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Non tutte le consulenze sono uguali. Studi Prof Carlini

by Giovanni Carlini
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Consulenze diverse da professionisti di grande taratura ecco perchè un consulente serio è oltre i 55 anni.

Le consulenze offerte dai professionisti non sono mai uguali e su questo non ci sono dubbi, ma a volte capita che anche lo stesso consulente debba utilizzare schemi e metodiche profondamente diverse a seconda del contesto nel quale si trova.

La crisi, la crisi e ancora la crisi, ma come se ne esce? In linea di massima le soluzioni sono:

a) espansione sui mercati esteri sostituendo quello interno, che non dovrebbe riprendersi come si pensa, anzi è previsto in forte contrazione con cenni di risveglio verso la fine del 2010;

b) controllo della spesa;

c) sfoltimento delle posizioni lavorative (soprattutto manageriali) che non hanno saputo, anche in questo periodo, rinnovarsi con idee e prospettive (spesso osservo in aziende anche importanti, 120 dipendenti 50 milioni di euro di fatturato, come il management sia “seduto” su se stesso, privo di qualsiasi iniziativa e ostile a ogni revisione, gravido di un’eccezionale prosopopea. Ovviamente falliranno presto);

d) rifinanziamento dell’impresa, “mettendoci i soldi dentro da parte della proprietà”. Quegli stessi denari che hanno sostenuto degli standard di vita troppo elevati in questi ultimi anni;

e) infine un uso della consulenza quale apporto di idee in un regime di “rottura compositiva”.

Di consulenti ce ne sono troppi e il rischio di sbagliare è molto alto, soprattutto in un periodo in cui non c’è più neppure il tempo d’errare. Un consulente, se valorizzato al massimo, serve per “disincagliare” una realtà che non riesce, nonostante gli sforzi, a muoversi come vorrebbe e ha bisogno di un esempio (piuttosto energico) per riprendere “la marcia”.

Ovviamente lo specialista ha un suo modo di fare che può andare bene al 100% come al 50, ma questo conta veramente poco, perché il suo periodo di permanenza in azienda non è mai troppo lungo (3 mesi o al massimo 6 ).

Essendo così limitato il periodo d’azione delle consulenze, quelle vere, non c’è modo di discutere (perdendo ore) sul carattere, vizi e virtù del consulente. Come spesso in forma bizantina accade.

Ciò che invece serve è una carica d’adrenalina pura capace di travolgere chi usa l’azienda per garantire il proprio stipendio. Serve anche liberare (anche traumaticamente se necessario) tutti i meccanismi d’ascolto sul mercato che l’impresa ha, come quelli interni spesso ingessati in una monotonia che alla fine pesa sui costi aziendali.

Le consulenze servono per rilanciare l’azienda da chi la piega ai suoi interessi.

L’ostilità, a un intervento di questo tipo è strutturale ed è più forte quanto quel management va allontanato dall’impresa, perché non è stato capace neppure d’approfittare dell’ultimo appello per svegliarsi-rinnovarsi.

Chi legge potrebbe pensare che la consulenza sia viziata da un pregiudizio: ovvero che un’impresa chiami un consulente solo quando i propri manager non siano all’altezza. Questo non è corretto, ma è lecito pensarlo. Il consulente è un rinforzo che viene offerto a un manager affinché si potenzi grazie a questo intervento “a domicilio”, ma l’aiuto è un’arma a doppio taglio, in grado di mettere in crisi la stessa stabilità del posto di lavoro del dirigente. Non è detto che ci debba essere opposizione tra le figure, anzi molto spesso c’è un regime di aperta e fattiva collaborazione proprio perché il consulente ha in mano un bagaglio di informazioni ed esperienze che al manager mancano e comunque servono, ovunque lui si trovi al termine della collaborazione.

Ecco di seguito un tipico rapporto che il consulente invia alla Proprietà al termine di ogni settimana d’intervento. Quanto qui offerto è il resoconto scritto alla seconda settimana:
….alla luce dei primi risultati alcune considerazioni di fondo tra noi. Qual è il mio lavoro quando ho il privilegio di poter intervenire?

Passando dal siderurgico all’edile, quindi dal meccanico al navale attraverso gli armamenti, non posso e non mi serve entrare nello specifico del settore merceologico dell’impresa che servo.
Il mio apporto è organizzativo. Questo significa far lavorare le persone in un certo modo (diverso di volta in volta) affinchè smettano di vivere di “nicchia” chiuse nel loro particolare (o spesso mortificate) e contribuiscano con idee, punti di vista, concetti a lanciare la loro impresa sentendosene parte, quando prima erano schiacciati da qualcosa che bloccava questo meccanismo.

Di conseguenza quando entro in Azienda qualcuno ci rimette le penne o viene severamente ricondizionato a nuovo ruolo; è un passaggio inevitabile.
Sa dove la consulenza fallisce? Quando il cliente non accetta d’allontanare o limitare quegli ostacoli che bloccano un libero flusso di partecipazione tra dipendenti.
Il concetto di fondo è che l’Azienda non è solo della Proprietà, ma di tutti coloro che ci lavorano. Con questa mentalità tutti, se stimolati, si sentono partecipi e nell’obbligo di fare qualcosa.
Io, come ruolo, devo solo aprire le piste, favorire il flusso, accendere la partecipazione e per fare questo, graduo livelli di presenza diversi a seconda dello “storico” d’oppressione che l’impresa ha sofferto. In conclusione il mio ruolo è da vigile urbano di un nuovo traffico d’idee in azienda che sicuramente si ingolferà e avrà bisogno di correttivi, ma che per adesso lasciamolo scorrere adeguatamente.

Acceso questo nuovo attivismo in azienda bastano 3 o 4 mesi, massimo 6 perchè tutto torni a regime e la mia posizione cessi, per cui posso essere messo in libertà avendo allevato chi assuma il mio ruolo. Nulla osta che ci possa vedere ogni tanto, per qualche taratura, al fine d’assicurare che “il nuovo corso” proceda come previsto. Ecco il mio lavoro che a questo punto inizia a essere più chiaro e definito e spero di suo gradimento….

Concludendo, con premesse di questo tipo, l’impresa torna sulla pista per decollare grazie alla consulenze.

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