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Prigioniero da Parkinson: voler essere malati! Prof Carlini

by Giovanni Carlini
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Negli studi sul prigioniero da Parkinson, nell’ambito della teoria sociologica, s’osserva sempre più spesso una granitica e caparbia volontà di volersi e sentirsi malati da parte dei pazienti!

Perché? (perchè la malattia è anche questo, l’identificazione con chi ti sta divorando)

Un dato comportamentale costante osservato nel prigioniero da Parkinson nell’ambito della ricerca in corso per una teoria sociologica sul Parkinson rivela che:

– spesso si notano atteggiamenti di blocco di fronte ai problemi dove manca la reattività minima per cercare soluzioni. E’ come se il prigioniero da Parkinson subisse le vicende della vita, senza saper opporre alcuna reazione;

– oltre a questa passività/rassegnazione del prigioniero da Parkinson, a completare il quadro, si aggiunge anche una “schizofrenia” d’umore passando da un estremo all’altro, come se il paziente si sfogasse del suo dramma con i tradizionali affetti che lo circondano.

Si tratta di 2 degli atteggiamenti che rendono maggiormente odioso il morbo di Parkinson.

Nella ricerca, ad esempio, brilla in senso negativo il comportamento di quell’uomo (prigioniero da Parkinson) che di fronte alla stanchezza motivata della moglie e  a gravi problemi nei confronti dei figli (allo sbando) non reagisce attendendo che il problema si risolva da sé. Questo attendismo porta ovviamente anche all’incapacità di chiedere aiuto.

Molto più diffusi sono quei comportamenti di rabbia, nervosismo, isteria, cattiveria, che contraddistinguono il prigioniero da Parkinson verso i suoi cari, rei di non essere malati anche loro.

Come se ne esce?

Indubbiamente nel blocco di reattività che affligge il prigioniero da Parkinson si spiega anche la polverizzazione insignificante e priva di contenuti tra gruppi, associazioni e sotto gruppetti che affligge il mondo del Parkinson, dove non si riesce ad avere un’idea neppure a pagarla a peso d’oro, ma al contrario imperversa l’individualismo astioso di gente che non sa cosa dire. Un malato bloccato è anche il peggior soggetto possibile su cui la teoria sociologica possa incidere, perchè non reagisce. Una passività così intensa spiega anche il perchè, nel mondo sanitario che gravita intorno al morbo, ci debbano essere atteggiamenti autorevoli imposti “dall’alto”, anziché emergenti dalla base. Questo dirigismo d’autorità ha di fatto, snaturato la personalità e sensibilità del prigioniero da Parkinson.

Si conferma in questo modo quanto il prigioniero da Parkinson sia un reale prigioniero, assediato sia dalla sua non reattività o al contrario da un eccesso di astio/ira, come anche da un mondo accademico che ha fatto del Parkinson il suo “stagno per i cigni” oppure “zoo” a cui portare il cibo impedendo che quest’ultimo sia procacciato. E’ ovviamente una metafora che spiega però lo stato d’abbandono reattivo che grava sul prigioniero da Parkinson.

Ci sono dei casi di reazione a questa condizione per combattere su entrambi i fronti: sia quello passivo che l’iper schizzato e isterico, riducendo il dosaggio dei farmaci. Qui la teoria sociologica si deve fermare per lasciare il campo al medico, che dev’essere responsabilizzato ed EDUCATO dal paziente verso il bisogno di recupero di dignità. Il problema del RECUPERO DI DIGNITA’ si fa sempre più urgente considerato come il morbo coinvolga sostanzialmente l’intero arco vitale residuo.

Anzichè ridurre il dosaggio dei farmaci, in assoluto e indispensabile accordo con il medico, la teoria sociologica al Parkinson, qui in formazione, auspica alla nascita di un nuovo associazionismo che sia motivato da idee anziché isterie personali, teso a creare veri e propri gruppi virtuali/reali di persone nella condizione di prigioniero da Parkinson per fondare delle comunità di persone.

LA COMUNITA’ TRA PERSONE AFFETTE DAL PARKINSON è la soluzione!

Rispetto a un tempo che si muove con i suoi ritmi (ingestibile per un prigioniero da Parkinson nell’attuale dosaggio farmacologico) serve fermare il tempo al ritmo e velocità adeguati allo stadio del morbo. DEVONO NASCERE DELLE COMUNI O AMBITI DI SOCIALIZZAZIONE dove il prigioniero da Parkinson possa fare la vacanze con la sua famiglia e insieme ad altri pazienti, quindi coltivare la terra ad esempio, o pescare, quindi imbiancare o passeggiare, recuperando un decorso del tempo umano. Viene da pensare che l’accelerazione del tempo, che oggi affligge la società moderna, sia per veri malati e che i sani siano coloro nella condizione del prigioniero da Parkinson.

Idee allo studio. Giovanni Carlini

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