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Quando perseverare diventa malato. Studi prof Carlini

by Giovanni Carlini
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Non è “malato” lo sbaglio inteso come semplice errore, ma il bisogno perseverare nel fare una cosa che oggettivamente è discutibile!

Capita spesso d’osservare in persone adulte e studenti degli atteggiamenti sbagliati. Fin qui nulla di male, fa parte della vita e l’esperienza molto spesso esprime una lunga somma d’errori, sia commessi in prima persona che anche studiati nel comportamento degli altri.

Ne consegue che è sciocco gridare allo scandalo per un singolo errore: l’importante è segnalarlo e ragionarci sopra.

Al contrario, sbagliare, sapere di farlo e perseverare nell’errore presenta 2 scenari:

a) dover comunque raggiungere un risultato strategico (di fondamentale importanza) pur perseguendo vie non corrette. Nella vita accade anche questo;

b) pura stupidità che potrebbe sconfinare in uno stato della personalità considerabile “malato“.

Il guaio della “sola stupidità” è che “infetta” l’anima, spingendola all’assuefazione dove si perde la cognizione del giusto/sbagliato. Tutto sommato, allargando a dismisura la riflessione è come l’evasione fiscale, commessa da tutti e considerata necessaria per rispondere a una pressione fiscale non corretta. In realtà sarebbe giusto pagare le tasse in un regime fiscale adeguato. Tornando al ragionamento di base, la stupidità potrebbe anche essere “allegria” (per una volta va anche bene) ma ciò che guasta il tutto è il bisogno di perseverare nella stupidità che crea dipendenza e assenza di coscienza, quindi si entra in una dimensione di turbamento della personalità e infine d’alterazione degli equilibri morali tra “il giusto e lo sbagliato”, per quanto arduo sia stabilire un confine. Ecco la malattia, quindi lo status di malato.

La malattia condiste in una alterazione della capacità di percezione della realtà (per tutti ne siamo affetti, specie nella società di internet ma con la capacità di “spegnere” quando si esagera – anche se non sempre è vero). Il malato è invece colui che ha perso la capacità di spegnere al tempo giusto l’eccesso di emozioni, informazioni, reazioni e quant’altro riceve.

Concludendo, serve una nuova codifica morale nell’intimo della propria personalità per stabilire nuovamente (esame di coscienza) cosa sia giusto o sbagliato, stando attenti ai livelli d’assuefazione ormai acquisiti, che rappresentano un’importante soglia d’alterazione della realtà e quindi d’inquinamento della personalità che così degrada in stadi di patologia comportamentale, appunto il malato.

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