elettorale per cui tutti gli Americani sanno esattamente cosa avrebbe fatto se eletto, sull’obama nessuno sa nulla. Perchè questo? Il candidato democratico ha utilizzato una strategia diversa rispetto al rivale per cui da molti mesi, forse 18 in tutto, ha sostanzialmente detto: sono di colore e per il solo fatto che mi candido alla Presidenza di questo paese, rappresento il sogno americano per cui vi chiedo il voto.
In questo modo ha ottenuto (spendendo una marea di soldi) 8 milioni di voti in più sui 120 milioni che hanno votato (64% dell’elettorato)
Ebbene questo metodo di fare campagna elettorale si chiama FENOMENO COLLETTIVO, ovvero una procedura non stabile nel tempo di condizionamento delle persone, per ottenere un certo fine.
La descrizione di cosa sia un FC (fenomeno collettivo) qui ora diventerebbe decisamente complessa e forse noiosa, ma è interessante da studiare per rileggere avvenimenti anche recenti e della politica nazionale che utilizzano un sistema di comunicazione che non aggrega sul lungo periodo, ma che nell’attimo producono forti e fortissimi momenti di coagulo tra le persone. Oggi, ad esempio, per far affari o solo restare sul mercato, servono fenomeni collettivi! Ad esempio: uno striscione fuori dal negozio che dica: fra 10 gg usciamo con un prodotto rivoluzionario. Il giorno dopo: il prodotto sarà presentato dalla più bella donna della contea di…. Il 7° giorno si dirà che sarà presente l’uomo più bello della zona. Il 6° che ci sarà un premio al 100° cliente che entrerà nel negozio e così via. Quindi il tanto e finalmente atteso 10° giorno ci sarà un party di gala con bibite offerte, per presentare al pubblico qualcosa che, tutto sommato è forse passato di secondaria importanza, rispetto al piacere di incontrarsi, ma che conserva comunque la sua importanza come novità d’aggregazione di soluzioni note (uso dell’originalità) Nasce così la spettacolarizzazione del commercio in una successione di eventi aggreganti che ovviamente comprano e consumano. Ovviamente il nuovo commercio non può essere solo una festa e un fenomeno collettivo, ma questa è una tendenza dominante. Lo showroom adesso deve quindi anche consentire ai convenuti di girare per il negozio, consumare le bevande, mangiare qualcosa e apprezzare le soluzioni offerte.

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AREA DISPONIBILE PARI A 2.550 mq DI CUI 2.000 ESPOSITIVI – fig. 2 soluzione Farrey’s/Miami
La soluzione Farey’s, presente sul mercato dal 1924, e’ completamente diversa dalla precedente. I suoi 2.000 mq di show room sono zeppi di materiale elettrico ed idro-termo sanitario esposto in una jungla di proposte, al limite del soffocante. I 300-500 visitatori giornalieri (flusso invariato nel corso del 2008) trovano però tutto quello che esiste sul mercato, in uno slalom tra materiali diversi dove LA SCELTA DEL CLIENTE VIENE INDIRIZZATA DA BEN 25 VENDITORI PROFESSIONISTI che con la loro postazione vendita (una scrivania e computer) accolgono, indirizzano e vendono secondo gli stretti canoni americani d’aderenza al budget. Ecco l’originalità Farrey’s, l’uso della motivazione dei venditori per fatturare in un ambiente a spazio convenzionale, arricchito in forme soffocanti, ma spiegato al cliente dal venditore che indirizza all’acquisto. Farrey’s non rilascia dati sul valore medio dello scontrino emesso e sui valori di bilancio pur lamentandosi comunque del quadro economico generale.

