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Organizazione nevrotica. Anche le organizzazioni si ammalano

by Giovanni Carlini
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L’organizzazione nevrotica, studi e appunti.

Ragionare d’organizzazione nevrotica significa affermare cha anche le aziende si ammalano. Le imprese come ogni tipo di comunità umana. L’insieme delle persone può assumere degli atteggiamenti malati.

I disturbi sono i più vari e riproducono fedelmente le comuni patologie individuali quali ossessività, depressione nevrosi e paranoia. I guai cominciano ad avere anche un risvolto economico, quando il vuoto decisionale si traduce in mancato fatturato. Accade senza farci caso, che nella gestione del lavoro quotidiano, si svolgono funzioni impiegando più tempo, rispetto la “norma”, e questo costituisce un danno, ma le cause non sono pigrizia, bensì solo confusione organizzata. Infatti, quando la patologia organizzativa colpisce gli stili di leadership tutto si ferma, e l’impresa perde l’attitudine a dialogare con il mercato. E non finisce qui: se l’incertezza (di cui raramente si è completamente consci) colpisce il management, il “contagio” si diffonde a tutti gli stadi e livelli dell’organizzazione aziendale. Che fare?

In definitiva quando un problema di ansietà personale si estende anche all’organizzazione lavorativa come comportarsi? Un evento di questa portata, molto più diffuso di quanto si possa credere, non è mai un avvenimento che accade da un giorno per l’altro. Spesso è il risultato di un processo sotterraneo, protratto per anni, a cui molti hanno partecipato più o meno consapevolmente. In questo modo, il disagio prima individuale, diviene parte integrante ed elemento distintivo della cultura organizzativa. Gli studi sul comportamento organizzativo di Kets de Vries Manfred e Miller Danny, pubblicati nel 1984, che costituiscono il punto di partenza per questo studio, vengono qui ricordati per “andare oltre”.

Il tentativo di ricerca, del tutto sperimentale qui condotto, punta a calare l’analisi nell’effettiva dinamica lavorativa. C’è da constatare come nella prassi della consulenza aziendale, quanto l’organizzazione “malata” sia profondamente diversa a seconda del settore d’impiego (pubblico o privato) in cui viene analizzata. L’elemento capace di fare la differenza risiede nella diversa determinazione del management nel gestire la struttura.

Al netto di tutte le più recenti innovazioni introdotte nella pubblica amministrazione in senso “privatistico”, resta il fatto che il funzionario, come l’impiegato e quindi il dirigente pubblico siano strutturalmente e caratterialmente distanti, da quello dell’azienda privata. Chi è meglio e chi peggio? Non esiste un confronto credibile. Propongo, di seguito, una breve riflessione per chiudere subito un errore di comparazione tendenzialmente viziato. Com’è possibile stabilire la produttività di una stazione Carabinieri, in un centro abitato, seppur remoto come in una grande città? E’ sufficiente questo esempio per far emergere mondi diversi, chiamati a ruoli altrettanto diversi, senza con questo giustificare sprechi o sovrapposizioni.

Gli autorevoli studiosi che hanno analizzato la devianza nei processi organizzativi, non si sono ancora addentrati profondamente in un taglio di ricerca che possa capire quanto e come incida il fenomeno nel pubblico impiego e in quello aziendale-privato. Le note qui proposte, del resto molto sintetiche, si pongono appena l’obiettivo di lanciare una riflessione, tutta in divenire e oggetto di ulteriori e più autorevoli interventi, per tentare di dare un nome alla patologia organizzativa, nella sua forma applicata a seconda del tipo di contratto di lavoro.

Il punto di partenza di questa ricerca, considera la devianza organizzativa direttamente influenzata dal contenitore caratteriale che la genera. In definitiva, a composizioni comportamentali diverse, corrispondono sia forme organizzative specifiche, che eventuali patologie connesse. E’ il dirigente o il manager che “firma” la qualità della struttura nella quale opera nel bene come nel male.

Di conseguenza, la diagnostica necessaria per la gestione della problematica, dovrà essere studiata a seconda del tessuto umano che effettivamente si riscontra in quell’ambiente. La conclusione è che non si ritiene possibile impiegare strumenti conoscitivi e d’analisi comuni fra i due “habitat” lavorativi (pubblico e privato) Serve quindi una scienza della devianza organizzativa pubblica, diversa da quella applicabile al contesto aziendale e privato. Ovviamente, a questa affermazione di principio, seguono campi di ricerca comuni, incidenti sulla personalità umana influenzati dai diversi periodi storici. Ciò non toglie la necessità d’enucleare due distinte discipline o metodiche di analisi. Un passaggio importante va dedicato alla dissonanza cognitiva (credersi d’essere chi in realtà non si è, ma pretendere rispetto e ascolto come se effettivamente si occupasse la posizione ambita) perché costituisce un passaggio comune tra la struttura privata e quella pubblica.

