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Malati di immobilismo. Il guaio italiano. Prof Carlini

by Giovanni Carlini
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Malati di immobilismo è la diagnosi per il nostro sistema industriale.

Malati di immobilismo. Il Sole 24 del 17 novembre annuncia: “Dicembre gelido per gli operatori turistici con prenotazioni in calo del 20%”. Di lato, nella stessa pagina un altro articolo recita: “Skipass gratuiti per i bambini, sulla neve l’anno degli sconti”. Qualche giorno prima lo stesso quotidiano aveva scritto di un altro argomento: “Sui voucher tecnologici la Lombardia fa da apripista. Nel 2003 con il progetto “Minerva”, si lanciarono le prime iniziative a favore delle PMI”.

Scorrendo il pezzo non leggo cifre o l’elenco di cosa sia stato finanziato. Ecco il punto. La sensazione più diffusa è che le nostre imprese sicuramente lavorino molto e con sagacia, ma sviluppino poca ricerca sia in casa che attraverso le università. Tutto sommato non si dice nulla di nuovo, è talmente risaputo che non fa più notizia. La novità invece risiede in un altro aspetto scarsamente studiato.

La crisi non è affatto economica, ma sociale ecco che le aziende, essendo specchio della società, concretizzano il malati di immobilismo. E’ la società che è ferma e così la scuola e il sistema della imprese in particolare la Confindustria.

L’attuale fase di vita consumistica è’ stata prodotta da un sistema di vita errato che ha sperperato soldi non suoi (speculazione) di cui tutti siamo colpevoli, perché obiettivamente non consumiamo per vivere, ma sprechiamo per divertirci. Ebbene, il tempo delle cicale è finito (the party is over si affermò al Congresso americano nel 2008) nel senso che tutti noi vogliamo un nuovo modello di consumo, solo che nessuno ha le idee chiare su come realizzarlo.

Mi spiego meglio.

La settimana bianca, il rito delle spese pre natalizie, l’auto comprata nuova in un periodo inferiore ai 5 o 10 anni, la lunga vacanza estiva, l’abbigliamento che si ammucchia negli armadi soprattutto delle nostre donne, l’esagerazione nel numero di calzature pro-capite in ogni famiglia, la quantità di farmaci detenuta negli armadietti dei nostri bagni e altro, appratengono a modelli comportamentali ormai obsoleti.

La macchina intesa come autovettura, ad esempio, non è più percepita come status symbol o innovativa, se non ha il tetto e cofano capace di ricevere l’energia solare per contribuire alla sua autonomia su strada. La vacanza quale relax a questi prezzi, è fonte d’irritazione e poi viverla quando tutti sono allo stesso tempo anch’essi nelle medesime località, decisamente annoia.

Il concetto di fondo è che cambia un modello culturale e di conseguenza il suo rito consumistico. Da un eccesso (in tutti gli aspetti) si desidera passare a una regola. Se questo è chiaro nella mente di ogni persona che riflette sulla vita, i problemi sono come attuare questa trasformazione per salvaguardare le stesse imprese che vivono di consumi della società, altrimenti chiuderebbero. Su tutto ciò c’è da porsi una domanda: come sarà possibile vivere con punti di pareggio più bassi, producendo di meno e per nicchie di mercato ancora più piccole?

Comunque sia bisognerà farlo!

Quando sui giornali ci si interroga su quando torneremo ai livelli pre-giugno 2008 francamente mi viene da sorridere e vado subito a leggere il nome di chi scrive, perché è un ingenuo. Qui rispunta il concetto malati di immobilismo.

Il punto non è se si torna in termini di produzione al pre-estate 2008, ma al contrario, se si è ancora capaci di restare sul mercato avendo intercettato i “nuovi bisogni”. Certamente è difficile riuscire a capire quello che lo stesso consumatore in tutta onestà non conosce. Infatti bisogna spiegare alle nostre imprese (che magari non hanno mai scritto un piano di marketing) che adesso è superato lo stesso marketing, per approdare alla sociologia dei consumi! Se non adiamo a capire quanto educare il consumatore, su un “bisogno” che noi dovremmo realizzare per suo conto e nostro interesse, possiamo chiudere adesso, senza attendere che i bilanci si impennino verso il basso, in un’ agonia appena mitigata da qualche exploit nell’export.

Non c’è una ricetta magica. Non abbiamo formule valide per tutti e ci sono molti esempi dalla storia sociale ed economica di transizioni, da un modello a un altro, che hanno comportato grandi fortune, ma allo stesso tempo clamorosi fallimenti.

Per restare sul mercato serve un progetto a “geometria variabile” da pensare ieri e applicarlo oggi, capace di renderci globalizzati ma nazionalisti, aperti alle diverse formule sui contratti di lavoro ma restii a impegnarsi al posto fisso per tutta la vita, lasciando che le persone s’impigriscano (vedi pubblico impiego). Necessitano idee da cambiare come l’ombra prodotta dal sole nelle diverse fasi orarie del giorno, ma allo stesso tempo dobbiamo riscoprire principi morali per far la pace con noi stessi. Sapremo essere così elastici? Cominciamo con un piano di marketing che spieghi cosa la nostra impresa deve saper fare e raggiungere negli prossimi 12-18 mesi. Trovarsi al 1.1.2011 nudi (senza il piano di marketing) in un inverno che si presenta molto rigido, significa prendersi come minimo un brutto accidente. Questo non lo vuole nessuno! Allora poniamo nel cassetto i cornetti rossi “scaccia sfortuna” e alziamo il telefono per chiedere-capire-fare.

Un aspetto su tutti. A che punto siamo nella ricerca sostitutiva di materie prime nel ciclo di produzione? Quanto rame, zinco, ottone, bronzo e rottami possiamo utilizzare in meno a parità di prodotto realizzato, quanta energia abbiamo recuperato? Buon lavoro.

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