Il dramma greco a partire dalla tarda primavera 2010 diventa pericoloso per l’intera Ue.
Il dramma greco a fine primavera 2010 diventa pericoloso. Nel primo passaggio di questo studio è stato chiarito quanto la crisi greca, sia indubbiamente motivata da aspetti soltanto locali, per cui il rischio di “contagio” verso la restante area UE, non è credibile, se misurato sui soli parametri ellenici, ma rientra nell’instabilità strutturale dell’euro. Questa moneta resta costruita su tassi di cambio errati con le unità monetarie d’origine e quindi fonte di disallineamento tra prezzi e costi, tradendo così quella natura di sintesi che avrebbe dovuto assolvere per tutte le singole economie europee.
Analizzando nel dettaglio il caso ellenico, emergono dei punti specifici che confermano quanto sia “locale” la vicenda:
– in esito alla grande crisi iniziata nel giugno 2008, per evitare il fallimento delle banche greche, anche il governo di Atene, come tutti quelli occidentali, ha stanziato ingenti cifre per evitarne il fallimento, impegnando ben 28 miliardi di euro di quei 30 + 15 in corso di elargizione, che dovrebbero essere stanziati con decreto d’urgenza da parte della UE dopo forti, quanto giustificate resistenze tedesche;
– siamo in presenza di fatti talmente specifici, che non hanno eguali nell’area UE (vedi il divieto al Pireo – il porto di Atene – nell’attracco di navi passeggeri non greche, quindi le spese folli per la difesa che ammontano al 5% del pil contro quelle italiane dello 0,9% o della Francia all’1,6 pur sapendo che l’80% di questi valori è impegnato solo per stipendi, fuga di capitali a Cipro e molti altri aspetti, tra cui anche la scarsa alternanza politica limitata a sole due famiglie, anziché più ceppi ideologici e culturali)
– il costo complessivo di tutta la vicenda a una prima stima è per 120-130 miliardi di euro nei prossimi 3 anni, quando la crisi Argentina del 2001 fu per 200. L’unica vera differenza è che se la Grecia fa parte della UE mentre il paese sudamericano è solo. Il paragone tra i due paesi è stato più volte negato, ma risulta invece diretto.
– La Grecia non è un paese in crisi di liquidità (come fu l’Argentina nel 2001) ma è semplicemente insolvente, ovvero ha fallito la sua gestione.
Chiarita la specificità tutta ellenica dei suoi problemi di stabilità finanziaria, cosa emerge sul piano più complessivo europeo? E in particolare il dramma greco a partire da maggio 2010 indica qualcosa alla Ue?
Più che rischio “contagio”, in realtà la prima vera crisi monetaria della giovane divisa europea, ha dimostrato come la stessa Germania ha avuto il coraggio (non degli altri paesi) di tentare una ridefinizione dei ruoli e spazi per un’area UE eccessivamente e frettolosamente allargata a ben 27 paesi! Su questo aspetto dell’allargamento a est, c’è stata troppa enfasi, di cui ora si paga lo scotto rappresentando la bocciatura di quella che fu la direzione Prodi alla UE.
Messa in questi termini, cosa resta della affrettata spinta italiana, dell’allora duo Ciampi-Prodi sull’euro?
Francamente molto poco.
Grandi sogni, costruiti su parametri errati.
Più o meno come sta accadendo negli USA con la Presidenza Obama, che solo un anno dopo l’insediamento della nuova amministrazione, mostra troppe crepe e ostilità crescenti.
Comunque è proprio con il dollaro che quest’analisi si conclude. La stampa europea sottolinea quanto l’euro abbia perso il 7% nel cambio con la divisa statunitense nel corso del 2010, attestandosi a 1 euro contro:1.33 dollari. In realtà non ci si rende conto che un cambio adeguato, rispetto al recupero del PIL in corso negli USA, colloca il cambio su livelli molto diversi rispetto a oggi, ovvero a 1 contro 1.25 che si pensa sia la tendenza di quest’anno.
Conclusione: troppo presto è stata considerata finita l’era del dollaro e del ruolo di superpotenza degli USA. Di fatto, rispetto alla Cina, gli Stati Uniti sono una nazione democratica che produce idee e cultura, a dispetto del gigante dai piedi d’argilla asiatico. Nel conteggio della ricchezza, come fatto sinora, non vanno prese in considerazioni solo le quantità di divise custodite nei forzieri presso la banca centrale, ma anche l’attitudine a produrre tecnologia, ricerca e idee. Questo taglia fuori in forma crudele l’attuale Cina, che resta tuttora una dittatura, confermando quell’ibrido tra libero mercato, assenza di consumi interni, comunismo e capitalismo, il che rende tutto troppo fragile. Il bello viene anche dalla lettura delle considerazioni cinesi, sulla crisi in atto nell’area euro. La Cina vede in ciò, un limite della democrazia e la superiorità dei sistemi autoritari.
E per l’Europa? Se il mercato UE è un bene ormai acquisito e difficilmente a rischio, perché radicato nei costumi e atteggiamenti degli europei, per la sua corrispondente espressione monetaria, si possono pensare a più velocità tra Nazioni, ritornando a visioni e progetti, che già furono progettate ma non attuate, tra paesi forti e altri a “scartamento ridotto” (tra cui l’Italia a quell’epoca)
In questa prospettiva tornare alla dracma o alla lira, come al marco e al franco, non sarebbe un salto all’indietro, ma restituire autorevolezza alla politica monetaria nazionale, per cui ognuno acquista la sua libertà interna, facendo riferimento a una moneta sovranazionale per gli scambi nello spazio UE a cambio fisso. In pratica l’euro varrebbe per i regolamenti tra Stati, all’interno della UE, ma non per gli spazi nazionali, che conserverebbero così le loro autonomie.
’euro “fu una bella idea”, ma applicata male. Saprà questa moneta riformarsi prima d’affondare? La previsione è che si riuscirà a sistemare nuovamente l’euro, ma dopo la Grecia e forse dopo la Spagna, il Portogallo e qualche colpo dall’Italia e l’Irlanda, nulla sarà come prima, anche sulla moneta unica europea. Tutto questo c’insegna il dramma greco a partire dalla fine della primavera del 2010.