Questa teoria presuppone che ci sia sempre un divario (appunto dissonanza) tra ciò che una persona vorrebbe e quello che è. Un vuoto di questo tipo (condizione chiara in tutti coloro che ne sono affetti di cui la coscienza è un passaggio scontato, pur mantenendone il segreto) produce un disagio psicologico che si vorrebbe rimuovere restando ingestibile. La tendenza a chiudere il gap tra le 2 posizioni, (quella reale con l’immaginata) comporta delle conseguenze che sono:

a) una spiccata preferenza è per quelle argomentazioni che riducono la dissonanza cognitiva, anche se lontane dal vero. Con questa “strategia” consolatoria e il perseguimento di atteggiamenti di auto inganno, il soggetto ricerca quella forma di comunicazione “desiderata” considerandola più persuasiva; (sogna e si atteggia a “Napoleone” muovendo le truppe sul campo di battaglia)

b) nonostante si sogni d’essere chi non si è, l’incubo più grande per chi è affetto da dissonanza cognitiva è quello di subire dei mancati successi, che non siano equilibrati alla posizione e ruolo che si vorrebbe ricoprire. Il nostro “uomo” ritiene, dopo aver sofferto e lavorato a fondo per la realizzazione di un suo progetto, e dopo anni di sacrifici, d’essersi meritato quota 100 rispetto quella di 30 attualmente detenuta. Non solo, sa esattamente di non essere a quota 100 e conosce il divario tra la posizione reale e quella che immagina d’occupare, ma nonostante ciò, si atteggia, muove, parla, decide, come se fosse effettivamente il titolare di quota 100! Di conseguenza verifica i ritorni di soddisfazione, in base al livello desiderato e si intristisce o esalta, sempre in riferimento alla posizione “virtualmente detenuta”. In pratica si tratta di un inizio di sdoppiamento che avrà, attraverso un percorso ansiogeno, la sua degradazione. Infatti il “prezzo pagato” per convivere in questo “doppio ruolo” è l’uso di quote sempre maggiori di ansia. Sappiamo tutti quanto l’ansia rappresenti un percorso irreversibile; in pratica una metastasi del bisogno di fare.

Figura 1: ecco il meccanismo con cui opera la dissonanza cognitiva. Si vive a “quota 30”, ma ci si illude di trovarsi a “ 100”. Fin qui potrebbe anche essere socializzabile come evento, ma la gioia e la qualità di vita non dipende più da quanto si è, ma da ciò che si vorrebbe essere. Il mancato riconoscimento di soddisfazioni e titoli genera sofferenza, isolamento, sbalzi d’umore, ansia e quindi conflittualità.

Un atteggiamento di questo tipo è molto comune. Tipico del malato, che invece di sottoporsi a esami clinici, si auto convince che la sua malattia non è grave. Come gestire un fenomeno così diffuso? Il difficile non è entrare in una patologia e curarla, ma capirla e poterla governare. Chi ha l’autorità riconosciuta di andare da un amministratore delegato/preside/rettore per dirgli che forse sogna a occhi aperti, oltre la creatività che compete al suo ruolo, assumendo più le vesti di un pericolo che innovatore? Comunque sia è sempre la comunicazione “attesa”, quella che l’interlocutore accetta..

Cinque tipi di disfunzione
In genere ci sono cinque tipi, piuttosto comuni di stili nevrotici ben identificabili: paranoide, ossessivo, isterico, depressivo e schizoide. Ognuno di questi casi ha le sue caratteristiche, condizioni scatenanti e quindi annessi pericoli. Nell’elencazione che segue, al termine di una descrizione generale, seguono “tracce di ricerca” per singola patologia, caratterizzanti sia l’ambito pubblico che privato.

L’organizzazione paranoide ( la più diffusa)

Le caratteristiche: La diffidenza del vertice verso i dipendenti si traduce in un’enfasi sui sistemi di informazione e controllo dell’organizzazione. Tutto assume una palese esagerazione nella sovrapposizione di budget, definizione dei centri di costo, di profitto, procedure di contabilità industriale e altri metodi di monitoraggio per verificare il funzionamento interno dei reparti. Non che questa dinamica non sia da perseguire, ma a questo livello tende ad essere fine a se stessa e non si traduce mai in effettivo controllo della spesa o sua riduzione. La direzione resta guardinga e sospettosa verso le maestranze coinvolgendo i quadri intermedi, i quali per giustificare ogni decisione, producono “chilogrammi” di carte e documenti. Altra caratteristica di questa situazione è l’accentramento del potere nelle mani di chi progetta e gestisce i sistemi informativi e di controllo. Coloro che si sentono minacciati spesso ricorrono ai subalterni per sapere cosa accade “dietro le quinte”, ma poi riservano solo a se stessi ogni minino livello decisionale. Si fa ampio uso di comitati di pianificazione e coordinamento, riunioni di vendita, assemblee con i responsabili regionali e così via. Ma le decisioni comunque, sono già prese!
Quando accade: In seguito a un’improvvisa crisi; a volte si verifica che un mercato subisca una brusca contrazione o stagnazione, oppure che un nuovo, potente e inaspettato concorrente invada il proprio spazio o che una legislazione imponga condizioni operative sfavorevoli. Il danno causato da questi eventi, incide sulla lucidità della proprietà, che si rifugia così nella megalomania del controllo su tutto e tutti, anche ricorrendo ai sistemi informativi.

