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Nasce il concetto di Stato Maggiore. Studi del prof Carlini

by Giovanni Carlini
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Gli eserciti (e le aziende) per funzionare hanno bisogno di un’istituzione che li organizzi, motivi e impieghi: questa struttura si chiama Stato Maggiore.

La nascita dello Stato Maggiore risale agli albori della Prima guerra mondiale.

Quanto qui scritto celebra 100 anni dallo scoppio della prima guerra mondiale. Non solo, vuole anche aprire delle riflessioni che hanno un valore particolarmente attuale. A tutt’oggi le imprese italiane non hanno capito il senso e il bisogno di chiarezza guardando al futuro attraverso un piano di marketing, verificato mensilmente e l’introduzione di manager da consultare e riunire costantemente analizzando le reazioni alle azioni di mercato. La differenza che scorre tra chi è un’impresa padronale o un retrobottega familiare e un’impresa seria, consiste nella capacità di saper gestire “il futuro” capendo le tendenze di mercato. Per fare questo la costante coordinazione tra manager (non proprietari) è fondamentale, andando a costituire uno Stato Maggiore aziendale. La differenza tra manager (personale specializzato) e i proprietari aziendali (figli d’imprenditori) è strategica! I primi sanno gestire con il cervello, i secondi con presunzione. Un’impresa padronale (senza manager)  potrà anche avere successo, ma la sua continuità nel futuro è compromessa o perlomeno resa particolarmente difficile e quindi maggiormente esposta al fallimento. Perché l’impresa padronale è considerabile l’obiettivo di questo studio? Semplice! è solitamente costituita da brave persone, ma completamente ignoranti, che stanno gestendo il benessere della Nazione, ma sono abbandonate a se stesse. Ecco il dramma. Figure carismatiche e strategiche nel benessere del Paese, senza le quali saremmo tutti più poveri, che non sono sostenute e supportate dal fisco, dal sistema bancario, dalla Guardia di Finanza e dallo Stato. Come possiamo aiutare una classe imprenditoriale strategica per l’Italia ma allo sbando? Quanto qui scritto rappresenta una lezione d’organizzazione aziendale. Pur partendo da fatti storici e discutendone a tutti gli effetti, in realtà l’interlocutore è una PMI italiana e i suoi vertici padronali, affinché capiscano e applichino. Buona lettura.

Capitoli 11 e 12: Prima guerra mondiale: nasce il concetto di Stato Maggiore  

Seguendo l’imperante evoluzione scientifica del periodo a cavallo tra la fine del 1800 e i primi 15 anni del Novecento, in Occidente, anche l’Esercito riceve delle importanti innovazioni che non si limitano solo all’aspetto tecnico entrando nell’essenza stessa dell’organizzazione militare: nasce lo Stato Maggiore.

Per Stato Maggiore s’intende un nucleo scelto di ufficiali, in grado di pianificare e organizzare ogni evento militare, partendo dal presupposto che improvvisare non risponde alle necessità di vittoria. Sicuramente adattarsi alle novità e situazioni, esprime un atteggiamento valido nella vita professionale, ma non come metodo e sistema per ogni evento. Le imprese italiane, in particolare, non hanno ancora compreso questo concetto nel 2015 e ne fallisce una al giorno. Tornando alle necessità dell’esercito, il bisogno di rinnovamento derivava da importanti novità. Come le armate di Napoleone, ai primi dell’Ottocento conquistarono l’Europa a cavallo, un secolo dopo gli eserciti trovano nella ferrovia quel supporto logistico tanto atteso per vettovagliare grandi quantità di uomini a lunghe distanze dalla base di partenza. E’ noto l’exploit di Napoleone III, quando nel 1859, inviando in aiuto all’Italia ben 120.000 soldati per combattere contro gli austriaci, giunsero in treno totalmente privi di rifornimenti e supporto logistico, quindi non in grado di combattere.

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Grazie alla “scoperta” della ferrovia come mezzo militare la guerra evolve per cui non è più necessario depredare i contadini e le città al passaggio degli eserciti nel raggiungere le rispettive posizioni di battaglia. Nella storia dell’uomo sono tristemente noti infiniti atti di violenza consumati da eserciti in transito cercando cibo e consumando ogni forma di violenza e stupri sulla popolazione civile. Al contrario con un efficiente sistema ferroviario in grado di trasportare viveri e posta dalle famiglie, quindi anche il rientro in Patria dei feriti, in un certo senso la guerra diventa più umana e vivibile, anche se l’innovazione tecnologica rende micidiale lo scontro armato, elevando come non mai, nella storia dell’umanità, il numero di morti, feriti e dispersi.