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AREA DISPONIBILE PARI A 400 mq DI CUI 300 ESPOSITIVI fig. 3
Si nota dal disegno:
a) un’area prettamente espositiva pari a 23 metri per 10;
b) il settore accoglimento: 7 m. per 10 con il bancone di relazione con la clientela e primo lavoro, su particolari da sviluppare sotto gli occhi del cliente;
c) area retro del negozio di 10 metri per 10.
L’area prettamente espositiva, pari a 230 mq e’ organizzata:
– passatoia centrale, in alternanza con le stagioni, sponsorizzata da chi la produce;
– area espositiva a tema, in ampio respiro, posta su un lato dello show room, capace d’impegnare lo sguardo per tutta la profondità del locale, tale da fermarsi sul fondo con pannelli colorati per schiaffeggiare cromaticamente il colpo d’occhio;
– contrapposto a questo spazio, 3 temi diversi, in ambito box, (anche questa scelta va pensata sulla tipologia del cliente normalmente servito e si notano, posti di fronte tra loro al “lato lungo” dell’esposizione, rubinetterie di qualità e marche diverse nel primo box, a cui succede un secondo box dei tre previsti, dove è indicato un prodotto in unico campione capace di assumere in quel momento ed in quell’area un certo rilevo commerciale. In questo secondo box, ottenuta l’attenzione del cliente, il discorso si fa “commerciale” per iniziare a concludere un contatto che deve essere proficuo per il cliente (se soddisfatto ritornerà) ed il venditore. Infine il terzo box, funzionale a un approfondimento dell’attenzione già catturata al cliente per “allargare” l’interesse. E’ in quest’ultimo box che si gestisce il patrimonio d’attenzione ottenuto. Nel disegno allegato le tre aree a box sono definite (primo spazio specifico – secondo box dedicato monoprodotto singolo – terza area espositiva di sistema)
L’area accoglimento pari a 70 mq.
– gode di un ampio bancone, a semicerchio, occupante uno spazio di 5×6. Sui lati del muro, esposta merce per minuteria, senza seguire un tema. Lo spirito di quest’area e’ quella del “bazar”; accedendo a questo settore, per pagare, il cliente si trova in un ambiente “confidenziale” con il venditore, per cui spesso integra l’acquisto con quel o tal altro articolo. Questo “tocco” finale, alla percezione del cliente, gli consente di percepire come “familiare” il negozio. Bisogna rammentare che si compra solo quanto si capisce e che la vendita e’ solo la conclusione di un lungo itinerario tutto interno al negozio. Disconoscere questi passaggi comporta incomunicabilità con il cliente che semplicemente non compra.
L’area retro del negozio – 100 mq.
– si tratta in genere di 3 locali tra bagno accessibile al pubblico, ufficio e magazzino (il bagno accessibile al pubblico è punto d’onore nell’accoglimento);
– l’ufficio è il luogo di ricezione del cliente, anche qui non è il caso di far trovare scrivanie zeppe di carta accatastata!
– il magazzino è un’area critica, perché scelte sbagliate di stoccaggio, producono costi di gestione alti. La tendenza è alla stagionalizzazione del magazzino, ma senza far attendere al cliente i normali tempi di fornitura dalla fabbrica. Normalmente lo stock sarà pari al 18-20% del fatturato annuo, con punte primaverili del 25%, estive al 30% con l’autunno al 14% e l’inverno con l’8-10%.

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AREA PARI A 200 mq DI CUI 140 ESPOSTIVI – fig. 4
La soluzione è cosi strutturata:
a) area prettamente espositiva di 20 metri per 7;
b) area accoglimento di 3×3;
c) area retro di 5 metri per 10;
Il settore prettamente espositivo, pari a 140 mq è cosi organizzato:
– su un lato, al fine di cogliere, in questo caso, una doppia sensazione di profondità vengono allestiti 6 box espositivi da 2,5 metri di larghezza, con muretti divisori crescenti di mezzo metro l’uno, incrementando la sensazione di profondità. In questo modo il primo box è di 2,5 m. di parete per 0,5 di divisorio, il secondo sempre di 2,5 m. ma con 1 m. di separazione e cosi via; l’ultimo sarà di 2,5 per 3 metri.
L’apertura ad “ellisse” descritta, consente allo sguardo del cliente “d’atterrare” sull’intero spazio monoprodotto che si trova di rimpetto ai 6 box ora descritti. In definitiva si tratta del procedimento inverso a quanto illustrato nella figura 3.
L’area accoglimento, pari a 9/10 mq.
Causa spazio ridotto, il bancone, oltre le normali attività, rinvia all’ufficio per il tratto.
L’area retro del negozio – 50 mq.
Bagno da 5 mq, ufficio da 10mq ed il resto magazzino.

Quanto qui descritto sono solo degli esempi derivanti da una lenta ed incisiva trasformazione nel modo di relazionare con il cliente. L’eventuale applicazione richiede solo fantasia e desiderio di restare sul mercato per contare a dispetto dell’attuale crisi nei consumi.

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