Pericoli: Distorsione della realtà dovuta alla preoccupazione di conferma dei sospetti, perdita della capacità d’azione spontanea a causa di atteggiamenti troppo difensivi.

In ambito privato: L’organizzazione paranoide è favorita nelle strutture aziendali padronali a scarso ricambio di management o sua completa assenza. Molte imprese, gestite dalla “famiglia”, e con questo il pensiero corre anche a Spa di un certo rilievo, concentrano tutte le diverse funzioni in un clan tra familiari e affini che tende a proteggersi senza innovare. La soluzione sarebbe aprire il management ai professionisti.

In ambito pubblico: Per i diversi livelli gerarchici con cui è congeniata una struttura pubblica, l’organizzazione paranoide non è, in genere, riscontrabile in questo comparto.

L’organizzazione ossessiva

Le caratteristiche: Perfezionismo (inteso come preoccupazione dei dettagli specie se insignificanti) e insistenza sugli altri affinché si conformino al modo di fare “aziendale”, tipico di un solo soggetto e non della comunità che vive nell’impresa. Le relazioni sono interpretate in forme di dominio. Assenza di spontaneità e incapacità alla rilassatezza come della normalità nelle relazioni tra persone. La fretta e l’esubero cronico di lavoro contraddistinguono questa forma di organizzazione.

Quando accade: Allorché si decide di non essere più alla mercè degli avvenimenti e si vuole a tutti i costi governare gli scenari.

Pericoli: Introversione, indecisione e procrastinazione. Tendenza a evitare i problemi per non commettere errori. Incapacità d’allontanarsi dalle attività programmate, facendo troppo affidamento su norme e regolamenti. Difficoltà nello scorgere il quadro d’insieme. La “tradizione” permea l’azienda, al punto che le strategie non servono più. Le “fasi” sono programmate in modo tale che le disfunzioni burocratiche e la rigidità, sismo ordinaria amministrazione. Le iniziative si esauriscono e i quadri sono scontenti perché non hanno alcuna influenza.

In ambito privato: L’organizzazione ossessiva è la tipica patologia di transito da una struttura familiare a manageriale.

In ambito pubblico: L’ossessione improduttiva, vuota e fine a se stessa, è il cancro che logora una buona parte delle strutture di Stato, avulse a ogni forma di produttività che restano ancorate al “regolamento” quale unico termine di paragone per verificare la validità della prassi in essere. L’innovazione, in questo caso, è misurabile solo e soltanto nei limiti dell’applicazione, in genere sterile, della norma codificata.

L’organizzazione isterica

Le caratteristiche: Eccessiva espressività delle emozioni, con costanti richiami per attrarre l’attenzione. Preoccupazioni narcisistiche, manifestate con forti desideri d’azione e d’eccitamento oscillando tra idealizzazione e svalutazione degli altri.
Quando accade: Quando si vuole richiamare l’attenzione del mercato con attività di diverso genere spesso non coordinate.

Pericoli: Superficialità, impressionabilità, rischio di operare in modo immaginario. Le azioni sono spesso motivate da impressioni, quindi reazioni eccessive a eventi minori. Le maestranze tendono a sentirsi usate o sfruttate. Le strategie si fanno incoerenti con un’alta componente di rischio, la quale fa sì che le risorse vengano largamente sprecate. Ci sono problemi nel controllo di operazioni a vasto raggio e nel recupero di redditività. Sono avviate pericolose, quanto imprudenti, politiche di espansione.

Ruolo inadeguato dei manager.

In ambito privato: L’organizzazione isterica è il prezzo da pagare quando l’impresa sta “spiccando” il volo “creando” nuovi collegamenti con il bisogno espresso dal mercato. Le grandi accelerazioni capaci di sviluppare successi incredibili come memorabili, richiedono una fase “isterica” o istrionica, per mezzo della quale è possibile allungare il raggio d’azione delle visioni aziendali strategiche.

