Quando il mercato si rompe: passeggiando per il centro di Milano
Quando il mercato si rompe cosa accade? Tra Piazza del Duomo e San Babila ci sono diverse gallerie (in questo caso Galleria Pattari) dove ogni vetrina era un negozio.
Oggi sono tutti e per tutti intendo che non è rimasto nessuno; ogni attività è spenta. Quelli che erano i negozietti del centro hanno chiuso in massa.
Passeggiando in C.so Vittorio Emanuele III entro in un negozio d’abbigliamento, di matrice tedesca, posto di fronte a “Zara” dove trovo molti abiti per donna, decisamente simpatici, al costo medio di 50 euro.
Mi guardo intorno e trovo che “Mauro”, libreria per ragazzi da 50 anni ha chiuso e “Giovenzana”, attivo da 25 su articoli fotografici, ha chiuso.
M’affretto a comprare qualche libro al 20% di sconto in Via Visconti di Modrone, alla Libreria Scientifica (mi conoscono da 25 anni) che gareggia con il 10% della Feltrinelli e Rizzoli.
Non è finita.
Passo in P.za Liberty a fianco al negozio della Ferrari, dove vedo una comitiva di giapponesi che escono contenti per aver comprato “qualcosa di rosso”.
Rifletto sulla bontà del “made in italy”, ma poi ricordo anche il pronto soccorso del Policlinico di Milano e non riesco a capire dislivelli così clamorosi, tra un tanto eccellente e un troppo scadente.
Perché annoto questi particolari, quando il mercato si rompe cosa accade?
Tornando a casa apro il Sole 24Ore e leggo del prezzo delle materie prime: mi viene da ridere!
Rido perché è assolutamente folle quello che sta accadendo in questo settore, per cui non posso che prevedere un altro clamoroso crack (rottura del mercato) con epicentro le materie prime non energetiche; i metalli. Sarebbe la seconda volta che scrivo in anticipo di mesi e anni su un buco clamoroso, perché il 2008 l’avevo già descritto 2 anni prima, pubblicato e stampato!
Usando messenger, scambio qualche opinione con un docente di economia a Brescia, un altro di Torino, quindi attendo il fuso orario per Stanford (nelle vicinanze di New York) quindi Fort Collins (Colorado), su London (Ontario – Canada) e infine Berkeley (San Francisco) e ci troviamo tutti in accordo su un punto: una nuova bolla si sta formando. Quando scoppierà?
Si ritiene nel corso dei prossimi 12-18 mesi anche se tutto è in poderosa accelerazione, ma il problema non è tanto cosa stia accadendo (è così palese) ma quando si romperà e che cosa possa ancora causare. Il fatto è che una nuova crisi andrebbe a incunearsi in una fase economica già profondamente danneggiata.
Il Fondo Monetario lo ha detto chiaro e tondo: non siamo fuori da un bel nulla e Paul Krugman (premio nobel all’economia) per quanto istrionico parla di secondo colpo confermando le idee che abbiamo un po’ tutti (gli studiosi) su una forma a W della crisi, anziché a V o a L come detto più volte.
Ciò che pensiamo (economisti, sociologi dei consumi e gente di marketing) non lo possiamo dire perché gli editori non ci pubblicano; non solo, il più importante d’Italia mi censura gli articoli, perché sono un “comunista disfattista”.
Non voglio entrare nella polemica, ma non sono assolutamente nè l’uno nè l’altro, però se sbaglio qualcuno mi deve dimostrare dove e portare un altro assetto di pensiero, che posso anche sposare, però quando chiedo le motivazioni al mio errare, nessuno mi risponde.
Quando il mercato si rompe sono questi i segnali?
Arriviamo così alle conclusioni, perché non voglio essere troppo noioso.
Se la cava (parafrasando il titolo di un famoso libro) chi è in grado di produrre alla cinese maniera prodotti di qualità a basso prezzo.
Bisognerà abbattere le spese aziendali d’incidenza sul fatturato che solitamente oscillano intorno al 32-34% portandole verso il 28%, ampliare il fatturato andando a vendere in altri mercati (quello nazionale è asfittico) usare diverse e più trasparenti politiche commerciali, rimuovendo quella generazione degli attuali direttori commerciali, che hanno solo venduto negli ultimi 25 anni ma poco studiato, pensato, capito e prodotto in idee e innovazione.
Di giocolieri ce ne sono così tanti in giro, che non si sa più dove metterli e mantenerli in posizione di vertice significa solo fargli e farsi del male.
Quindi abbiamo bisogno di una nuova classe dirigente, non compromessa con quanto avrebbe dovuto vedere e non ha capito, come, tra l’altro, prosegue a non capire. Non si tratta di sparare sul mucchio, ma di trovare nuovi modi di produrre per un mercato che è già cambiato, ma servito da un sistema di distribuzione e produzione fermo alle idee pre-2008 . I tedeschi si stanno muovendo, gli americani pure, i giapponesi sono ancora nel guado, i cinesi sono rapidi, ma hanno un gap culturale di almeno 200 anni da coprire, che sapranno affrontare nei prossimi 60 anni se non collassano prima (l’opinione più diffusa è che si rompano come sistema sociale ed economico), i russi hanno solo soldi da spendere, ma tolti quelli resta poco.
E noi, cosa siamo ancora in grado di fare? Quanto stiamo studiando, quanti uomini nuovi abbiamo introdotto in azienda, quali i brevetti, dov’è l’innovazione di prodotto, di quanto scendono i prezzi e si alza la qualità? Ecco le chiavi per conquistarsi un posto nel nuovo mondo.