Oltre l’innovazione che la ferrovia comporta nel metodo di combattere ed esaminando le più recenti esperienze militari riconducibili alle seguenti campagne:

  1. Guerra di Secessione negli Stati Uniti tra il 1861 e 1865;
  2. Inglesi contro i Boeri in Sud Africa tra il 1880/1881 e tra il 1899/1902;
  3. nelle campagne russo-giapponese del 1904/1905 e franco-tedesca del 1870;
  4. infine allo scontro tra russi e turchi del 1877;

si conferma nel pensiero militare corrente, la necessità di una guerra d’offesa anziché di difesa. Nessuno si rende conto dell’incredibile aumento nel numero di perdite, dovuto certamente alle innovazioni tecnologiche, come anche a qualcosa di molto semplice ma micidiale: il filo spinato. Sono particolari che sfuggono a tutti gli eserciti europei, quegli stessi ancora non organizzati attraverso uno Stato Maggiore permanente, costituito da professionisti in grado di studiare, riflettere e pianificare emanando ordini. Il grande dibattito tra chi protende per una guerra offensiva e chi invece per quella difensiva, spiazza ad esempio l’esercito francese, che giungerà al primo conflitto mondiale completamente disorganizzato sul piano dell’artiglieria. Ad esempio, adottare una scelta d’attacco come metodo militare, comporta cannoni con calibri leggeri, rispetto quelli pesanti, che sarebbero rimasti nelle retrovie, perché difficili da impiegare. Esattamente tutto il contrario di quanto avvenne nella realtà! La Francia non capì l’evoluzione dei tempi, portando tra l’altro i suoi soldati al fronte con divise sgargianti (i pantaloni rossi) facilmente visibili da lontano e colpibili dal nemico. Resta interessante riflettere come i francesi, così drammaticamente disorganizzati nell’artiglieria e nell’abbigliamento inziale degli uomini, siano comunque riusciti a vincere la guerra. La guerra diventa anche un fatto sociale tra popoli grazie alla nascente nazionalizzazione delle masse e ai processi d’identificazione nazionale attraverso il nazionalismo.

 

L’autrice del libro “1914” scrive a pagina 372: Quando Moltke aveva dodici anni e Napoleone aveva dato inizio alla marcia su Mosca l’esercito francese contava 600.000 uomini, un totale che teneva conto delle truppe alleate: era il più colossale contingente militare che avesse mai marciato sul suolo europeo. Nel 1870 Moltke coordinò la mobilitazione di 1,2 milioni di soldati, tra prussiani e alleati. Nel 1914, a una ventina d’anni dalla sua morte, gli imperi centrali avrebbero schierato oltre 3 milioni di uomini. Fino a questo punto le novità che spingono gli eserciti ad adeguarsi sono:

  • l’ingresso delle masse popolari nella storia, costituendo grandi eserciti professionali come mai si era visto. Ovviamente la novità scatenante, quale figlio segreto della Rivoluzione francese è ora il senso nazionale che diventa nazionalismo;
  • il bisogno di sostenere queste importanti dimensioni umane in battaglia, con uno strumento che non sia più il solo cavallo, ma un uso intensivo della ferrovia;
  • un acceso dibattito sulla tipologia di guerra da combattere: in attacco o difesa?
  • l’innovazione tecnologica, spesso neppure capita dai militari dell’epoca, in grado di alzare senza confronto con il passato il numero di perdite;
  • l’accettazione, da parte dei vertici militari e politici, nel subire forti perdite per la vittoria.

Come l’autrice scrive a pagina 373: Quando Moltke si arruolò nell’esercito prussiano, nel 1819, la grande innovazione istituzionale che sotto la sua guida avrebbe trasformato gli eserciti moderni di tutto il mondo, esisteva già, seppur in una forma estremamente rudimentale: lo Stato Maggiore, destinato a diventare la mente pensante, il centro nevralgico e il fulcro organizzativo degli sterminati eserciti del futuro.

A pagina 369: Helmuth von Moltke, l’artefice delle vittorie militari della Prussia nelle guerre d’unificazione tedesca (..) fu chiamato Moltke il vecchio per distinguerlo dal nipote che sarà capo di stato maggiore nel 1914 (..) Moltke era nato nel 1800, all’epoca delle guerre napoleoniche e sarebbe morto nel 1891: nell’arco della sua lunga vita fu testimone di evoluzioni che trasformarono per sempre le società, gli eserciti e le tecniche di guerra. Aveva sei anni quando gli eserciti di Napoleone entrarono in Prussia a piedi e a cavallo, sbaragliando ogni resistenza nella battaglia di Jena. Nel 1870, divenuto nel frattempo capo di stato maggiore dell’esercito prussiano, progettò e diresse la vittoriosa offensiva contro la Francia. Questa volta però, gli uomini raggiunsero il campo di battaglia in treno. Vent’anni più tardi, alla sua morte, la rete ferroviaria europea era cresciuta di tre volte ed erano apparsi i primi motori a combustione interna.