In ambito pubblico: L’estro creativo (e isterico) è prassi nei piani altolocati della politica o dell’alta dirigenza pubblica. A differenza dell’ambito privato, in questo contesto la “capacità di produrre pensiero” non è una fase di transito, ma lo stile corrente dell’organizzazione che così tende a sganciarsi dalla periferia creando fratture stabili e non più colmabili. Resta il fatto che l’area innovativa, capace di modificare i regolamenti si colloca nel seno dell’organizzazione isterica centrale.

L’organizzazione depressiva

Le caratteristiche: Sensi di colpa, inutilità, inadeguatezza; impotenza e disperazione con affermazioni del tipo: “contro i cinesi non c’è nulla da fare”. Essendo alla mercè degli eventi, c’è una ridotta capacità di pensiero a cui segue perdita d’interesse e motivazione.

Quando accade: Quando non si capisce più il mercato e non si sa dialogare con le sue componenti. Quindi declino del mercato e debole posizione competitiva, causata da una scarsa linea di prodotti. Manager incapaci e inattivi.

Pericoli: prospettive eccessivamente pessimistiche, difficoltà di concentrazione e realizzazione di una qualsiasi strategia. Stagnazione organizzativa.

In ambito privato: E’ la fase iniziale del passaggio generazionale, quando tutto è incerto a partire del cuore e dalla mente dei nuovi e giovani protagonisti.

In ambito pubblico: Avviene nelle strutture periferiche della PA quando cercano un dialogo con quella centrale che si trova in piena crisi isterica quanto istrionica. La mancata connessione tra parti della stessa organizzazione, che dovrebbero dialogare, restando di fatto “assenti”, produce in quella lontana dal centro, una sorta di rassegnazione e sindrome da solitudine depressiva.

L’organizzazione schizoide

Le caratteristiche: Distacco, mancanza di coinvolgimento, tendenza a rinchiudersi. Sensazione di estraniazione e quindi assenza da lodi/critiche. Freddezza e privazioni di ogni contatto umano significante. Mancanza di leadership. I leader schizoidi, vedono il mondo come un luogo infelice, popolato da individui indegni di fiducia.

Quando accade: Se l’azienda si presenta come una successione di feudi indipendenti ove ogni quadro e dirigente crea il “suo” habitat. In questo modo lo scollamento del tessuto organizzativo interno, impedisce le comunicazioni trasversali-funzionali. L’informazione è usata più come strumento di potere che mezzo di lavoro.

Pericoli: Strategia fragile con obiettivi decisi per compromessi. Vuoti di leadership e quindi clima di sospetto, che ostacola la collaborazione.
In ambito privato: Si tratta della patologia da grande impresa dove si perde il senso finale dell’essere impresa.
In ambito pubblico: Siamo nei diversi piani dei ministeri; un ibrido non politico e non operativo. Il tatticismo è “arte” in una visione kafkiana da burocrazia che si autoriproduce in assenza di risultati operativi tangibili.

Conclusioni

Scorrendo diversi casi e differenti momenti storici, si può affermare che ogni azienda può riconoscersi parzialmente in ognuna delle cinque esemplificazioni. Sintetizzando in ambito privato si ha la seguente dinamica:

La chiave di lettura nel mancato servizio reso dalla PA all’utenza, ne pone in discussione il senso aprendo alla privatizzazione e riduzione del comparto pubblico, come “peso” complessivo sulla società. Nella massa di mancate azioni o di troppe cose fatte, ma non produttive, l’organizzazione nevrotica è anche quella che produce mobbing, come anche turn over molto elevati con frequenti assunzioni a tempo determinato e repentine conclusioni del rapporto di lavoro, quindi maltrattamenti, per lo più morali, ai danni dei dipendenti di sesso femminile.
Insomma l’organizzazione nevrotica è una società che perde occasioni, lavoro, occupati, idee, cultura e quindi quote crescenti di fatturato.
Si può guarire? Certo! Basta essere consci della patologia in essere e ricorrere a degli specialisti, e consulenti in risorse umane, capaci di trovare soluzioni, per parare le ripetitive perdite di fatturato, che, obiettivamente non si vedono dall’interno della struttura malata, perché si tratta di ricchezza, che si sarebbe potuta avere, ma è andata perduta a parità di impegno devoluto.

BIBLIOGRAFIA

Lo studio prende spunto da “L’organizzazione nevrotica” di Manfred F.R. Kets De Vries e Danny Miller, pubblicato nel 1992. Il presente lavoro si arricchisce dell’esperienza personale del prof. Giovanni Carlini.
I testi a riferimento sono, oltre quanto citato anche:
– Auteri E., Management delle Risorse Umane, Guerini e Associati, Milano, 1998.
– Boldizzoni & Manzolini, Creare valore con le risorse umane, Guerini e Associati, Milano, 2001.
– Powel W. & DiMaggio P.J., Il neoistituzionalismo nell’analisi organizzativa, Ed. Comunità Milano, 2000.

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