Navigando a vista: un mare d’opportunità o d’ostacoli?
Navigando a vista. Proseguono le interviste a imprenditori e manager del settore siderurgico italiano, non tanto per capire le tendenze di mercato, ma come reagire a una congiuntura difficile e lunga. Vale la pena opporsi e battersi o è meglio chiudere e delocalizzare? È forse vero che ci troviamo dalla parte sbagliata del mondo come produttori e commercianti d’acciaio? A queste domande sono invitati a rispondere tutti, ma al prezzo di un’idea, ovvero offrire un punto di vista, anche discutibile, che ci dia una testimonianza d’aiuto nel prendere una decisione se lottare o chiudere l’attività.
Risponde Alessandra Sangoi, consigliere delegato dell’azienda di famiglia Sangoi Spa.
Che cosa sta accadendo?
Sangoi: Il settore della distribuzione dell’acciaio è duramente colpito dalla crisi perché, tra i tanti aspetti, secondo me, l’orizzonte dell’operatività tipico delle nostre imprese è prevalentemente nazionale, insistendo in un’area dove il settore industriale si è indebolito come dimostrano le percentuali delle aziende in crisi o comunque in grave difficoltà. Ne consegue che il livello di rischio con cui operano i centri di servizio è accresciuto sia in relazione alle insolvenze che rispetto alle insufficienti marginalità conseguibili in un mercato in contrazione.
Perché siamo giunti a questo stadio?
Sangoi: È noto quanto le origini della crisi risiedano nell’area della finanza e che gli effetti si siano poi velocemente estesi anche al settore produttivo, che resta e si conferma unica autentica risorsa su cui puntare per tentare l’uscita dal tunnel. Sembra però che l’attenzione delle Autorità non sia indirizzata verso il manifatturiero, perdendo di vista l’assioma elementare in base a cui in assenza di un settore industriale forte non ci sarà mai produzione di ricchezza, e senza quest’ultima non usciremo dallo stato di crisi.
Le aziende italiane, oltre ad essere orfane di una politica industriale, sono snobbate da un sistema finanziario troppo impegnato a ritrovare il giusto rapporto tra patrimoni erosi e impieghi, non solo, ma anche vessate da una burocrazia oppressiva e da un sistema fiscale troppo avido, che non lascia altra scelta che ricercare al loro interno soluzioni per garantire la sopravvivenza.
Cosa fare?
Sangoi: I suggerimenti accademici ci consigliano di puntare sull’export e di fare aggregazioni.
Peccato che per i centri servizi non sia possibile esportare ovunque, a causa dell’incidenza dei costi di trasporto. Dunque l’unico modo per giocarsi la strada della sopravvivenza sarebbe il trasferimento dell’azienda in qualche altro Paese, operazione tutt’altro che banale, considerato il diretto coinvolgimento della proprietà aziendale della maggior parte dei centri servizi e la difficoltà a distogliere energie dal quotidiano per concentrarsi su di un’operazione così complessa e piena di rischi. Per quanto riguarda le aggregazioni bisogna tener conto dell’estrema frammentazione del nostro settore e del fatto che per poter ottenere risultati apprezzabili le aziende coinvolte nel processo dovrebbero essere molte per riuscire a rappresentare una massa critica importante e capace d’influenzare le dinamiche di mercato.
Inoltre è molto difficile immaginare che si riesca a creare un progetto d’aggregazioni di successo fra aziende di medesime dimensioni. Per ipotizzare un’idea di questo tipo, dovrebbe essere individuata una regia dotata d’interesse e del know how necessario per elaborare tutti gli aspetti. Il presupposto della regia è più facilmente riconducibile alla figura di un produttore che di un gruppo di aziende alla ricerca del tentativo di mettersi insieme. Diversamente è difficile immaginare che il settore riesca ad organizzarsi per un proprio riordino.
Nel frattempo non si può far altro che mantenere un atteggiamento razionale e, nonostante tutto, positivo, perché i problemi non possiamo evitarli, ma l’atteggiamento con cui li affrontiamo alle volte può fare la differenza. Infatti navigando a vista cerchiamo le soluzioni.