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La nuova geografia del commercio mondiale. Prof Carlini

by Giovanni Carlini
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La nuova geografia del commercio mondiale

La nuova geografia non tanto tale quanto finalmente studiata da chi pretende d’internazionalizzarsi. A Milano si è svolta un importante incontro per fare il punto sulla nuova geografia del commercio mondiale, alla luce del perdurare della crisi nel mondo occidentale e per effetto degli eventi in corso nell’area del Maghreb.

Troppo spesso non si fa mente locale

L’incontro per capire le nuove tendenze del commercio mondiale, tenutosi a Milano in fine giugno, è stato sponsorizzato dalla Euler Hermes, ovvero specialisti d’assicurazione nel commercio. In effetti questa compagnia è in grado d’avere una sguardo panoramico su tutto il mondo, conoscendo bene le “classi di rischio” distinte per area e singolo paese. Quanto qui appena descritto potrebbe apparire un’affermazione scontata, ma lo diventa meno quando allo scoppio della crisi libica su 2,4 miliardi di commesse italiane, solo 13 milioni erano coperti dal rischio.

Uno sguardo sul mondo

Il CEO della Euler Hermes, il Signor Wilfried Verstraete, ha illustrato gli orientamenti in atto nel mondo, distinguendoli per tipologia di mercato. Se in ambito agro-alimentare l’export è in crescita, in quello dei beni strumentali la tendenza è invertita, per cui il 2010 si muove sugli stessi volumi e importi del 2007. Generalmente la ripresa del commercio internazionale del 2010 è andata a vantaggio di tutte le aree commerciali e industriali, pur con distinguo. Se in Asia la crescita è molto forte (Giappone escluso) il peso delle esportazioni europee nel commercio internazionale è diminuito, mentre quello degli USA e del Giappone è lievemente cresciuto.
Entrando nel dettaglio paese, si evidenzia come l’economia tedesca e quella giapponese, siano molto simili sotto il punto di vista della specializzazione sull’export. In entrambi, l’industria automobilistica e quella dei beni capitali domina le esportazioni.
Restando in ambito di auto motive, c’è da osservare come sia gli Stati Uniti che la Francia, siano paesi importatori benché produttori ma con motivazioni diverse. Laddove nel paese nordamericano, l’industria locale ha ceduto terreno a quella giapponese, ben più aggressiva sul piano dei modelli e della gestione dei costi di produzione, quella francese, avendo delocalizzato, oggi figura che importa per il mercato interno. Sempre analizzando la Francia, il profilo d’export si configura in forma decisamente atipica, perché basato sul chimico e l’agroalimentare.
Una voce di grande importanza nel commercio internazionale spetta ai prodotti tecnologici che sono abbondantemente prodotti dalla Cina su licenza e comprati negli USA (come se fosse un mercato unico)

La Cina

La Cina merita un’analisi a sè stante. Estremamente dipendente dalle importazioni nel settore chimico e ancora di più in quello agro-alimentare, ha registrato la più forte crescita del suo export dal 2007 grazie alle misure di stimolo varate dal governo nel periodo 2009-2010. La performance cinese, in termini d’esportazione, si presenta come un concorrente temibile per i Paesi europei e gli Stati Uniti.

Ipotesi di collasso sociale per la Cina

Terminata la relazione, il CEO dell’Euler Hermes si è concesso a domande d’approfondimento. Tecniche Nuove ha chiesto: perché nella sua relazione non è stato preso in considerazione il rischio di collasso sociale in Cina?
La risposta è stata: si, conosciamo questo rischio e crediamo sia da ritenere ancora sotto controllo. Secondo noi, il punto è quale sia la scintilla che possa provocare questo evento. L’inflazione è ben controllata dal governo. La grande mobilità dalle città industriali della costa a quelle nell’interno, che potrebbe impensierire, non ha provocato guasti nella società cinese. Certamente sapere che a Shangai ci sono 200mila appartamenti sfitti, di cui non sappiamo i proprietari, è un fattore di destabilizzazione. Che una possibile bolla speculativa immobiliare possa essere la scintilla? In conclusione il rischio c’è, è reale e lo stiamo monitorando.
L’Italia e il mercato dell’export
Il Signor Michele Pignotti, Head of Mediterranean Countries & Africa Ragion del gruppo Euler Hermes, spiega che in una crescita economica stagnante, comunque si possono fare affari a patto di mantenere alcune capacità. La relazione si sviluppa in questo modo su 2 principali tronconi:
– analizzando l’area del Maghreb;
– cosa fare per reagire a un mercato quasi fermo.

Come evolvono i mancati pagamenti: ecco come si completa la nuova geografia 

Il rischio di non essere pagati
Algeria cala del 43% ma permane comunque rischioso
Egitto cresce dell’88%
Libia cresce del 93%
Marocco cresce del 42%
Tunisia cresce del 46%

Chi è in grado di reagire alla crisi: la nuova geografia 

L’identikit presentato è composto da imprenditori che sono assicurati nel rischio con la Eules Hermes, quindi il campione è molto specifico. Nonostante ciò, ci offre una visione interessante, perché macina livelli di redditività elevati. In particolare:
– se la media italiana è solo del 17% di società di capitali sul totale, in questo campione la tendenza si ribalta e giunge al 93% come a dire che per muoversi sul mercato internazionale serve una struttura adeguata;
– il fatturato medio è intorno ai 16 milioni di euro, contro una media nazionale, di quelle impegnate nell’export di 2,8;
– è un imprenditore che utilizza da lungo tempo (oltre 20 anni) strumenti di credit management;
– è un’azienda che raggiunge un’EBITDA che oscilla tra il 7,4 e il 10,4% contro una media nazionale del 5% tra quelle imprese che accedono al mercato internazionale.

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