Il finto boom in Germania
Germania locomotiva. Con piacere leggo sulla stampa economica di fine gennaio: “Brescia torna in piedi con il boom tedesco. La Germania corre e insieme anche la subfornitura bresciana. L’industria dell’automotive, gomma plastica ed elettronica torna a crescere. Ma la ripresa al momento parla solo tedesco”
Indubbiamente la notizia non può che inorgoglirmi, ma conoscendo sia il mercato tedesco che quello italiano, ho voluto andare più a fondo e ho scoperto qualcosa su cui vale la pena riflettere.
Il Governo tedesco su diverse tipologie di produzione, ad esempio, prendendone una a caso, si parla qui di cromatura galvanica (una delle fasi di lavorazione nel ciclo della rubinetteria, del trattamento degli acciai, del ferro e metalli in genere) sta costringendo di fatto alla chiusura o trasferimento d’attività gli operatori locali del settore.
Nel dettaglio la cromatura ha un’incidenza marginale nel ciclo di lavorazione (probabilmente inferiore all’1%) ma soffre di un grande problema: il riciclo delle acque. Se finora questo onere è ricaduto sui privati, dai prossimi mesi invece sarà lo Stato che interverrà con i propri impianti ai suoi costi a carico degli imprenditori, che lavorano in questo settore. Questa novità comporta un trasferimento delle attuali attività nei pressi dei depuratori pubblici in funzione, con la conseguente chiusura delle officine fuori zona. A conti fatti oggi in Germania il costo per cromature galvaniche è lievitato del 200%. L’obiettivo del Governo ruota intorno a due aspetti:
a) quello ecologico per cui chi volesse proseguire nella cromatura lo può fare, ma sostenendo i costi che lo Stato impone per la purificazione delle acque di scarico, oppure si può trasferire in altra zona della Repubblica Federale. Con questi vincoli, di fatto, i tedeschi stanno depennando questa fase di lavorazione dal loro territorio;
b) sganciare il sistema produttivo tedesco da quelle lavorazioni, che possono essere facilmente aggredite dai paesi poveri ed emergenti o di recente/modesta industrializzazione. Così facendo, l’economia tedesca si concentra nella fascia alta e tecnologica delle lavorazioni, potendo “fare il prezzo” e garantendosi tempi lunghi prima di subire altra concorrenza.
Come effetto diretto di questo “spostamento” verso l’alto, inteso in senso tecnologico e d’impegno nelle lavorazioni, sono letteralmente “piovute” in Italia, una quantità enorme di richieste per cromatura galvanica.
Partendo dal presupposto che i tedeschi non sono affatto sciocchi e anche dotati di una potente politica industriale, non credo che le motivazioni per cui si sono spinti alla sostanziale cancellazione d’alcune fasi di lavorazione, risiedano solo nel gusto d’avere una Germania più pulita ecologicamente parlando. Se questa politica di conservazione di un ruolo industriale tedesco nel mondo è da considerarsi corretta, la felicità italiana nel sostituirsi a quanto dismesso in Germania è un buon investimento? La risposta non può che essere negativa.
Allora cosa fare? Indubbiamente se siamo privi di una politica industriale per i prossimi 10 anni, non possiamo non accettare il lavoro dismesso dai tedeschi, ma con l’aperta consapevolezza che si tratta di una “boccata d’ossigeno” per far quadrare i conti nei prossimi 18-24 mesi. In pratica la Germania ci ha regalato la sistemazione dei bilanci aziendali per i prossimi due anni.
Il punto ora è un altro. Saremo capaci, a livello di singola impresa, di porci la domanda se quanto stiamo tradizionalmente realizzando, sia adeguato a garantire l’esistenza dell’impresa nei prossimi 5 anni? Si richiama l’urgenza e il bisogno di dotarsi di un piano di marketing, ovvero di uno strumento sostitutivo della politica industriale nazionale, cucito specificatamente sulla singola azienda.
Vorrei che d’ora in poi, chi ha l’onere di dirigere un’impresa, si chiedesse oltre a come far quadrare i conti, se il suo livello tecnologico è aggredibile dalla concorrenza spicciola o, con un certo numero d’accorgimenti, potrebbe porsi “alla tedesca”, su un livello più evoluto, tecnologico, ecologico, eco-sostenibile e compatibile, con un contesto industriale che contraddistingua la nostra civiltà del consumo e di produzione.