Ricerca del personale: quando le società che dovrebbero proporre le figure ideali ai clienti non sanno educare.
Nel 2009, appena la crisi subprime impattò in Europa proveniente dagli Stati Uniti, fu veramente impressionante assistere a una sequela di “mea culpa” da parte dei più alti vertici di tutte le società industriali, commerciali e di servizi che compongono a tutt’oggi il sistema economico nazionale ed europeo. Ogni dirigente e proprietario d’impresa disse: ….non avevamo capito, non ce ne eravamo accorti.
Il pubblico e la stampa, come la politica e l’intera società civile, restarono sbalorditi, ma si dovette prendere atto d’avere una generazione di leader aziendali impreparata. Dal 2009 ad oggi (2016) non è stato ancora recuperato tutto il PIL perduto. Ad essere sinceri anche la massa degli economisti non ebbe la capacità d’immaginare cosa stesse per accadere. Ad essere sinceri eravamo si e no un centinaio come economisti e sociologi nel mondo a lanciare l’allarme negli anni precedenti il 2008, compreso il premio Nobel Paul R. Krugman, ma nessuno ci diede retta. Oggi nel 2016 si stanno formando nuovamente le premesse di una grave crisi, per cui torna attuale la domanda: è nel frattempo maturata la generazione di manager nelle aziende rispetto a quella che non seppe prevedere e capire?
Per rispondere alla domanda serve analizzare il processo di selezione che la ricerca del personale sta svolgendo e in particolare se fosse evoluta negli ultimi anni. Purtroppo su questo piano c’è un gran guaio. Diverse società di ricerca personale, per contenere i costi, hanno assunto dei ragazzini che chiamano consulenti i quali, ovviamente pieni del ruolo affidato, si limitano (più o meno come battaglia navale) a cercare esattamente quello che le aziende chiedono, senza minimante “educare” il cliente a una visione più ampia della posizione cercata. Mi spiego meglio. Negli anni della Guerra del Vietnam (Settanta) gli americani ci insegnarono che l’altissima specializzazione sarebbe stata la soluzione a tutti i problemi e la applicarono nel campo militare; infatti persero la guerra. Capitò che degli ufficiali altamente specializzati sui mortai ad esempio, non seppero prendere l’iniziativa per assaltare quando avrebbero dovuto, oppure difendersi con efficacia, determinano la morte dei loro uomini. I militari hanno capito la lezione, ma i civili ancora no. Significa che ancora oggi si cerca, ad esempio, un direttore amm.vo che abbia svolto solo quel ruolo negli anni credendolo super specializzato e quindi “bravo”, scartando chi è stato anche nel controllo dei conti (controller) o nell’area del personale.
Laddove un’azienda del settore GDO dovesse richiedere una figura di provenienza dallo stesso settore, nessuno tra le società di ricerca del personale osa far presente che rimanere nello stesso ambito merceologico o industriale, esprime una povertà anzichè una ricchezza. In pratica le società di ricerca del personale, causa anche personale troppo giovane, ma più diffusamente una cultura passiva d’appiattimento sul cliente (purché paghi) non riescono più a spiegare che l’aver svolto molte funzioni è la base per un direttore generale, che sociologicamente si definisce “generalista” (appunto perchè sa agire su più contesti avendoci lavorato). Ecco il segreto: il “generalista” esprime il vero manager che sa guardare e prevedere quando lo specializzato (che ha fatto solo quella mansione e proviene dallo stesso settore) non sa muoversi.
Tornado ai casi concreti, vengono scartate delle figure, e questo accade nella centralissima Milano, perchè 4 lauree non bastano e aver pubblicato 200 studi sulla GDO o redatto diversi piani di marketing appunto sulla GDO, vengono classificati come “che cosa centra, è diverso dall’averci lavorato“. Spesso le risposte delle società di ricerca del personale sono: “ha svolto molti incarichi diversi in imprese di medie-piccole dimensioni, quindi non è specializzato in nulla, resti nelle aziende modeste perchè non possiamo candidarlo come Direttore Generale nella grande realtà” Queste sono risposte da ragazzini, quegli stessi che favoriscono nell’ascesa, ancora una volta, una generazione di manager che non vedrà, non capirà, non saprà immaginare e resterà perplessa, perchè nessuno gli aveva detto che il mondo gli sarebbe crollato addosso.
Passando al pratico: che cosa si dovrebbe fare?
Il manager è un personaggio (uomo o donna) che “non fa”, ma sa capire e guardare prevedendo le tendenze di mercato. Non stiamo parlando di un indovino, ma di un’analista. Ovviamente non può essere un ragazzo, perchè necessitano decenni d’esperienza lavorativa sulle spalle, per cui il vero manager inizia a collocarsi dai 45 anni in poi. Inoltre, il dirigente è “generalista” provenendo da settori diversi (si auspica) con incarichi altrettanto variati, affinché possa aver maturato la sagacia per intuire quello che non sta scritto da nessuna parte, ma che deve saper gestire. Il leader d’azienda, che emerge da un corretto processo di ricerca del personale, è anche una persona che ha viaggiato e più che solo parlare le lingue straniere, ha capito come coordinare mentalità diverse, per cui sa assumere il ruolo di punto di coagulo; detto in altre parole il manager sa pensare non perchè abbia solo fatto, ma sopratutto studiato, creando punti di vista che ha applicato. Ecco che una caratteristica base del management è l’iniziativa, la creatività, l’essere innovativo e lo spingere l’impresa su nuovi o comunque interessanti percorsi d’audacia aziendale. Un manager viene scelto non perchè parla inglese ma capace di accogliere una delegazione straniera e condurre la trattativa alla firma del contratto. Spesso vengono assunti personaggi perchè parlano lingue straniere ma restano privi nella capacità di come gestire e capire le persone, i fatti , le tendenze. Per le lingue ci sono gli interpreti.
Se il profilo appena tratteggiato della dirigenza aziendale dovesse essere quanto appena descritto, certamente che provenga dal settore della moda per lavorarci è ridicolo (come buttare i soldi dalla finestra) ed è ancora più drammatico che le società di ricerca personale non sappiano EDUCARE il cliente, aprendo un normalissimo processo di consulenza. Una persona poco fa, di un’importante società milanese di ricerca del personale, mi ha detto: perchè devo fare la consulenza a un cliente che vuole una figura che già esiste sul mercato! gliela cerco e concludo il contratto servendo adeguatamente il cliente. La risposta è sbagliata perchè chi è incaricato di selezione deve porsi subito le seguenti domande:
- la figura cercata cosa deve fare?
- smettiamola di giocare a “battaglia navale” miseramente replicando le richieste del cliente, in particolare la provenienza dal settore appiattendosi sull’identikit proposto dal cliente;
- vanno ricercate invece le ATTITUDINI che la figura da inserire in organico dovrebbe avere, spaziando ad ampio raggio sull’intera gamma delle candidature possibili.
Questi 3 passaggi fanno la differenza tra un servizio di consulenza sulla ricerca del personale e il banale servizio che solitamente viene reso contribuendo a quella massa di manager ultra specializzati, incapaci di vedere il crollo o il pericolo.
Che nessuno confonda la variabilità degli incarichi svolti con l’inadeguatezza al ruolo, perchè chi emerge da tante funzioni direttive certamente non si farà mai prendere di sorpresa come accaduto nel 2009 e non farà sfigurare la società che ha investito su di lui.
Buon lavoro