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Parkinson & cretineria. Prof Carlini analisi

by Giovanni Carlini
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Parkinson: esserne malati comporta anche essere cretini?

La domanda è legittima perchè quando pubblico le mie ricerche sull’argomento, ho una persona in particolare “ciccio”, che mi invia il suo “pensiero”. La domanda a questo punto, sommando l’impressionante massa di scemi che ho incontrato nella comunità del Parkinson è: c’è una diretta conseguenza e collegamento tra malattia e stupidità?

Ragionandoci sopra e isolando ogni cretino che ho incontrato dal suo contesto e discutendo con diverse persone, si può con serenità giungere a questa affermazione: LA RISPOSTA E’ NO, NON C’E’ NESSUNA ATTINENZA TRA MALATTIA E STUPIDITA’ DEL COMPORTAMENTO. CHI E’ OGGETTIVAMENTE CRETINO OGGI, LO ERA ANCHE PRIMA, PROSEGUENDO UN’ESISTENZA DI POVERTA’ CONCETTUALE. 

Anche se su un tema di questo tipo nessuno osa avventurarsi (forse lo pensa ma non ha il coraggio di ragionarci sopra) è saggio che la sociologia rompa, in forma compositiva per costruire la nuova coscienza del malato di Parkinson.

LA NUOVA COSCIENZA DEL MALATO DI PARKINSON. Questo è il punto cruciale della teoria sociologica del prigioniero (The Prisoner of Parkinson)

La relazione iniziale Parkinson e cretineria, in realtà va modificata riscontrando un altro tipo di problema, questo reale e fortemente sentito: l’astio, la rabbia, il fastidio, la sofferenza, l’invidia. Il malato di Parkinson (so che la comunità non apprezza si usi il termine “malato” ma per affrontare i problemi non si può proseguire nel giocare con le parole) soffre in forme importanti, di una schietta e manifesta “invidia”, verso un mondo che prosegue incurante del dramma del Parkinson, ovvero di una persona concettualmente sana, imprigionata dentro un corpo malato. Il vero problema del Parkinson è che si tratta di una malattia dalla quale non si guarisce (ecco perchè forse la parola malato non è adeguata) al contrario è una condanna, ovvero una modifica radicale della qualità di vita. E’ come aver perso un arto. Quali sono le procedure di psicologia e sociologia attiva che si pongono in essere verso un’intera generazione di militari, tornata dal fronte priva di un arto? Ecco una concreta variante “di sistema” d’applicare alla comunità del Parkinon nel tentativo di migliorare l’approccio personale alla malattia.

Chi era cretino resta tale (parlo del “ciccio”, ma so esattamente chi sia, avendolo sopportato in Facebook diverse volte, un soggetto che si considera capo clan che sa solo scandalizzarsi) purtroppo questo individuo sta per concludere un’esistenza di miseria e ce ne sono, in particolare, 4 di altri teppisti del genere “a piede libero”, in età avanzata, dove il rammarico è: perchè nato cretino non è riuscito ad evolversi in persona normale? ma questo accade nella vita sociale di ogni giorno, per cui non fa notizia. Tutti abbiamo avuto “un capo” cretino o un amico scemo che è stato letteralmente sopportato. Chiuso l’argomento in forma tombale, non serve perderci altro tempo.

Resta però integra, questa massa di rabbia già studiata, che è fonte di grandi guai, soprattutto nel rapporto DI COPPIA, DOVE IL CONIUGE PRETENDE DAL PARTNER UNA SERIE D’ATTENZIONI ALLE QUALI NON E’ MAI STATO EDUCATO. Si torna alla Teoria del prigioniero da Parkinson, The Prisoner of Parkinson dove quasi mai, chi è affetto dalla malattia, si preoccupa d’educare chi ha vicino alle nuove necessità che sorgono sia per l’avanzamento dell’età, che specificatamente per il morbo (altra parola che non piace alla comunità). Dall’insieme di questi concetti emerge con maggior forza che LA CURA AL PARKINSON, E’ CERTAMENTE NEUROLOGICA, MA IN PARTICOLARE CULTURALE E SOCIOLOGICA. Ecco un nuovo cuore pulsante di riflessione ancora non esplorato, la cui mancanza mina l’intera struttura. In questo periodo sono a conoscenza di molti convegni sulla malattia svolti senza il sociologo, quindi non posso affermare che siano stati completamente del “tempo perso”, ma certamente ridotto al 50% rispetto alla reale efficacia che avrebbero dovuto avere nei confronti della comunità del Parkinson. Ecco un altro punto critico: COME MISURARE L’EFFICACIA DEI CONVEGNI SUL PARKINSON SE NON ALLARGATI AL SOCIOLOGO E ALLO PSICOLOGO?

Buon lavoro.

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