A pagina 372: Nell’estate del 1914 la Germania richiamò oltre due milioni di riservisti e li trasportò al fronte a bordo di 20.800 treni.

Chiarito il nesso tra innovazione e Stato Maggiore come gestione di un “mondo complesso”, tecnicamente le grandi novità furono:

  • l’artiglieria da campo, che nel 1800 aveva una gittata media di 1 km, nel 1900 salì a 7 estendendo la zona di fuoco da attraversare prima che gli assalitori potessero entrare in contatto con gli avversari. Questo particolare non è di poco conto se orientato a capire da dove derivino le perdite devastanti in uomini e materiale nei nuovi conflitti;
  • giustificando l’enfasi sull’attacco, nel 1903 il futuro comandante supremo alleato, il Generale francese Ferdinand Foch, calcolò che 2 battaglioni all’attacco erano in grado di sparare 10.000 cartucce in più di una stessa unità posta in difesa, per cui l’assalto non poteva che vincere;
  • esisteva ancora un’eccessiva valenza ed enfasi sulla cavalleria, soprattutto in seguito all’esperienza di guerra contro i Boeri, in Sud Africa, dove cavalieri armati di fucili ebbero la meglio sul nemico. Quest’esperienza non fu possibile replicarla nel primo conflitto, se non procedendo alla blindatura e corazzatura del “cavallo”, pervenendo quindi a primi mezzi corazzati.

Su quest’ultimo aspetto conviene aprire una riflessione. Tutti gli ufficiali di quell’epoca erano persuasi che la guerra moderna fosse da considerarsi come un evento veloce, rapido e decisivo, in grado di costringere il nemico a capitolare. Tutto ciò contrariamente sia alle osservazioni già esposte da diversi studiosi, tra cui lo stesso Generale Moltke che l’intellettuale polacco Ivan Bloch, come le esperienze di guerra più volte citate. E’ vero che l’esercito francese capitolò a Sedan nel 1870 ma Parigi insorse in una guerra di popolo con l’esperienza della “Comune”. In pratica avviene qualcosa di strano: la guerra non è più un fatto privato tra cancellerie e nobiltà.

Citando l’autrice del libro “1914” a pagina 387: Nel 1883 l’illustre teorico militare Colmar von der Goltz pubblicò “La nazione in armi”, un lavoro influente in grado d’analizzare, il fenomeno relativamente nuovo, della guerra tra popoli mettendo in guardia dai suoi rischi: la capitolazione di una delle due parti poteva richiedere tempi lunghissimi, comportando perdite inaccettabili per entrambi (..) Alcuni anni più tardi Moltke il Vecchio pronunciò, di fronte al Reichstag, una sentenza rimasta celebre: l’epoca delle guerre di gabinetto era finita e aveva inizio l’epoca delle guerre di popolo.(..) Blasius Schemua, capo di stato maggiore austriaco, inoltrò ai responsabili del governo considerazioni simili: quasi nessuno si rendeva conto delle reali implicazioni di una guerra. Ebbene l’insieme di questi ragionamenti non è stato percepito da nessuno o perlomeno, menti evolute l’hanno capito, ma la massa non ha saputo farne tesoro. Al contrario, sulle orme prima di Nietzsche e quindi di Bergson, la valenza è stata spostata (tecnicamente trasferita) dalla pericolosità dell’innovazione tecnologica al fattore umano, al suo coraggio e spirito di sacrificio come se questo spostamento avesse un ruolo scaramantico. E’ in tale lettura che si riesce a comprendere la superficialità inglese nella guerra boera, accettando battaglia senza minimamente aver studiato il terreno. Anzi un generale britannico, intervistato da Bloch riferisce: (pagina 382) Le ultime guerre non erano state combattute nel modo corretto, ma ora gli eserciti europei, più avanzati, non avrebbero commesso gli stessi errori. In riferimento alla guerra civile americana si può solo parlare di risse tra selvaggi, senza meritare il nome di guerra. Anzi, il generale inglese precisa d’aver espressamente vietato ai suoi ufficiali di leggere o pubblicare nulla su quei fatti. Si affermano così ufficiali istruttori come Grandmaison, in Francia, nel culto dell’offensiva quale aspetto mistico della realtà militare.

