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Il mediatore nella subfornitura. Prof Carlini. Appunti

by Giovanni Carlini
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Il Mediatore nel mondo della subfornitura scritto dal prof Giovanni Carlini, sociologo economista

Il mediatore: la situazione attuale e tendenze
Nonostante gli sforzi della Pubblica amministrazione italiana verso i suoi fornitori, non ci sono stati nel 2010, segnali tali che potessero incoraggiare una contrazione nei tempi di pagamento, il che ha aggravato la crisi del settore, che vede nel 2011 un anno di contrazione nel numero degli operatori.
In effetti il mondo della fornitura è entrato in una fase le cui proiezioni sono molto difficili da tratteggiare, perchè ogni scenario è possibile (questo non è un bene).
Sul piano delle tendenze, a grandi linee, un 20-25% di subfornitori italiani (in tutto sono 7.800 attivi al 31.12.2009) si sta spingendo verso il ruolo di partner, nella grande impresa. La metà è ferma, completamente sconcertata e incapace di modulare una risposta a un mercato che sta cambiando molto rapidamente, sia sul piano interno, nazionale, che comunitario. Infine, il restante quarto (25%) ha cessato l’attività o lo farà nel corso dell’anno, per gravi carenze di liquidità e idee imprenditoriali.

Una novità assoluta: il mediatore

La Francia sta attraverso una fase congiunturale altrettanto difficile, come quella italiana. La difficoltà del momento non è sintetizzabile in un “va tutto male”, ma nel cercare d’interpretare le indicazioni provenienti da un tessuto economico che si presenta a macchia di leopardo. Ne consegue che se si dovesse definire “crisi”, la situazione attuale, non sarebbe del tutto vero, perché per alcuni lo è, e per altri no. Insomma siamo a metà di un lungo momento di difficoltà economica e finanziaria, nel cui guado non sono risparmiate dal fallimento le imprese che non hanno innovato.
Essendo questo il quadro d’insieme, è imperativo far qualcosa, in una Francia che non riesce a scattare come vorrebbe con livelli paragonabili a quelli tedeschi. Per rispondere al bisogno di reazione alla crisi, si è pensato (con successo) d’istituire una figura nuova nel panorama della subfornitura francese: il mediatore.
Unico e primo caso in Europa, il “mediatore e garante della subfornitura” è un imprenditore incaricato dal governo di tutelare le imprese, dagli eccessivi ritardi nei pagamenti non tanto e solo da parte della pubblica amministrazione d’oltralpe, ma anche dalle imprese private più grandi, verso le piccole aziende. Insomma un “giustiziere” a tutto campo, con l’autorità d’infliggere multe a chi non dovesse rispettare i suoi indirizzi, in tema di tempistica di pagamento nelle forniture. Il mediatore francese si chiama Jean-Claude Volot, opera tramite un ufficio aperto appositamente per questa funzione presso il Ministero dell’industria francese. A lui si possono rivolgere tutte le imprese francesi, che lamentano difficoltà nella riscossione da parte dei grandi clienti, sia questi privati che pubblici. Non ci sono al momento statistiche che possano indicare la bontà dell’iniziativa, fortemente voluta dal Presidente Sarkozy, ma come noto, in economia a volte è sufficiente l’anticipazione per fare tendenza e notizia.
Un’idea di questo tipo, in Italia, sarebbe auspicabile, anche se va rilevato come le istituzioni si siano già mosse su questo versante. Infatti nella proposta di Statuto d’impresa in discussione al Parlamento, in questi mesi, è stato previsto l’allagamento dei poteri dell’Antitrust sull’abuso del potere dominante relativo (quello dell’impresa più grande che non paga i subfornitori).

BOX 1
Il 24 gennaio il Consiglio della UE ha approvato una direttiva, in base alla quale le Pubbliche amministrazioni comunitarie dovranno pagare, dal 2013 in poi per l’Italia, i fornitori entro 30 giorni o al massimo in 60. La riforma appare in questo modo semplice quanto indolore, in realtà modifica un costume, particolarmente radicato nei funzionari statali. A dir il vero però, ci sono anche problematiche d’afflusso di fondi alle amministrazioni periferiche, le quali si trovano prive degli strumenti necessari per una corretta gestione finanziaria, il che comporta un “sovrapprezzo” da parte delle imprese private, quando lavorano per il pubblico.

