Non chiudere l’azienda anzi resistere! Prof Carlini
Non chiudere l’azienda è un imperativo. Giunge notizia, parlando con diversi imprenditori, di uno scoraggiamento generalizzato la cui conclusione, più o meno è sempre la stessa: chiudiamo l’azienda. Se i dubbi fanno parte della vita e un periodo “giù” è più che comprensibile, in realtà andrebbero chiariti alcuni aspetti:
– l’attuale fase recessiva non è a se stante ma deriva da quanto è iniziato a fine 2008. Si parlava allora di doppio colpo e oggi stiamo assistendo alla riacutizzazione di un lungo processo di ridefinizione della globalizzazione;
– le difficoltà in corso non sono affatto economiche ma culturali e sociali. In pratica un modello comportamentale è giunto al capolinea. Finchè le persone, noi tutti, non impariamo a consumare (sprecare) di meno ed essere meno conflittuali e litigiosi su tutto e tutti, le difficoltà non troveranno una soluzione;
– i parametri appena indicati suggeriscono che un ritorno a una fase espansiva, sui mercati interni dei diversi mercati della UE non avverrà prima di almeno 3 o 4 anni il che ci porta sul 2015;
– va anche precisato quanto la moneta “euro” sia assolutamente ininfluente sulle dinamiche espansive o recessive del mercato. Sostanzialmente questa unità di conto continua a rappresentare una bell’idea mal applicata;
Con queste premesse è ora possibile chiedersi come battersi per restare sul mercato.
Il primo aspetto è una questione di dignità. Non chiudere l’azienda! L’impresa è un valore sociale, personale ed economico. La Grecia soffre una crisi peggiore della nostra perché non ha un tessuto così diffuso di PMI che rappresenta l’unica condizione per gestire qualsiasi successo.
In effetti, un errore clamoroso nella prima fase della globalizzazione (terminata nel 2008) è stato quello di delocalizzare le imprese, provocando diffusa disoccupazione e quindi contrazione del mercato interno. Se tutto questo è vero, chiudere (o meglio spegnere) un’azienda è qualcosa che rende tutti più orfani. Oltre questa chiave di lettura “morale” ci sono ovviamente degli aspetti specifici da tener conto:
– esistono i professionisti a cui ricorrere, il cui pagamento potrebbe anche avvenire senza esborso di denaro dell’impresa, ma chiedendo di partecipare alla disponibilità dei fondi europei e della legge sulla ricerca scientifica, se veicolata attraverso l’università o centri di ricerca (su questo aspetto LAMIERA sta per pubblicare un dossier)
– per non chiudere è importante la formazione tecnica e l’uso diffuso della stampa specialistica, che va commentata e ragionata in azienda, al fine di migliorare il prodotto contraendone i costi. Sbaglia chi pensa a soluzioni di alta qualità a prezzi impegnativi perché il futuro, al contrario è per una buona (non alta) qualità a costi decisamente bassi. In un certo senso andiamo a tagliare l’erba sotto i piedi al “made in China”, con un made in Italy di gusto, elegante, funzionale e poco costoso;
– ciò che è stato appena detto, rientra nelle strategie d’impresa. Senza una rotta da seguire non si esce della tempesta.
Preso atto di questi accorgimenti, già in azione presso alte imprese che stanno affrontando la crisi a fronte alta e con coraggio, l’idea di chiudere l’attività perché schiacciati da insoluti, cattivi rapporti con la banca, riduzioni di fatturato, non è dignitosa. Se nella vita privata ci si sposa con una parte importante della vita, in quella professionale è l’azienda la nostra partner e questo matrimonio, vale sia nella buona che cattiva sorte. Come tutti sanno, la moglie va portata spesso dal parrucchiere perché si senta bella e lo sia nella realtà. Buon lavoro a tutti.