Il PIL che non c’è: il caso Italia
In Italia ci si interroga su un rilancio che non c’è. Un giorno dicono che la crisi è finita poi ci ripensano. In realtà nessuno ha capito cosa stia accadendo. A questo punto serve una riflessione per approfondire. Con la prima (e ultima) crisi della globalizzazione (ormai siamo in era POST GLOBALIZZATA) del 2008 in Occidente si è aperta nuovamente l’austerità.
Negli anni Settanta, per austerità, s’intese una riduzione dei consumi. Mitiche furono le domeniche a piedi a causa dell’alto costo del petrolio. Negli anni Novanta l’austerity fu sia una contrazione dei consumi sia della spesa pubblica. Giunti nel 2008 l’Europa, di fronte allo spettro della rottura, impostò politiche d’austerità. Oggi ci sono 3 tipi di “successi” in Europa e in Occidente a seguito di quelle politiche.
1 – chi applicò l’austerità come riduzione della spesa pubblica, oggi ha PIL elevati;
2 – chi applicò l’austerità, sia come riduzione della spesa dello stato sia alzando le tasse, oggi ha PIL modesti;
3 – chi come l’italia ha sostanzialmente alzato le tasse e poco ridotta la spesa, ha PIL scarsi, pari allo zero.
Ecco scoperto l’arcano! Il nostro paese ha fatto una scelta che non si è rivelata adeguata alle prospettive future. Ne consegue che il PIL italiano rasenta lo zero o al massimo l’1%.
Nel gruppo di paesi che ha fortemente ridotto la spesa pubblica vanno annoverati quelli del nord Europa. Nel dettaglio sono: Svezia, Regno Unito e Irlanda. Nel 2015 il loro PIL è stato pari o superiore al 3%
Il secondo gruppo, che ha applicato un mix tra le 2 scelte, si colloca su un PIL intorno al 1,6%. Il riferimento è per la Polonia, Germania e Austria.
Infine nel terzo gruppo c’è l’Italia, Francia, Spagna e la Grecia. Belgio e Portogallo. In queste Nazioni il PIL è intorno allo 0,5%. Qui è stato nettamente privilegiato l’aumento delle imposte.