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Perchè gli industriali lasciano l’Italia?

by Giovanni Carlini
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Perché gli industriali lasciano l’Italia?

Gli industriali lasciano l’Italia. E’ un dato di fatto. Hanno ragione o torto oppure non c’è nessuna motivazione logica? Certamente emigrare per costruire ha un significato critico verso il Paese.

Sull’esodo degli industriali pesa anche la sindrome da nimby. Il riferimento è al desiderio di consumare senza aver vicino stabilimenti di produzione. Centrali elettriche, impianti petrolchimici. E’ possibile lavorare in Italia tra nimby e la pubblica amministrazione? Perché è in atto una fuga sia d’imprese sia di persone che non trovano lavoro? Veramente gli italiani soffrono solo di pretese, viziati da un agio che non meritano?

Su ogni domanda regna il quesito principale: cosa sarà dell’Italia fra 5-10-15 anni? Qui è la politica che dovrebbe rispondere ma non ne è capace.

La foto ritrae mio figlio che si arrangia per cucinare. Apprezzo una persona che non sa fare, ma si organizza al meglio!

 

Perché gli italiani dicono troppo spesso “no” a tutto, compresa l’apertura di stabilimenti? Perchè emigrare? Troppi perchè!

Per cercare di capire, bisogna tornare alle origini dello sfaldamento della società italiana. L’aspetto storico è fondamentale.

Prima del Fascismo ci fu lo Stato Liberale e il Re; furono i punti di riferimento nella società italiana. Al termine del primo conflitto, monarchia e stato liberale si scoprirono inadeguati. Il motivo derivò dalla trasformazione sociale che il Paese subì nel confitto. Gli italiani furono realmente tali solo dopo aver sofferto insieme. La grande trasformazione sociale che seguì al conflitto, impose i cittadini alle istituzioni. Arrivò quindi il Fascismo. In effetti chi è stato capace di dare un ruolo sociale a tutti, fu effettivamente il regime fascista. Industriali lasciano l’Italia, allora non ce ne furono.

Finito anche il secondo conflitto e chiusa l’era fascista, avvenne un fatto strano. Nel passaggio politico, non si è avvicendato lo Stato democratico al Regime, come recita la storia ufficiale. In realtà una miriade di partiti hanno diviso gli italiani. Prima della democrazia, la Nazione fu costituita bene o male da “italiani”. Per quanto il tessuto sociale fosse immaturo tra l’800 e il 900. Dal 1946 in poi ci furono democristiani, socialisti, comunisti, addirittura qualunquisti, ma non più italiani. Industriali che lasciano l’Italia non ce ne furono neppure allora.

Prima il Paese ebbe dei punti di riferimento (la Monarchia, lo Stato e il Regime) dopo è rimasto orfano. L’illusione fu l’ideologia.

Ad aggravare lo scollamento sociale intervenne l’opposizione da sinistra. Il PCI oggi PD, non ha mai contribuito a formare lo Stato. In realtà ha sempre cercato di demolirlo, utilizzando anche il sindacato. L’azione di sabotaggio a tutti i livelli, condotta nel nome dell’opposizione politica, ha ovviamente inciso nella capacità di “fare Paese”. Per di più, negli anni 50, la sinistra visse ancora confusa tra rivoluzione e sovvertimento dello Stato borghese. Il tutto ovviamente mediante la rivoluzione comunista! L’azione di sabotaggio comunista nel Paese, ha incrementato quella che oggi è la peste della società italiana: il nichilismo. Si tratta di una contrapposizione artificiosa su tutto e tutti, attraverso il litigio. Questo avviene sia sul piano privato, vedi la conflittualità di coppia e i divorzi, sia in ambito sociale. Socialmente parlando, in Italia lo scontro ha più senso rispetto all’accordo.

Il nichilismo è il veleno iniettato nella nostra società da un’opposizione confusa tra demolizione e costruzione dello Stato. I Governi, che si sono succeduti, non hanno saputo coltivare un assetto culturale comune. Del resto in Italia c’era la fame!

Giunti ai tardi anni Novanta, c’è stato il crollo dei partiti e del sindacato. Fu l’era di tangentopoli. Ai partiti nulla è subentrato lasciando “l’italiano” solo. Del resto anche la politica, come già fu nel 1920, si smarrì. Restò un totale vuoto d’esempi da seguire.

Effettivamente alla parola Dio fu cancellata la “D”, lasciando un desolato IO. Oggi siamo tutti malati di IO. Gli industriali che lasciano l’Italia ora sono un’attualità.

Essere malati di nichilismo significa trovarsi impastati di presunzione, arroganza e ignoranza. Questo esprime il più crudo nichilismo. Grazie partito comunista. Grazie sinistra italiana.

Una dinamica così lacerante non c’è stata in Germania, Gran Bretagna, Canada e Stati Uniti. Decisamente meno in Francia. Qualcosa si sta affacciando da una decina d’anni in Spagna. L’Italia resta un caso di studio a sé nel panorama europeo.

Con queste premesse è facile capire perché gli industriali lasciano l’Italia.

Di fatto, tutti noi, non abbiamo esempi positivi e neppure sappiamo cercarli. Litighiamo e ci lamentiamo, anzi abbaiamo, ma nessuno ragiona. La stessa stampa “pubblica” senza fornire esempi e cultura.  Per leggere qualcosa e imparare, bisogna rivolgersi agli specialisti. Sui quotidiani, per contenere i costi, scrivono ragazzini improvvisati giornalisti.

La crisi del 2008, ad esempio, chi l’ha prevista? la Brexit qualcuno ha saputo capirla? Donald Trump? Chi ha pubblicato sul crollo dell’economia moderna, in tutto sono una cinquantina di studiosi in tutto il mondo occidentale. Gli altri si limitano a essere rialzisti o ribassisti, senza capire nulla di macroeconomia.

A questo punto cosa fare?

Serve una soluzione che dovrebbero offrire i politici o i filosofi. Comunque sia, si potrebbe partire dalle aziende per una “scuola morale” che insegni a essere cittadini.

La scuola ha tradito il suo mandato perchè non può esprimere modelli in una società in crisi. La politica dov’è? La cultura si è sporcata nella ideologizzazione. La famiglia soffre per assenza di modelli. La Chiesa ha scoperto nell’importazione d’immigrati clandestini un nuovo ruolo. Resta il mondo dell’impresa. E’ in questo contesto che si potrebbe riannodare il gusto d’essere italiani. Cittadini di un paese che sa come l’Europa sia un insieme di Nazioni con storie diverse. Ecco come e perchè gli industriali lasciano l’Italia. Abbandonano un NON paese, una NON cultura. L’azienda, lasciando l’Italia, abbandona un vuoto esistenziale che non sappiamo colmare.

In queste condizioni gli industriali lasciano l’Italia.

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