Concludendo il passaggio, tutti gli eserciti di allora, all’alba della Prima guerra mondiale, furono contagiati da un ottimismo ingiustificato, inventando di sana pianta una dimensione del reale assolutamente sbagliata dove il coraggio e la forza di volontà avrebbe avuto la meglio sull’artiglieria e le mitragliatrici, né più o nè meno, come gli europei tra il 2000 e il 2015 nei confronti della moneta unica “euro”. Entrambi questi fatti storici si sono nutriti di sogni.

Tornando al concetto di Stato Maggiore come adeguamento delle forze armate ai tempi moderni, se va segnalato che la sua strutturazione come idea e progetto si deve a Helmut von Moltke, il passaggio successivo è stato per merito del generale Alfred von Schlieffen.

Von Schlieffen subentrò nella carica di capo di stato maggiore a von Moltke il Vecchio, negli anni dal 1891 al 1905 cedendo in seguito a von Moltke il Giovane, che rimase in carica fino al 1914. Il difetto fondamentale del piano di battaglia, noto come “Piano Schlieffen” studiato dallo stesso generale, fu quello di voler estirpare dalla programmazione militare ogni forma di casualità. L’autrice scrive a pagina 392: Il difetto principale dei piani originali, però era la totale assenza di un margine di gioco in grado d’assorbire quella che il grande pensatore militare tedesco Clausewitz chiamava “frizione” e gli americani di oggi chiamano “Legge di Murphy”: nessun modello teorico, per quanto inoppugnabile sulla carta, funziona esattamente secondo le previsioni una volta applicato a circostanze pratiche. Se qualcosa può andare storto, lo farà.

Ecco in poche parole l’intero problema dell’inadeguatezza del Piano Schlieffen, che comunque scontava delle problematiche che sono:

  • la guerra era considerata come l’unica soluzione possibile. In occasione delle diverse crisi di quel periodo, lo Stato Maggiore tedesco propose al kaiser una guerra preventiva sfruttando quel momento di forza sugli avversari, ma l’Imperatore non accettò. Non lo fece nel 1908 in occasione dell’annessione della Bosnia da parte dell’Impero austriaco, nel 1911 con la crisi di Agadir e nel corso delle guerre balcaniche del 1912 e 1913;
  • il pensiero corrente restava intrappolato nell’impossibilità di pensare alla vittoria senza un’offensiva decisa, rapida e condotta in profondità nel territorio nemico da attaccare sempre ai fianchi, secondo il modello della battaglia di Canne tra Annibale e i romani e di Sedan nel 1870 dove i tedeschi riuscirono ad accerchiare l’esercito francese;
  • il piano di mobilitazione era stato strutturato su 8 fasi distinte ma automatiche impendo di fatto l’interruzione. In pratica la Germania aveva rinunciato a considerare la mobilitazione come una forma di pressione politica; una volta attivata sarebbe naturalmente giunta allo scontro armato;
  • per forma mentis, lo Stato Maggiore non sentiva la necessità di coordinazione con i civili, il governo, la diplomazia e la stessa Marina imperiale. Infatti la violazione del Belgio nella campagna di Francia, con il conseguente ingresso in guerra dell’Inghilterra, rappresentò un errore commesso dall’esercito tedesco. Uno sbaglio di pura superbia e ignoranza;
  • l’autrice a pagina 399 scrive: sia Schlieffen che Moltke erano convinti di non disporre di uomini sufficienti per tradurre in pratica i piani di guerra con buone speranze di successo, ma non per questo cambiarono tattica. A questo proposito va comunque rammentato quanto lo stesso Stato Maggiore francese, fosse a conoscenza del problema, sottostimando la capacità offensiva tedesca che seppe mobilitare e portare in prima linea i riservisti (Landsturm) cosa che per i francesi era assolutamente impensabile.
  • A pagina 403 del libro “1914” l’autrice scrive: c’era il rischio che le procedure diventassero più importanti del pensiero strategico complessivo e che i presupposti di base, compresa la dottrina dell’inevitabile guerra su due fronti, si trasformassero in articoli di fede;

Von Schlieffen e il suo Stato Maggiore partirono da alcune premesse per cui la Germania era accerchiata sia dalla Russia che dalla Francia, in accordo tra loro dal 1894. Ne consegue che la guerra sarebbe stata combattuta contemporaneamente su due fronti. Un aspetto particolarmente dibattuto nello Stato Maggiore tedesco, fu se concentrarsi prima sul fronte russo e poi su quello francese o viceversa. Si optò per lo scontro contro la Francia fiduciosi dell’offensiva austriaca contro la Russia. Del resto la strada verso la Francia si presentava già servita da un’ottima linea ferroviaria, un terreno pianeggiante e buone strade. L’azione fu concepita nei termini di una manovra a tenaglia con un’ala destra di 55 divisioni operante da Metz verso nord, fino alla Manica, quindi un’ala sinistra di 23 divisioni a sud di Metz, sotto il Lussemburgo.

