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Psicologo o sociologo per il prigioniero da Parkinson?

by Giovanni Carlini
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QUESTA VERSIONE DEL TESTO E’ STATA APPOSITAMENTE MODIFICATA PER CONSENTIRE UNA MIGLIORE LETTURA ALLA COMUNITA’ DEL PARKINSON

E’ più corretto un sociologo o uno psicologo per andare incontro alle necessità del il prigioniero da Parkinson?

il prigioniero da parkinson

 

Il ragionamento di fondo che ha condotto ad identificare il prigioniero da Parkinson nel più generico affetto e malato dal morbo, è una sintesi di carattere sociologico, tesa a stemperare i comportamenti tipici di questa condizione nella relazione sociale. Detto in altri termini si sta facendo strada (a fatica e osteggiato gratuitamente da una frangia di malati) una teoria per cui con normali accorgimenti di natura sociologica, adattati ai singoli snodi caratteriali in cui solitamente il prigioniero da Parkinson si colloca, possa essere possibile migliorarne la qualità di vita. Tutto questo non attraverso una procedura individuale di crescita personale (che non guasta) ma come diretta interazione con un gruppo d’elezione dove interagire “nel fare”.

Attualmente ci sono diversi gruppi virtuali d’interazione  in ambito di Parkinson dov’è osservabile:

– una partecipazione unilaterale di persone che lanciano a ripetizione dei messaggi , indubbiamente interessanti ma senza riscontro;

– altri che hanno delle reazioni disordinate, appena accade qualcosa che esce dalla loro abituale percezione di ghetto nella malattia;

– un silenzio profondo della massa che assiste come a una partita di ping-pong senza intervenire;

– una partecipazione “dei soliti” che riduce la vitalità del contesto a un clan.

Questi problemi sono però riscontrabili in ogni realtà virtuale per cui non sono affatto specifici per il prigioniero da Parkinson!

Resta il fatto che in questo ambiente la terapia di relazione sociale sia “strategica” per riattivare la tolleranza, la capacità d’analisi e sintesi dei concetti, la socialità, uscendo dal ghetto e dalla presunzione del rispetto acritico solo perchè affetti dal morbo.

A questo punto non basta “il sito” e un certo numero di “contatti/amici”, è necessario passare a uno stadio superiore d’attivazione per un progetto comune, che comporti un impegno sociale a favore della comunità. Quale “scusa” è possibile pensare per accendere una mobilitazione di popolo che porti il prigioniero da Parkinson ad essere protagonista della sua disgrazia?

Francamente ogni scusa è buona!

La proposta che qui si lancia (finalizzata al benessere della comunità) è per formare un questionario con lo scopo di capire di più le necessità de il prigioniero da Parkinson. Quali sono le domande che vorrebbero fossero poste in un ipotetico questionario che girasse l’Italia da nord a sud? Ad esempio:

– domande d’ordine familiare pertinenti alla qualità di vita e annessi problemi con:

a) i figli,

b) il coniuge, (cosa si vorrebbe chiedere al coniuge come pazienza e accesso all’intimità)

c) il lavoro,

d) gli amici,

e) le conoscenze,

f) problemi relativi alla guida/patente,

g) problemi relativi alla dieta alimentare,

h) problemi relativi agli abbigliamenti utilizzati (scarpe e abiti)

i) altro che si vorrebbe porre in risalto;

– domande relative alla profilassi seguita (in corso)

– domande relative a cure che non hanno avuto effetto (nel passato)

– domande relative ai costi delle cure (nel passato e nel presente) e questioni fiscali di deducibilità

– domande relative a cosa si vorrebbe, ma nessuno si è posto il problema!

– domande relative a quale “snodo comportamentale” si ritiene d’aver incarnato, da quanto e con quali risultati (autocritica – se possibile)

– altre domande che si ritene necessario far sapere al mondo relativamente alla condizione di vita de il prigioniero da Parkinson.

A ben guardare non è tanto importante il questionario (si ripete il concetto) quanto la mobilitazione che ne dovrebbe scaturire dove ogni persona, liberamente, afferma e chiama ad affermare altri su domande note o da scoprire.

Tutto questo è sociologico non psicologico, perchè riguarda la comunità da costruire per il prigioniero da Parkinson. Quindi serve il sociologo.

A questo punto al lavoro! E’ già stato perso molto tempo che va recuperato.

Ogni persona s’interfacci con il proprio gruppo di riferimento e agisca per far agire.

Auguriamoci buon lavoro.

Il prossimo spunto di riflessione su il prigioniero da Parkinson, riguarda la sessualità, argomento che sta assumendo la sua importanza dopo i diversi contributi ricevuti sui cui riflettere.

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