Per reagire alla crisi il mediatore diventa cruciale

La soluzione al momento più valida per reagire alla crisi, è quella di strutturarsi in gruppi o reti d’impresa. In pratica vuol di che più imprese complementari, trovano motivi per collaborare su tutti i piani, commerciale come amministrativo. Nel dettaglio, vanno segnalate iniziative di questo tipo a nord di Milano, nell’area di Lecco, dove sono sorti dei gruppi d’impresa che si chiamano: Men at work (che coinvolge 23 imprese meccaniche) il Pib (progetto innovazione e business) il gruppo Semplicemente Insieme, il Consorzio Lariano e l’accordo tra tre piccoli operatori della meccanica, Colico-Maroni-Melesi.
L’obiettivo di una tale forma d’associazionismo è ripercorrere i noti concetti cooperativistici già applicati nei distretti, però su una scala e ordine di grandezza molto più in piccola. La sinergia è alla base dell’iniziativa, infatti condividendo idee e metodi d’interfacciarsi sul mercato e presentandosi con un unico stile, s’ottiene in genere più lavoro.
Non è un caso che Men in work, con la sua politica degli incontri al ristorante, invitando potenziali clienti, abbia alzato del 20% il fatturato dei suoi partecipanti. La convivialità di un pranzo tra imprenditori, assume in questo caso “luogo d’incontro” per un confronto su prezzi e qualità della produzione. I risultati ci sono e indubbiamente sono stati conseguiti non tanto e solo dall’invito a pranzo, quanto dal gusto di creare un gruppo con cui colloquiare e ricercare sinergie, simpatie e un “accordo tra noi”. Se questa politica ha sicuramente i suoi vantaggi sul piano pratico e della singola impresa, a livello di Associazioni, Confindustria e sul piano nazionale, dovrebbe preoccupare non poco, perché spinge il sistema delle imprese a operare su livelli sempre più piccoli rispetto il taglio medio delle aziende europee. Si passa dalla media dimensione degli anni Sessanta ai distretti del periodo Settanta ad oggi, per ritrovarci con “gli amici al ristorante”. Indubbiamente l’efficacia c’è, ma preoccupa quel piccolo taglio di società che ora giustamente stanno cercando di darsi da fare, ma la cui prospettiva globale, ad esempio, è difficile. Sicuramente si potrebbe convenire che è meglio di nulla; tra la chiusura e l’associazionismo spontaneo, almeno si sono salvati imprese e posti di lavoro. La problematica resta sullo sfondo di chi ha la responsabilità della gestione di una politica industriale in Italia, che vede le grandissime aziende (Fiat) agire sempre più all’estero e la micro impresa, sempre più piccola.

Quanto terminerà la Cassa integrazione il mediatore come si comporterà?

In effetti un incremento di lavoro nel corso del 2010 le Pmi della subfornitura lo hanno ricevuto, ma non ci sono politiche commerciali, piani di marketing e iniziative tali, da poter solo immaginare che nel corso di quest’anno si possa far di meglio, se non lo stesso.
Le imprese sono piccole e così le loro prospettive tanto che si teme, quando l’aiuto degli ammortizzatori sociali, concluderà la sua funzione a metà 2011 che le chiusure aumenteranno.
Su questo aspetto non è che sia un male la selettività, anzi, anche in questo mondo imprenditoriale c’è un eccesso d’attività in esercizio. Il guaio è che a fronte della chiusura di molti, non sorgono nuove e più grandi realtà, capaci di competere su mercati più ampi (come fanno i tedeschi) e con un numero di maestranze maggiore. Ecco che in questo contesto, le chiusure-fallimenti se sono salutari per il sistema, togliendo dal mercato chi non hanno saputo innovare, dall’altro aumenta la povertà nella Nazione.

Si racconta di una storia in giro

Su questa vicenda non ci sono dati certi, tanto d’apparire una storiella istruttiva, ma non vera. Comunque si dice che qualche mese fa, sia giunta in Piemonte una delegazione di paesi arabi, con l’intento d’acquistare 10mila trattori. Non trovando un numero d’operatori in grado di collaborare tra loro per realizzare la commessa, i committenti arabi si sono rivolti in Francia dove sono rimasti soddisfatti. La morale è semplice; eccesso d’individualismo. Sicuramente comunque c’è in gioco una miopia d’impresa più vasta. Narrando stavolta di una vicenda reale, che si è sviluppata a Brescia un anno fa, una delegazione irakena chiese a un’impresa italiana di 100 dipendenti che si costruissero dei villaggi prefabbricati in Medio Oriente.
Il figlio del titolare disse di no, perché l’azienda paterna era già impegnata nella conclusione di un grosso progetto all’estero. Oggi quell’impresa è in fallimento, per tanti altri motivi, ma sicuramente la carenza di lavoro ha il suo ruolo oltre alle vicende di bilancio e un cattivo uso del denaro.
Sono brutte storie che vanno meditate, affinchè gli errori di molti non siano il futuro di tutti e anche perché questo Paese (il secondo per impegno industriale in Europa dopo la Germania) ha bisogno di ritrovare “la retta via”, sul piano imprenditoriale. Non serve attendere chissà quale programma comunitario o governativo. Al contrario bisogna fare da sé per crescere.
Il sistema dei distretti non ha avuto successo in Italia, perché chi ci è entrato, non ha poi investito in prodotti nuovi e cercato ulteriori occasioni di mercato. Oggi abbiamo bisogno della stessa esperienza dei distretti industriali, ma composti da società che siano in rete tra di loro, per competere sui mercati internazionali. Buon lavoro.

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