Riguardo all’Impero austriaco, la Germania era pienamente cosciente della sua debolezza sul piano militare, affidandosi alla speranza che almeno potesse contenere la pressione russa in attesa che sul fronte occidentale si definisse con la Francia. Né i tedeschi si sarebbero potuti esimere dall’aiutare gli austriaci, causa l’estremo isolamento politico che il Reich ormai subiva da diversi anni in Europa. L’Impero austriaco era bloccato da un’accesa rivalità con l’Ungheria che ne limitava gli stanziamenti sia ferroviari che militari, senza contare le problematiche interne di natura nazionalistica. Certamente nell’ottica tedesca il nemico numero uno era la Francia, mentre per gli austriaci la Russia e su questo non ci fu accordo tra Schlieffen e il collega austriaco Beck. Solo in seguito, tra Moltke il giovane e Conrad, si riuscì a trovare una visuale comune nel corso della crisi del 1908-1909 in seguito all’annessione della Bosnia.

La progressiva inferiorità austriaca rispetto la Russia, fu anche confermata quando nel 1912 i russi erano ormai in grado, grazie ai capitali francesi e superate le difficoltà subite dalla perdita della guerra con il Giappone, di far convergere 250 convogli al giorno sul confine con la Galizia austriaca, in caso di guerra, contro i 152 dell’Impero austroungarico. Nonostante ciò, lo Stato Maggiore austriaco non prese mai in considerazione l’ipotesi di una guerra difensiva anziché offensiva! E’ comunque degno di nota che in termini di giorni necessari alla mobilitazione, nonostante i grandi successi conseguiti dai russi, sempre sostenuti dai francesi, erano ancora necessari 26 giorni contro i 16 degli austriaci e i 12 dei tedeschi e che, nel territorio controllato dai russi solo il 27% delle loro linee ferroviarie era a doppio binario contro il 38% tedesco. Non solo, ma se i russi avessero subito uno smacco dai tedeschi, letteralmente adorati sul piano militare, come si sarebbero comportati i polacchi bisognosi della loro rinascita nazionale?

In Russia, la nuova classe dirigente nel post sconfitta furono Izvol’skij agli esteri (fino alla crisi del 1908-9 con l’Austria sulla Bosnia) Stolpyn primo ministro (fino al 1911) e il generale Suchomlinov alla difesa dal 1909 al 1915. Quest’ultimo era convinto che il destino della Russia fosse a est invece che verso l’Europa, ma riuscì comunque a ristrutturare egregiamente l’esercito per scagliarlo contro l’odiata Austria.

Nella disputa tra una guerra offensiva e difensiva, la disfatta russa aveva rappresentato un evento da scuola perché i russi non attaccarono i giapponesi, nonostante gli avessero dichiarato guerra. Al contrario li attesero e in ciò persero la guerra. Da quei fatti in poi, non si parlò più di guerra difensiva. Oltre a ciò il problema dello Stato Maggiore russo, pressato dai francesi, fu se attaccare, in caso di guerra la Germania o l’Austria o addirittura entrambe. Si scelse un attacco contemporaneo a entrambi i fronti, perdendo così la guerra. Era il piano 19A e sua variante 19G.

Lo Stato Maggiore francese di quel periodo, con il piano XVII, cinicamente puntava alla guerra d’assalto anche per misurare la tenuta e compattezza sociale, appesantita dalla III Repubblica e da una serie impressionante di scandali politici. Si pensava alla guerra come purificazione sociale. Come già accennato un cruciale errore di valutazione fu commesso dal generale Joffre, capo di Stato Maggiore francese, nel non aver saputo immaginare che i tedeschi avrebbero schierato in prima linea, con successo anche i riservisti. Da questo sbaglio derivò un erroneo equilibrio di forze francesi sul confine, collocate troppo a sud (in prossimità della frontiera comune) anziché sulla direttrice d’attacco proveniente dal Belgio che il servizio segreto francese aveva già individuato grazie a un traditore tedesco (noto come “il vendicatore”)

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